1.5 Identità e servizio
1.6.2 Mutamento come processo isomorfico (le teorie neoistituzionali)
Diversamente dalla precedente teoria che guardava al mutamento come dinamica causata da processi interni evolutivi, la teoria dell’isomorfismo istituzionale cerca di spiegare come pressioni esterne provenienti da un contesto altamente istituzionaliz- zato —i.e. ovvero dove forte è l’influenza di una o più soggetti istituzionali capaci di imporre il proprio “ordinamento”—, possano indurre dei mutamenti isomorfici delle organizzazioni operanti in quel contesto. In questo corpo di teorie ci si riferisce a mu- tamenti isomorfici nel senso di processi attraverso i quali le organizzazioni operanti in un medesimo contesto tendono ad assumere la medesima forma e ad acquisire i medesimi quadri valoriali l’un l’altre secondo criteri di opportunità e spesso in vista della legittimazione del loro operato.
La notorietà di queste teorie si deve in particolare a Powell e Di Maggio (1983) i quali partendo dalle originali riflessioni teoriche di altri due neo-istituzionalisti, Meyer e Rowan (1977), introducono alcune rilevanti novità concettuali. La prima di queste è il concetto di “campo organizzativo”. Con campo organizzativo si definisce quell’insieme di organizzazioni che considerate complessivamente costituiscono un’a- rea riconosciuta di vita istituzionale, ovvero, tutte quelle organizzazioni rilevanti per le reciproche attività e riconoscibili nel loro partecipare ed influire sulla produzione di specifici beni e servizi: fornitori chiave, consumatori di risorse e prodotti, agenzie di controllo e altre organizzazioni che producono prodotti o servizi simili (Powell e Friedkin, 1987). L’adozione dell’idea di campo organizzativo implica, quale as- sunto principale, che una organizzazione non può essere analizzata isolatamente ma deve essere sempre considerata all’interno del suo campo organizzativo (Lanzalaco, 1995). Allo stesso tempo, il concetto di campo organizzativo implica sfocare la netta contrapposizione tra organizzazioni passive ed istituzioni —tipica delle prime ela- borazioni istituzionali e neo-istituzionali (Meyer e Rowan, 1977; Selznick, 1948)— attribuendo a tutti gli attori in gioco un ruolo attivo per quanto in diversa misura.
Capitolo1. Un settore teso tra identità e servizio
Il secondo importante contributo fornito da Powell e Di Maggio (1991) è l’aver elaborate tre spiegazioni diverse alla generazione di processi isomorfici. Una prima spiegazione fa riferimento a processi di mutamento implementati a seguito di “pres- sioni formali ed informali esercitate sull’organizzazione da altre organizzazioni da cui esse dipendono e da aspettative presenti all’interno della società in cui operano” (Powell e Di Maggio, 1983). Queste pressioni possono risultare da forme strette di autorità, dalla minaccia di sanzioni o dall’offerta di incentivi e per tal motivi ci si riferisce ad essi come isomorfismi coercitivi. L’agente istituzionale che in genere si trova nella situazione di esercitare questo tipo di pressioni è lo Stato a seguito del suo potere regolativo.
Seconda tipologia di isomorfismo è quello conseguente a situazioni di incertezza “tecnologica” o ambientale. Nell’affrontare queste situazioni di incertezza le orga- nizzazioni possono decidere di adottare strategie e norme ritenute efficaci nel cam- po organizzativo di appartenenza attraverso modalità imitative, o mimetiche. Ad esempio, l’isomorfismo mimetico aiuta a spiegare il perché le organizzazioni di Terzo Settore che affrontano una situazione di incertezza economica cominciano ad usa- re tecniche manageriali ed ad entrare nel mercato dei servizi vendendo i propri ai cittadini privati (Anheier, 2005). È necessario sottolineare, tuttavia, che essendo l’efficacia di quelle norme e strategie valutata soprattutto in virtù della loro diffu- sione, la concreta utilità di queste può essere più fittizia che reale in quanto la loro diffusione stessa può essere legata a processi isomorfici mimetici.
Il terzo modello di spiegazione dell’isomorfismo è chiamato normativo e individua le cause del mutamento nei processi di professionalizzazione delle diverse attività. L’apprendimento di nuove tecnologie e strategie determina un processo di isomorfi- smo non come risultato della incertezza o di costrizione ma bensì come risultato di un processo di riconoscimento delle nuove pratiche come superiore alle vecchie. Per questo motivo l’isomorfismo normativo non è “passivamente” subito come in quello coercitivo, o emulato come in quello mimetico, e si caratterizza per essere il risultato di una elaborazione più consapevole e programmatica.
I processi di isomorfismo non variano solo per tipologia ma anche per velocità. Secondo Powell e Di Maggio l’isomorfismo è tanto più rapido quanto maggiore è la dipendenza di una organizzazione da risorse esterne e quanto maggiore sono l’incer- tezza e l’ambiguità dei suoi obiettivi. Allo stesso tempo i campi organizzativi sono tanto più omogenei quanto maggiore è il grado di integrazione delle organizzazioni
Capitolo1. Un settore teso tra identità e servizio
che lo compongono e il livello di professionalità di chi vi opera, e quanto minori so- no gli ordinamenti alternativi adottabili. Fatte presenti queste tendenze generali gli stessi autori (Powell e Di Maggio, 1991) rifiutano l’idea di un modello deterministico e non escludono conflittualità all’interno dei campi organizzativi per la presenza di ordinamenti contrastanti. Abbandonando una visione eccessivamente funzionalista, l’isomorfismo istituzionale consente la teorizzazione di avvicendamenti degli ordi- namenti prevalenti attraverso forme conflittuali in cui il nuovo ordinamento, nato inizialmente come fenomeno di devianza, acquisisce una sua legittimità e una volta riconosciuto riesce ad imporsi o per lo meno a costituire una via alternativa per le pratiche organizzative istituzionalizzandosi a sua volta.
1.6.3
Identità e servizio nel mutamento organizzativo: pro-
cessi di sviluppo e inclusione nel welfare-mix
La prima teoria del mutamento legata alle fasi di sviluppo interno della orga- nizzazione ci consente di porre in evidenza quali possono essere le conseguenze ge- stionali per tutte quelle organizzazioni che decidono di espandere le proprie attività: ricerca di flussi finanziari più ingenti e stabili, staff professionale per consentire una produzione più continuativa dei servizi e una maggiore formalizzazione della orga- nizzazione per poter meglio gestire l’ampliamento dei servizi. Questa teoria è quindi applicabile per comprendere le dinamiche interne alle organizzazioni in tutte quelle situazioni in cui esse decidono di svilupparsi per andare incontro alle esigenze della utenza o alle proprie secondo motivazioni di opportunità. Con la estensione dei mo- delli di welfare misto l’espansione delle organizzazioni di Terzo Settore, infatti, non è attribuibile unicamente a considerazioni in merito alle esigenze della utenza ma alla possibilità di ottenere in modo più semplice delle risorse finanziarie più stabili. Le fonti filantropiche, si è visto, presentano il triplice svantaggio di essere rigide rispetto le esigenze organizzative, incostanti e localizzate lì dove minore è il loro bisogno. Al contrario invece, le risorse pubbliche presentano il vantaggio di essere relativamente più stabili, di maggiore entità e meno dipendenti rispetto il locus.
Non è quindi un caso che sia proprio con l’estendersi dei modelli misti di welfare che il Terzo Settore viva un momento notevole di sviluppo: sotto questo profilo la crescita del Terzo Settore trova nei meccanismi del welfare-mix un elemento di catalisi.
Capitolo1. Un settore teso tra identità e servizio
L’uso di denaro pubblico richiede tuttavia l’adozione di strumenti di rendiconta- zione tanto da parte pubblica, con la introduzioni di meccanismi di messa in appalto e convenzionamento dei servizi, che da parte delle organizzazioni di Terzo Settore che devono garantire trasparenza, efficacia ed efficienza. È in questo contesto che le teorie dell’isomorfismo istituzionale si rendono particolarmente utili per la com- prensione delle possibili conseguenze sulle organizzazioni di Terzo Settore in termini di mutamento organizzativo.
Nei sistemi di welfare-mix il Terzo Settore diventa parte integrante di un cam- po organizzativo dentro il quale operano tutte le unità organizzative chiamate alla produzione e pianificazione dei servizi sociali di welfare e dove lo Stato costituisce la istituzione più importante in virtù del suo potere regolativo. Di conseguenza, tut- te le organizzazioni operanti in quel campo organizzativo devono necessariamente adattarsi alle previsioni di legge in merito ai livelli di formalizzazione richiesti per partecipare alle gare di appalto e più in generale per partecipare come attore affianco dello Stato, agli standard qualitativi, e alle procedure di rendicontazione. Si tratta principalmente di processi di adattamento isomorfico coercitivo che non escludono tuttavia anche caratteri mimetici e normativi. L’utilizzo di gare d’appalto, infatti, promuove lo sviluppo di regimi competitivi tra le diverse organizzazioni di Terzo Settore partecipanti (e in alcuni casi anche tra organizzazioni di Terzo Settore e organizzazioni private a fini di lucro) le quali al fine di vincere le gare bandite e di ottenere i finanziamenti integrano al proprio interno nuove pratiche manageriali e nuovo personale professionale retribuito.
Sia che si parli di semplici processi di sviluppo organizzativo, sia che si veda tali processi accelerati per effetto della inclusione delle organizzazioni nei sistemi di welfare-mix che si configurano come campi organizzativi altamente istituzionalizzati, le organizzazioni di Terzo Settore affrontano intensi processi di burocratizzazione e di professionalizzazione accompagnati dall’introduzione di quadri normativi ad essi affini: la razionalità strumentale e la gestione manageriale. Queste trasformazio- ni operano evidentemente su una delle dimensioni fondanti, nello specifico quella del servizio, ispessendone la sua rilevanza: all’interno delle organizzazioni diventa sempre maggiore l’attenzione sull’attività di servizio e sulle procedure necessarie a garantire l’ottenimento dei finanziamenti. Il rischio che ne deriva è la sclerotizzazio- ne delle organizzazioni e la confusione tra il mezzo e il fine. L’attività di servizio e il mantenimento dello stesso, funzionali nella logica del product bundling alla proposi- zione della dimensione identitaria nel contesto sociale, rischiano quindi di diventare
Capitolo1. Un settore teso tra identità e servizio
fine in sé stessi.
Intuitivamente si comprende tuttavia come ci sia dell’altro. Se le teorie del mu- tamento ci dicono in che modo le pressioni interne ed esterne favoriscono l’ipertrofia della dimensione organizzativa esse lasciano solo intravedere quali possano essere le conseguenze sul piano della dimensione identitaria e sul più generale equilibrio tra le due dimensioni. L’introduzione di nuovi quadri normativi e l’ispessimento della dimensione di servizio possono incidere sui processi relazionali interni che consen- tono al soggetto di Terzo Settore di riprodurre la propria identità e di estendere la validità dei propri ordinamenti solidaristici all’esterno agendo, infine, da collante sociale. Il risultato è un indebolimento della dimensione identitaria e un maggiore squilibrio tra le due dimensioni.
È necessario ricordare, nell’economia di tale ragionamento, come la dimensione identitaria in quanto fondata su processi relazionali sia per sua natura soggetta a cambiamenti e sensibile alla intensità e ai contenuti degli stessi. Per quanto possa essere forte la legittimità attribuita all’ordinamento organizzativo, quest’ultimo non riesce mai completamente a permeare la coscienza individuale. In tal senso coloro che operano all’interno delle organizzazioni di Terzo Settore sono dotati di una pro- gettualità propria che si distingue, più o meno intensamente, da quella organizzativa che pur rimane valida3. Inoltre si deve considerare il fatto che ogni individuo è ca- pace di interpretare la cultura organizzativa a partire dai propri quadri normativi ed orientamenti maturati in seguito alla propria esperienza. Per questo motivo la cura dell’aspetto associativo e relazionale dell’organizzazione è così importante. È attraverso di esso che la validità della dimensione identitaria viene rinnovata e i nuovi membri vengono socializzati ad essa.
Al contrario, l’eccessiva formalizzazione e burocratizzazione della organizzazione, irrigidendo le relazioni interne e chiudendole in specifici ambiti ne sfavoriscono la vivacità e la carica affettiva, mentre al contempo la professionalizzazione e l’indebo- limento della presenza di volontari facilita l’introduzione di nuovi elementi normativi all’interno della organizzazione. L’effetto complessivo è risultante per un verso dalla minore intensità di interazioni di senso e dalla maggiore frequenza di interazioni orientate puramente al servizio, con un impoverimento di quelle pratiche necessa- rie alla riproduzione della dimensione identitaria, per un altro dalla introduzione di nuovi quadri normativi che progressivamente possono incidere sulla matrice identi- taria originaria allontanandola dal suo essere espressione della comunità e causando
Capitolo1. Un settore teso tra identità e servizio
in tal modo lo snaturamento dell’organizzazione.
In definitiva, per tutte le motivazioni e attraverso i processi su cui si è ragionato, in coincidenza con il loro partecipare alle forme di welfare-mix le organizzazioni di Terzo Settore sono soggette ad un ispessimento della dimensione organizzativa e, soprattutto, ad un indebolimento della dimensione identitaria con rischio di perdita di specificità e di autonomia da parte delle organizzazioni di Terzo Settore (Ranci, 1999b; Anheier, 2005).
L’intensità con cui le pressioni esterne riescono ad influire sulla vita organizza- tiva non è tuttavia un dato assoluto, così come il mutamento in seguito a pressioni dal campo organizzativo non deve essere inteso in termini deterministici. Le or- ganizzazioni rimangono infatti entità capaci di dare significato all’ambiente entro cui operano e agli input che da esso ricevono (Weick, 1995). Pertanto, non solo il mutamento organizzativo può avvenire con intensità e modalità differenti (Powell e Friedkin, 1987) ma le organizzazioni rimangono capaci se scegliere alternativamente al mutamento un’azione di exit o di voice. Hannan e Freeman (1982) sostengono, infine, che le organizzazioni sono in realtà molto più rigide e ostili al cambiamento di quanto si possa pensare. Questo non significa che non esiste il mutamento organiz- zativo ma piuttosto che la presenza di campi organizzativi omogenei è sì il risultato di processi di isomorfismo per le pressioni esercitate all’interno di quel campo ma è anche l’effetto di una sorta di selezione naturale per cui la presenza di organizzazioni isomorfe all’interno del campo è dato anche dell’entrata di organizzazioni nate già con caratteri adatti all’ordinamento presente nel campo organizzativo.