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5.2 Italia e Calabria

5.2.2 L’ordinamento economico

5.2.2.1 Un discorso generale sul Mezzogiorno

L’economia del Mezzogiorno, è quindi anche quella calabrese, ha mostrato fin dal- l’unità d’Italia una dinamica a forbice tra consumo e produzione, dinamica che negli anni è andata ad aumentare. Le cause esogene imputabili a questa situazione, vanno rintracciate nelle politiche statali concentrate sulle opere pubbliche, sull’espansione dell’impiego statale e sull’assistenzialismo. Queste politiche furono di fatto incapaci di attivare, come dovrebbe fare un buon piano di politica economica, la crescita imprenditoriale nel Mezzogiorno.

Diversamente, tra i fattori endogeni, vanno invece presi in considerazione:

• I caratteri strutturali della famiglia, nucleare e con intensi legami parentali che sembrano sfavorire lo sviluppo della piccola e media impresa;

• I caratteristici rapporti agrari di produzione che hanno penalizzato forme au- tonome di gestione; la forma assunta da questi rapporti è senz’altro dipesa dal particolare modo con cui si sono superati i rapporti di vassallaggio tra i padroni terrieri e il contadinato e dallo sviluppo del clientelismo notabilare; • Le funzioni assunte dai centri urbani (amministrative e commerciali, piut-

tosto che di produzione), e una di élite cittadina culturalmente legata alla riproduzione di interessi particolaristici più che all’investimento;

• La fragilità della sfera pubblica, dovuta al modo traumatico con cui le istitu- zioni si sono affacciate sul Mezzogiorno, ma anche alla crescente sfiducia nelle istituzioni nell’opinione pubblica e alla degenerazione dei sistemi politici locali ad opera del clientelismo politico.

All’interno di questo quadro, quindi, l’economia meridionale si è distinta per una forte dipendenza dai trasferimenti statali, quest’ultimi per molti anni rivolti più a soddisfare le richieste campanilistiche per favorire il consenso politico locale, che a fornire le basi concrete per il decollo della produzione.

Negli ultimi anni la situazione non è sostanzialmente mutata, se non addirittura peggiorata. Di fronte ai processi di decentramento politico e alle esigenze imposte

Capitolo5. Analisi dei contesti

dai vincoli comunitari, e in particolare dal Trattato di Maastricht, il Sud ha visto ridurre le entrate dallo Stato senza un miglioramento della capacità delle élites politiche locali in termini di una efficace progettazione di politiche economiche. Per avere un quadro del ruolo assunto dai trasferimenti pubblici nel Sud intorno agli anni Ottanta, basti sapere che il rapporto tra spesa pubblica e PIL meridionale era pari al 73% (Bodo e Viesti, 1997), con una spesa pubblica devoluta solo per una minima parte al miglioramento della capacità produttiva mentre la restante consisteva in trasferimenti alle famiglie e stipendi pubblici.

A fianco della scarsa capacità produttiva emerge un’altra questione legata alla particolare struttura dell’economia meridionale: la disoccupazione. Ancora oggi la disoccupazione si configura come una piaga rilevante, la cui cura è il passaggio obbli- gato per migliorare non solo l’economia ma anche la condizione sociale meridionale. In tale direzione, sono ancora necessari dei piani economici capaci di stimolare e di sostenere l’imprenditoria giovanile assicurando, al medesimo tempo, un uso non manipolativo degli strumenti in questione.

Certamente, uno dei problemi principali che influisce negativamente sul nostro ordinamento economico, è la capacità delle organizzazioni criminali di usare ai propri fini quelle risorse originariamente rivolte al miglioramento delle condizioni collettive. I numerosi casi di appalti truccati, che hanno costellato i rapporti tra istituzioni ed imprese, sono esemplificativi di tali abilità. Ma la criminalità, piccola e grande, ha inciso negativamente anche su un altro elemento importante per qualsiasi contesto territoriale che voglia essere teatro di attività imprenditoriali: la fiducia. Molte sono le storie di imprenditori piccoli e grandi che hanno dovuto cedere alle pressioni della criminalità assottigliando uno spirito imprenditoriale che a fatica sta entrando nella nostra cultura.

5.2.2.2 Un’economia ancora da rilanciare

I dati sull’andamento dell’economia calabrese forniti dall’Istituto Guglielmo Ta- gliacarte (2002) confermano le osservazioni fatte per l’intero Mezzogiorno. Dedita principalmente all’agricoltura (45,6% del PIL) nei primi anni Cinquanta, la parteci- pazione del settore primario sul PIL locale scende progressivamente fino ad arrivare ad un 7,0% nel 1999, mentre parallelamente ma in senso opposto cresceva il peso del settore dei servizi, questi ultimi comprendenti sia i servizi destinati alla vendita

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(commercio, alberghi, pubblici esercizi, credito e assicurazione) che quelli non de- stinabili alla vendita (forniti da amministrazioni pubbliche e istituzioni sociali). Il ruolo dell’industria, espresso in percentuale sul PIL nell’arco temporale considerato, si riduce invece di circa due punti percentuali vive all’interno di questo periodo una iniziale fase di crescita seguita da una nuova recessione (tabella 5.1).

Tabella 5.1: Peso dei diversi settori sul PIL per serie storiche in Calabria. (Fonte: Istituto Guglielmo Tagliacarne, 2002)

Sebbene, quindi, il PIL interno sia cresciuto negli ultimi decenni, ciò che deve essere necessariamente messo in luce è lo scarso ruolo che ha avuto l’industria, il cui apporto in termini relativi è addirittura diminuito rispetto agli anni Cinquanta.

La dotazione delle infrastrutture, elemento importante per il sistema produttivo ed imprenditoriale, presenta dei ritardi, anche notevoli per certi settori, rispetto al resto della nazione. Attraverso la rappresentazione di numeri indice (nei quali il valore medio nazionale è espresso con un valore pari a 100) è possibile paragonare la situazione nel meridione e in Calabria al resto d’Italia. La dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno e della Calabria assume valori rispettivamente di 75,9 e 78. In modo più approfondito, si osserva che sebbene la regione calabrese presenta una dotazione di reti stradali, ferroviaria e portuale superiore alla media nazionale (di pochi punti ad eccezione fatta per l’ultima voce chiaramente influenzata dai caratteri geografici della regione) le differenze in negativo con il contesto nazionale riguardano impor- tanti dimensioni infrastrutturali come quella sanitarie e quella delle reti telefoniche ed informatiche. Anche il livello delle infrastrutture nel campo della educazione si collocano al di sotto della media nazionale (tabella 5.2).

Nel valutare questi dati è opportuno, tuttavia, considerare che il valore indice nazionale (pari appunto a 100) nasconde una distanza notevole tra il meridione e il resto d’Italia. Il valore di riferimento nazionale, infatti, è medio rispetto ai valori assunti dalle varie zone di ripartizione territoriale. La differenza tra il Mezzogiorno (e la Calabria) e il resto d’Italia acquisisce, pertanto, proporzioni ancora maggiori.

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Tabella 5.2: Indicatori di dotazioni infrastrutturale. (Fonte: Istituto Guglielmo Ta- gliacarne, 2002)

Il mercato del lavoro è senza dubbio una componente indispensabile da conside- rare quando si parla dell’ordinamento economico. In qualche misura, infatti, l’analisi dei dati sul livello di occupazione e disoccupazione fornisce un quadro sullo stato di salute dell’economia. Di seguito sono riportate nelle tabelle alcuni tra gli indici essenziali qualora si decida di guardare al mercato del lavoro: il tasso di attività2, il tasso di occupazione3, di disoccupazione4 e di disoccupazione giovanile5. Il tasso di attività descrive quella porzione di popolazione in età lavorativa (per conven- zione l’ISTAT individua l’età lavorativa tra i 15 e i 64 anni) che è attiva, ovvero che si qualifica potenzialmente o concretamente come forza lavoro. Vengono inclusi pertanto nella popolazione attiva non solo coloro che sono occupati, qualsiasi sia il tipo di occupazione, ma anche coloro che sono in cerca di occupazione vale a dire i disoccupati. Il valore del tasso di attività è quindi un indicatore del potenziale produttivo della popolazione. In Italia il potenziale produttivo della popolazione è cresciuto in quattro anni (dal 1999 al 2003) di poco più un punto percentuale, un trend simile si è avuto per la Calabria mentre mediamente nel Mezzogiorno la crescita è stata di circa metà punto percentuale. Se questa la lettura diacronica comparando tra i diversi livelli territoriali, sincronicamente la distanza tra i valori medi nazionali e quelli meridionali e calabresi rimane grosso modo costante a 4 punti percentuali. Leggermente differente il discorso per l’andamento della occupazione. A livello nazionale nei quattro anni considerati si ha un incremento di circa 2,5 pun- ti percentuali, un incremento di poco superiore per la Calabria mentre il meridione mediamente si giova di un incremento di circa 2 punti percentuali. Nuovamente, ad una crescita tendenzialmente omogenea per le tre aree considerate corrispondono diversi livelli di performance in termini di integrazione nel mercato del lavoro, con la Calabria che oscilla da un bassissimo 29,94% di occupazione per la provincia di

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Crotone ad un 36,42% per Catanzaro, per una occupazione media del 34,32%: 2,3 punti percentuali sotto la media meridionale e ben 10,5 punti percentuali sotto il valore medio nazionale.

Tabella 5.3: Tasso di attività e di occupazione, serie storica. (Fonte Istat)

La differenza tra la Calabria, il meridione e la media nazionale diventa più ampia se si passa ad osservare il livello di disoccupazione. Tra il 1999 e il 2003 la disoc- cupazione nazionale è passata dal 11,43% ad un 8,68% riducendosi di 2,75 punti percentuali e attestandosi su livelli relativamente bassi. Maggiore è stata la riduzio- ne della disoccupazione in Calabria (-4,6) e nel Mezzogiorno (-4,2). Nonostante un andamento più ripido nella riduzione della disoccupazione, al 2003 la distanza tra i livelli territoriali rimane enorme: solo 8,68% di disoccupazione per l’Italia, il 17,03% per il Sud (quasi il doppio) e ben il 23,42% (+14,74 rispetto media nazionale) per la Calabria con un picco del 27,47% a Reggio Calabria. Se la disoccupazione rimane per il Mezzogiorno una urgenza la cui risoluzione è prioritaria ciò diventa maggior- mente vero se si guarda alla disoccupazione giovanile. È impensabile, se non tragico, che più della metà dei giovani calabresi siano disoccupati con picchi oltre il 60% e ciò nonostante una riduzione di ben 10 punti percentuali in soli 4 anni, sicuramente quest’ultimo un dato incoraggiante ma ancora insufficiente. La situazione media nel Mezzogiorno nel 2003, sebbene migliore, rimane parimenti grave: il 48,21% dei giovani disoccupati (-7% rispetto al 1999). Ciò che tuttavia non si può dedurre dai dati è se la riduzione consistente della disoccupazione giovanile e non nel Sud e in Calabria sia dovuta integralmente alla creazione di nuovi posti di lavoro o alla fuoriuscita dalla forza lavoro per scoraggiamento o integrazione attraverso forme di lavoro nero, un fenomeno questo tristemente noto nella realtà meridionale.

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Tabella 5.4: Tasso di disoccupazione, serie storica. (Fonte Istat)