• Non ci sono risultati.

L’ipotesi: sviluppo o snaturamento del Terzo Settore nel welfare-mix?

Come è stato evidenziato nel primo capitolo, il Terzo Settore rappresenta un fenomeno rilevante più che per il contributo alle economie nazionali per il fatto di costituire un importante punto di incontro tra l’individuo e lo Stato, di essere alla base di nuovi processi di integrazione sociale e di socializzazione della società a nuovi quadri valoriali che privilegiano la dimensione solidaristica e relazionale “sociale”. L’avvento dei nuovi sistemi di welfare misto ha permesso negli ultimi anni

Capitolo2. Ipotesi di ricerca e metodologia

una incredibile espansione del Settore, ma a quali costi? L’idea che emerge dalla letteratura e che costituisce l’ipotesi di partenza della ricerca è che il welfare-mix favorisca l’innesco di processi di mutamento capaci di incidere sulle due dimensioni portanti del Terzo Settore provocando lo snaturamento dello stesso a seguito di una ipertrofia della dimensione di servizio e di un parallelo indebolimento della dimensione identitaria.

Se è vero che la peculiarità e il plusvalore del Terzo Settore deriva dal suo legame con la società e dal mantenimento di questo legame attraverso la cura della propria dimensione identitaria, la problematica dell’equilibrio tra identità e servizio diventa, come visto nel primo capitolo, particolarmente cruciale. La domanda che allora ci si pone e alla quale si proverà a rispondere con il presente lavoro di ricerca è come la dimensione associativa identitaria e quella organizzativa di produzione del servizio si relazionano l’un l’altra e che tipo di equilibrio esista tra queste due dimensioni in un periodo storico quale quello odierno che vede sempre di più un maggiore coinvol- gimento del Terzo Settore nella fornitura dei servizi pubblici di welfare attraverso meccanismi che valorizzano ordinamenti valoriali derivati tuttavia dal settore statale e dal mercato, ovvero burocratizzazione, competizione e gestione manageriale. Si tratta in altri termini di capire se e in che misura il coinvolgimento del Terzo Settore nella fornitura di servizi pubblici di welfare negli attuali assetti di relazioni con il settore pubblico sta determinando una trasformazione del Terzo Settore verso qual- cosa d’altro e, in caso di risposta affermativa, di comprendere le forme e le modalità di tali cambiamenti.

Per verificare l’ipotesi di ricerca si è deciso di fare riferimento a due contesti, il Kent e la Calabria, e di osservare in quale modo l’equilibrio tra le due dimensioni del Terzo Settore si configura. La comparazione operata parte dalla consapevolezza delle differenze tra i due contesti. Si pensa tuttavia che proprio da tali differenze possano emergere interessanti spunti di riflessione in risposta alla domanda iniziale. Infatti, alle difformità contestuali e alle diverse forme nelle quali il Terzo Settore si concretizza corrisponde una sostanziale e fondamentale similarità, ovvero il fat- to che le organizzazioni di Terzo Settore sono fenomeni relazionali nati dal basso e caratterizzati dal peculiare rapporto tra dimensione associativa ed organizzativa. Confrontare Kent e Calabria significa sotto questo punto di vista osservare rispet- tivamente un Terzo Settore strutturato ed uno allo stato nascente e vedere come rispetto alle dinamiche connesse ai welfare-mix esso reagisca.

Capitolo2. Ipotesi di ricerca e metodologia

2.3

Il paradigma teorico:

breve digressione sugli

assunti che informano la ricerca

Prima di iniziare ad introdurre più nello specifico la metodologia scelta per verifi- care l’ipotesi appena formulata, è necessario fare un passo indietro e dedicare qualche parola al paradigma teorico cui si è fatto riferimento e che ha influenzato la scelta della metodologia che si è inteso adottare. In tal senso si tratta di esplicitare quegli assunti che hanno orientato la ricerca in ogni sua fase, da quella di elaborazione teorica a quella di rilevamento dei dati e della loro interpretazione. Differentemente dalle cosiddette scienze esatte, per le quali è possibile riconoscere un unico para- digma condiviso e riconosciuto, le scienze sociali fanno riferimento infatti a diversi paradigmi senza che sia possibile parlare di una netta prevalenza di uno rispetto gli altri (Kuhn, 1969). Per tal motivo si rende necessaria l’esplicitazione degli assunti di riferimento adottati rispetto ad una domanda fondamentale: che natura ha la realtà sociale che si intende osservare?

Il ventaglio di risposte date a questa domanda è sintetizzabile in due paradigmi base, quello positivista e quello interpretativista. Nel primo paradigma la realtà sociale è “reale” e conoscibile come se si trattasse di una cosa la cui conoscenza è obiettiva ed inscritta nell’oggetto stesso. La realtà sociale esiste quindi a prescin- dere dall’agire umano. Al contrario nel secondo —che è quello adottato in questa ricerca— la realtà sociale è conoscibile in base al significato attribuito dagli indivi- dui. La posizione assunta in merito alla domanda ontologica, dell’essere della realtà sociale, si riflette sulla questione epistemologica ossia della conoscenza della realtà.

La domanda epistemologica riguarda il rapporto che esiste tra l’osservante e l’osservato, nel nostro caso tra lo studioso e la realtà sociale. Se nel primo paradigma la conseguenza epistemologica è che studioso e realtà sociale sono entità del tutto distaccate ed indipendenti, per cui non c’è rischio per lo studioso di alterare la realtà nel corso del processo conoscitivo ed è possibile formulare delle leggi sul modello delle scienze naturali per spiegarne le caratteristiche, nel secondo paradigma il legame tra realtà sociale ed individuo rende la formulazione di tali leggi impossibile: piuttosto il compito di colui che si accinge allo studio della realtà sociale deve orientarsi alla comprensione (Verstehen) dell’atteggiamento degli individui che partecipano alle formazioni sociali (Crespi, 1994).

Capitolo2. Ipotesi di ricerca e metodologia

Diversamente da quanto accade nelle scienze naturali fondate su un approccio nomotetico (Erklären) quindi:

‘Sociology [. . . ] is a science which attempts the interpretive understanding of social action in order thereby to arrive at a causal explanation of its course and effects. In “action” is included all human behaviour when and insofar as the acting individual attaches a subjective meaning to it. Action in this sense may be either overt or purely inward or subjective; it may consist of positive intervention in a situation, or of deliberately refraining from such intervention or passively acquiescing in the situation. Action is social insofar as, by virtue of the subjective meaning attached to it by the acting individual (or individuals), it takes account of the behaviour of others and is thereby oriented in its course. [. . . ] In no case does it [the “meaning”] refer to an objectively “correct” meaning or one which is “true” in some metaphysical sense. It is this which distinguishes the empirical sciences of action, such as sociology and history, from the dogmatic disciplines in that area, such as jurisprudence, logic, ethics, and aesthetics, which seek to ascertain the “true” and “valid” meanings associated with the objects of their investigation’

(Weber, 1924)

Lo scopo della sociologia è quello di individuare la causa dell’agire sociale in- terpretando e comprendendo il senso attribuito dall’attore alla propria azione. La spiegazione causale dell’azione sociale, nella modalità a cui si riferisce Weber nel brano precedente, non è deterministica ma al più adeguata (Weber, 1924), si trat- ta quindi di individuare non delle leggi ma degli enunciati di possibilità (Boudon, 1985, pg. 99). Per questo motivo, ovvero per l’impossibilità di formulare dei sistemi teorici globali fondati su nessi rigidi di causalità, la natura dei risultati raggiunti attraverso il riferimento a questo paradigma non può che essere frammentaria ed ipotetica (Crespi, 1994).