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4.3 Il Terzo Settore in Italia

4.3.1 L’universo nonprofit in Italia

Nel 2001 l’ISTAT pubblica il primo censimento del nonprofit Italiano i cui dati sono riferiti al 1999. In tale data l’universo italiano del nonprofit conta 221.412 or- ganizzazioni. La distribuzione di questi istituzioni varia nel territorio (tabella 4.4). Dalle percentuali osservabili nella tabella sottostante si rileva come l’Italia setten- trionale accolga più della metà del totale delle organizzazioni nonprofit, mentre il Sud e il Centro ospitano, rispettivamente il 27,7% e il 21,2% delle organizzazioni. L’indice di densità, più che la semplice distribuzione percentuale, consente di eviden- ziare ulteriormente la diversa distribuzione del fenomeno sul territorio. Calcolando il numero di enti per 100 mila abitanti, infatti, emerge un nonprofit particolarmente debole nel meridione d’Italia, mentre il Centro recupera posizioni affiancandosi alla situazione del Nord. Il Mezzogiorno italiano conferma quindi una minore presenza del nonprofit con la regione calabrese che presenta densità ancora più basse delle medie meridionali.

Capitolo4. Analisi statistica del Terzo Settore

Tabella 4.4: Distribuzione ONP per area territoriale in valori percentuali e numero medio istituzioni per abitante. Dati 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Gran parte delle organizzazioni è stata fondata dopo il 1980, ma è soprattutto negli anni ’90 che si registra un incremento notevole, probabilmente per l’influenza della legislazione speciale sul volontariato e sulla cooperazione sociale approvata nel 1991. Nuovamente, dalla distribuzione temporale per anno di fondazione emerge una rilevante differenziazione del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia. A fronte di una sostanziale omogeneità dei dati tra la media nazione e i valori del settentrione e del Centro, la diffusione del nonprofit nel Sud italiano presenta un ritardo fino al 1980 per poi accelerare a partire dall’inizio degli anni ’80. La diffusione del nonprofit nel meridione, ed in Calabria, appare infatti più lenta per poi accelerare negli anni ’90. Anche in questo caso il richiamo alla legislazione speciale potrebbe risultare efficace soprattutto tenendo conto delle opportunità occupazionali aperte dalle stesse e degli alti livelli di disoccupazione nel territorio meridionale (tabella 4.5).

Tabella 4.5: Distribuzione ONP per anno di costituzione. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

In generale. la distribuzione per settori letta per aree geografiche (Nord, Centro e Sud) mostra una certa omogeneità date le poche e poco significative variazioni (tabella 4.6). Il settore di attività che vede il maggior numero di istituzioni è quello culturale e ricreativo (63%). I servizi sociali e sanitari formano il secondo grande ramo di intervento, (il primo considerando solo i settori legati alla produzione di welfare), sebbene attestandosi su frequenze più basse con i servizi sociali leggermente più sviluppati di quelli sanitari —rispettivamente al 9% e al 4%—. Anche le relazioni di rappresentanza presentano una notevole diffusione, in particolare al Centro che mostra dati sopra la media. Tra i settori meno sviluppati osserviamo l’attività

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indirizzata alla cooperazione internazionale, alla promozione del volontariato e alla protezione ambientale (tutte con frequenza pari all’1%) e le attività per la tutela dei diritti (2%).

Tabella 4.6: ONP per settore di attività (ICNPO). Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Passando dalla distribuzione delle organizzazioni per settore al numero di perso- nale retribuito e volontario è possibile comprendere il livello di sviluppo dei singoli settori e soprattutto il grado di contribuzione dei settori alla sfera economica e so- ciale. La tabella 4.7 sintetizza alcuni indicatori sul personale delle organizzazioni nonprofit distinguendo tra personale volontario (volontari, religiosi e obiettori di coscienza) e personale retribuito (dipendenti, dipendenti esterni e collaboratori). Rispetto alla classifica di rilevanza dei settori deducibile dal grafico precedente, il quadro muta sensibilmente: stilando una classifica decrescente dei settori per entità numerica del personale il settore ricreativo si colloca in fondo alla lista, salvato dal- l’ultima posizione dal solo settore delle relazioni sindacali e di rappresentanza degli interessi, mentre la sanità e l’assistenza sociale assorbono gran parte del persona- le con, rispettivamente, 110 unità per istituzione nel sanitario e 59 nell’assistenza sociale.

La ripartizione del volontariato tra i diversi settori è influenzata da due fattori: il numero di organizzazioni operanti nel settore e la loro dimensione da una parte, e la presenza entro queste ultime di ruoli a bassa specializzazione ed alta relazionalità

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Tabella 4.7: Volontari e dipendenti. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

adatti ad essere svolti da personale volontario dall’altra. Nel campo delle attività “espressive”, logicamente affini ad un pieno coinvolgimento dei volontari, spicca il settore culturale e ricreativo forte soprattutto della presenza di numerose organiz- zazioni sparse nel territorio. Seguono per presenza di volontari le organizzazioni impegnate nel campo dei servizi di assistenza sociale e sanitari. L’elevata nume- rosità di organizzazioni operanti nel campo dei servizi, tradizione caratteristica del Terzo Settore italiano (Barbetta, 1996a; 2000; Donati, 1996), e la possibilità di ope- rare all’interno di esse ricoprendo ruoli non richiedenti profili professionali, aiuta a comprendere il perché di questa notevole presenza del volontariato. Il settore dei servizi sanitari non costituisce rispetto a quanto detto un’eccezione. Appartengono a questo settore infatti numerose organizzazioni dedite a servizi senza ricovero (am- bulanza, donazioni sangue) che ben si prestano ad un coinvolgimento intensivo di personale volontario (Barbetta, 1996a). È bene ricordare, tuttavia, che la presenza di volontari nelle organizzazioni di servizio non garantisce un coinvolgimento con- creto nei processi decisionali e nella elaborazione degli schemi culturali ed identitari. Il fisiologico turn-over elevato e la collocazione potenziale dei volontari in attività di carattere secondario, ai margini dei processi decisionali e relazionali dell’organiz- zazione, costituiscono fattori non marginali nell’influenzare i contenuti esperienziali dei volontari e nella capacità di questi ultimi nel sfavorire l’irrigidimento verso quel- le derive organizzative burocratiche e managerialistiche che possono deprimerne il

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carattere “sociale” originario (Borzaga e Fazzi, 2000).

Mentre per i volontari si è osservata una distribuzione trasversale tra organiz- zazioni espressive ed organizzazioni di servizio, il personale retribuito tende a con- centrarsi per oltre tre quarti all’interno del settore dei servizi sanità, dell’assistenza sociale e dell’istruzione e ricerca, una ripartizione che trova ulteriore conferma nei valori indicanti il numero di personale mediamente presente per ogni ente. L’eleva- ta presenza di personale retribuito rappresenta la prova più tangibile e facilmente riconoscibile del processo di professionalizzazione che sta affrontando l’intero Terzo Settore italiano, compreso della sua componente più tipicamente volontaristica (Fri- sanco, 2004), che favorisce la polarizzazione verso realtà organizzative agli antipodi: piccole, estremamente informali e mantenute attraverso la preponderanza dell’ap- porto volontario da una parte, grandi, formalizzate, dipendenti dai fondi pubblici e sviluppate intorno a figure prevalentemente professionali dall’altra (Borzaga e Fazzi, 2000).

Figura 4.11: Istituzioni per tipologia di persone impiegate e classe di entrate (%). Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Il grafico 4.1112 rappresenta una sintesi di come personale volontario e retribuito si distribuisca nelle organizzazioni secondo le classi di entrate delle organizzazioni. Divisi gli istituti per classe di reddito si evidenzia un profilo abbastanza netto. Men- tre la presenza di personale volontario diminuisce progressivamente con il crescere delle entrate della organizzazioni, il personale dipendente mostra un trend del tutto inverso. I volontari costituiscono la principale risorsa umana per le organizzazioni nonprofit con reddito fino a 100 milioni di lire: solo una esigua parte di queste orga-

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nizzazioni, il 2,5%, usa al proprio interno infatti personale retribuito. Diversamente, il numero di organizzazioni che si avvalgono di personale retribuito cresce con l’au- mentare del reddito organizzativo mentre diminuisce il numero di organizzazioni al cui interno è possibile rinvenire personale volontario. Quanto descritto è un feno- meno riconducibile alla necessità, man mano che l’organizzazione amplia la propria sfera d’“affari”, di dotarsi di personale stabile, capace di garantire una certa efficienza e competenza nella gestione delle pratiche necessarie al mantenimento della stessa organizzazione (Horch, 1994). La gestione di grossi capitali richiede competenze manageriali e professionali difficili da reperire presso i volontari; e anche qualora si presentasse la possibilità di avere volontari con certe caratteristiche un problema non indifferente è ridurre il turn-over massimizzando l’attaccamento alla organizza- zione, una questione difficile da risolvere dati gli alti costi richiesti al volontario e la scarsa efficacia di incentivi materiali. Le percentuali riferite al personale “altra tipologia” descrivono quell’ulteriore gruppo di persone composte da obiettori di co- scienza, religiosi e sopratutto personale con contratto di collaborazione. Anche per questo gruppo si verifica un trend simile a quello del personale dipendente, sebbene la porzione costituita da questo gruppo si mantenga su valori decisamente più bassi.

La differenziazione geografica tra il meridione e il resto d’Italia si palesa nuova- mente qualora si consideri la densità dell’impegno volontario sul territorio italiano (figura 4.12): il Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, si colloca nella fascia di densità più bassa con una densità media di 289 volontari per 100 mila abitanti (la Calabria presenta valori leggermente più alti con 302 volontari) superata di diverse misure dalle regioni centrali (mediamente 601 volontari per 100.000 abitanti) e set- tentrionali, che possono vantare con una densità media di 759 volontari la maggior concentrazione di volontari sul territorio italiano.

Per quanto concerne la sfera economica delle organizzazioni nonprofit, nel 1999 l’universo nonprofit italiano ha avuto entrate pari a 73 miliardi di lire di cui il 53% concentrate al Nord, il 32% al Centro e il 14,9% al Sud (tabella 4.8). Sempre nella medesima tabella, quale dato forse più rilevante, sono indicate le entrate medie annue per istituzione. Sotto questo profilo, il Sud si colloca ben al di sotto della media italiana con una differenza ancora più marcata rispetto al Centro. La performance calabrese risulta perfino inferiore alla situazione media per il Sud con solo 130 milioni di lire annui per ente.

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Figura 4.12: Densità volontari sul territorio italiano. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Tabella 4.8: Entrate ed entrate medie per istituzione per area territoriale. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

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Settore meridionale nel drenare a proprio vantaggio le risorse ambientali. Sono or- ganizzazioni tendenzialmente più povere, meno sviluppate. Ma è davvero così? La tabella 4.9 ci fornisce un quadro non completamente conforme a questa interpreta- zione. Se si guarda alla numerosità delle organizzazioni con reddito inferiore ai 10 milioni di lire annui, si vede chiaramente come i dati del Mezzogiorno si collocano sostanzialmente in linea con quelli medi nazionali. Addirittura maggiori sono le organizzazioni con reddito medio-basso (compreso tra gli 11 e i 60 milioni di lire). Quando tuttavia si va a guardare tra le organizzazioni a reddito medio-alto e alto, la presenza di organizzazioni meridionali è progressivamente inferiore. La differenza allora, rispetto alle caratteristiche nazionali risiede non tanto in un numero maggiore di enti “poveri” quanto piuttosto in un minor numero di organizzazioni con reddito medio-alto e alto. Si potrebbe quindi pensare ad una difficoltà per il Terzo Settore a decollare nel sistema economico meridionale legata probabilmente anche ad una maggiore giovinezza del Settore stesso sul territorio meridionale.

Tabella 4.9: Distribuzione percentuale istituzioni per fascia di reddito in milioni di lire. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Considerando i settori di attività, sono le organizzazioni nel settore sanitario e dell’assistenza sociale ad avere le quote maggiori del reddito totale calcolato sull’u- niverso nonprofit italiano —rispettivamente il 18,% e il 20%. Le entrate medie per istituzione sfiorano il miliardo e mezzo di lire nel settore sanitario e raggiungono 1,2 miliardi nel settore della filantropia e promozione del volontariato (tabella 4.10)13. Le organizzazioni nonprofit che operano nel settore dell’assistenza sociale vedono un incasso medio per istituzione pari a 756 milioni di lire, mentre nel settore istruzione e ricerca le entrate sono superiori di circa cento milioni (847). Nonostante la quota sul totale delle entrate sia maggiore nel settore cultura e ricreazione, la numerosità di organizzazioni indirizzate a quel tipo di attività fa si che le entrate medie per ente si assestino a solo 91 milioni annui. Si conferma alla luce di quanto detto, considerando anche il valore aggiunto rappresentato dalla numerosità di personale retribuito e volontario, la predominanza di un Terzo Settore dei servizi in particolar modo di quelli rivolti all’assistenza sociale, all’educazione e in minor misura di quelli sanitari (Barbetta, 1996a; 2000; Donati, 1996).

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Tabella 4.10: Entrate e settore di attività. Distribuzione percentuali ed entrate medie per istituzione. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Tabella 4.11: Entrate e settore di attività per fonte di entrata. Distribuzione percentuali per fonte di entrata. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

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Anche i pattern di finanziamento configurano modalità contributive tipiche (ta- bella 4.11). Il settore sanitario vive in gran parte attraverso i contratti di servizio stipulati con il settore pubblico (69,2%) e, in misura minore, con la vendita dei ser- vizi (16,9%). Il settore cultura e ricreazione vive soprattutto di fondi privati ed in particolare dei contributi degli aderenti e dei ricavi della vendita del bene o servizio (24,3% e 26,9%). Una importante quota viene anche dal pubblico a titolo gratuito (17,8%) e da fonte privata di altra natura (14,7%). L’istruzione e ricerca gode di un certo sostegno dal settore pubblico, sia a titolo gratuito che attraverso contratti e convenzioni. Parimenti importante per questo settore è il reddito ricavato attraverso la vendita dei servizi o dei beni prodotti.

L’assistenza sociale ha la sua principale fonte di reddito nella stipulazione di contratti con il settore pubblico e nella vendita dei servizi. È necessario ricordare a tal proposito che i servizi di assistenza sociale in Italia sono stati per lungo tem- po dominati, e lo sono tuttora nonostante la promozione di servizi territoriali, da servizi residenziali (Barbetta, 1996a): se da un lato la predominanza dei ricavi da fonte pubblica è spiegabile, nel settore dell’assistenza sociale così come per la sani- tà, dal rivolgersi dei servizi a persone che difficilmente potrebbero contribuire alle spese di produzione ed erogazione dei servizi, dall’altro la residenzialità dei servizi apre le porte alla contribuzione anche parziale da parte degli utenti alle rette. Di minore rilevanza sono i contributi degli aderenti o i redditi finanziari e patrimoniali e ancora meno le donazioni e i redditi provenienti da altra fonte privata. Nel campo della filantropia, probabilmente per la presenza di fondazioni, è la voce dei redditi patrimoniali a finanziare a costituire il punto cardine per i flussi di entrata —unico settore a ricavarne una così importante porzione di reddito— insieme ad una non meglio identificata fonte altra. Anche nel settore religioso una importante voce nelle entrate è costituita dai redditi patrimoniali e finanziari con una percentuale di poco più bassa della voce “donazioni” che da sola costituisce un quarto del totale delle entrate.

Un ultimo sguardo rimane da dare a come nelle rispettive aree geografiche le diverse fonti di entrata cambiano (tabella 4.12). A livello nazionale il grosso del- le entrate di natura pubblica viene ottenuto su base contrattuale o convenzionale (27,5%), mentre da fonte privata sono soprattutto i contributi degli aderenti e i ricavi delle vendite a giocare un ruolo rilevante. Spostandoci al Nord, in contrapposizione ad una riduzione delle entrate per canali pubblici si verifica un aumento delle entrate private in particolar modo attraverso i redditi finanziari e patrimoniali e in misura

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minore attraverso la vendita dei servizi. Al Centro, sono i contributi degli aderenti (quasi quattro punti percentuali sopra la media nazionale) e i ricavi delle vendite a compensare una minore entrata sul versante pubblico. Il Mezzogiorno, neanche a dirlo, conta molto più delle altre aree geografiche sui contributi pubblici, sia a titolo contributizio che contrattuale ottenendo attraverso tali canali il 50% sul totale delle entrate, ben 14 punti percentuali in più rispetto la media nazionale (36% da fonte pubblica). Minori sono nel meridione soprattutto le entrate per rendita finanziaria e patrimoniale e derivanti dai ricavi dalle vendite.

Tabella 4.12: Entrate per fonte e area territoriale. Dati al 1999. (Fonte: ISTAT, 2001)

Come per il dato meridionale, per le organizzazioni di Terzo Settore calabresi le fonti pubbliche di entrata presentano un ruolo maggiore che non nel resto d’Ita- lia. Minore è la capacità di collocarsi sul mercato, come evidente sia dalla bassa percentuale dei ricavi per vendita che, all’interno del welfare-mix, con riferimento alle entrate pubbliche attraverso forme contrattuali. Il minor peso delle entrate per reddito finanziario e patrimoniale, tanto per la Calabria che per l’intero meridione, potrebbe imputarsi non solo alla maggiore giovinezza dell’universo di Terzo Settore ma anche all’assenza di avanzi di gestione rilevanti (ISTAT, 2001, pg. 86). Le dona- zioni, al contrario, costituiscono insieme alle quote versate dagli aderenti una quota più importante di entrate per le organizzazioni calabresi relativamente a quanto sperimentato invece dalle organizzazioni meridionali e nazionali.

4.3.2

Cooperazione sociale e organizzazioni di volontariato in