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Teoria dell’interdipendenza o del fallimento del volontariato

1.4 Terzo Settore e welfare state

1.4.1 Teoria dell’interdipendenza o del fallimento del volontariato

Le precedenti teorie sulle origini del Terzo Settore assumono a priori che il rap- porto tra sistemi pubblici di welfare e Terzo Settore sia conflittuale e competitivo e la presenza del Terzo Settore sia essenzialmente residuale. Questo “paradigma del conflitto” (Salamon, 1995) non aiuta a spiegare la vitalità che negli ultimi anni il Terzo Settore sta sperimentando e, tanto meno, descrive adeguatamente il trend crescente di cooperazione tra questo e il governo definito da Salamon come “third- party government ” (1995; 1987b; 1981). Al contrario, afferma Salamon, il rapporto tra governo e Terzo Settore è comprensibile alla luce di un approccio differente che consideri la presenza del Terzo Settore non in termini residuali ma come il risultato della naturale tendenza delle persone all’azione collettiva e al senso di obbligazione sociale. Con questa premessa lo studioso spiega la vitalità del settore ma anche il rapporto di interdipendenza tra di esso e il governo. La capacità di leggere il contesto e le sue esigenze rende il Terzo Settore particolarmente recettivo e capace di rispon- dere alla emergenza di nuovi bisogni sociali prima che il governo possa attivarsi per suo conto. In tal modo le organizzazioni di Terzo Settore acquisiscono “know-how ” ed esperienza valorizzata dai programmi di intervento pubblico per incorporazione della medesima “expertise” o più frequentemente attraverso il sostegno finanziario garantito alle stesse organizzazioni di Terzo Settore.

Capitolo1. Un settore teso tra identità e servizio

Tuttavia le organizzazioni di Terzo Settore presentano esse stesse dei limiti, così come le varie teorie dei fallimenti hanno evidenziato per gli altri due settori (Salamon, 1987a;b; Salamon e Anheier, 1996b):

• Insufficienza filantropica: la buona volontà e le donazioni di pochi non possono generare un flusso di risorse sufficienti e credibili per far fronte ai problemi della società moderna. Diverse sono le ragioni di questa inadeguatezza. Tra queste il fatto che i beni prodotti sono pubblici o quasi-pubblici e pertanto suscettibili al free-riding, la sensibilità delle donazioni filantropiche ai cicli economici, e la differente locazione tra risorse reperibile e aree di bisogno;

• Particolarismo filantropico: le organizzazioni e i benefattori tendono a focaliz- zarsi su specifici gruppi o problemi. Questa tendenza, forza delle organizzazioni di Terzo Settore nella misura in cui esse costituiscono il veicolo attraverso cui i gruppi rispondono alle proprie istanze, favorisce l’emergenza di alcune proble- matiche quale la concentrazione delle attività a favore dei “poveri meritevoli”, la duplicazione di servizi, la mancanza di servizi per altre fasce di popolazione non in grado di auto-organizzarsi e non abbastanza in evidenza da stimolare l’intervento filantropico di altri gruppi;

• Paternalismo filantropico: le organizzazioni di Terzo Settore non necessaria- mente devono tener conto del proprio operato a terzi salvo, ovviamente, nel caso in cui operino sotto contratto e comunque sempre nei limiti della legalità. La dipendenza delle organizzazioni nei confronti dei donors e dei loro interessi potrebbe condurre l’organizzazione, inoltre, ad intervenire verso gruppi molto ristretti e comunque non a beneficio di bisogni sociali più ampi;

• Amatorialismo filantropico: le organizzazioni di Terzo Settore spesso non han- no nel loro organico professionisti in quanto non potrebbero pagare questo tipo di expertise solo con le entrate a carattere donativo. Per questo motivo il loro operato si impernia spropositatamente su volontari che potrebbero non ave- re le competenze professionali necessarie per affrontare determinati problemi sociali.

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Proprio in relazione a tali debolezze si spiega in modo più efficace la tendenza del Terzo Settore e del governo ad instaurare rapporti di interdipendenza e colla- borazione piuttosto che di competizione e conflitto. I limiti del Terzo Settore ben corrispondono ai punti di forza del settore pubblico e vice-versa, favorendo in tal modo la collaborazione reciproca. Mentre il Terzo Settore sopperisce ai limiti del settore pubblico nel modo visto dalle teorie sui fallimenti dello stato, il governo può fornire un flusso di risorse più stabile, definire priorità in base a processi democrati- ci, scoraggiare il paternalismo rendendo l’accesso ai servizi non un privilegio ma un diritto e migliorare la qualità degli stessi stabilendo criteri di valutazione e standard qualitativi oltre che consentendo l’impiego di professionisti grazie ai flussi monetari più consistenti e stabili.

1.4.2

La teoria delle origini sociali

La teoria dell’interdipendenza pur ammettendo scenari relazionali tra Stato e Terzo Settore diversi da quelli conflittuali non dice tuttavia quali circostanze favori- scono la strutturazione dei rapporti in un versante piuttosto che in un altro. Tutte le teorie precedenti, inoltre, sono viziate da un assunto di fondo derivante dall’im- postazione economicistica che vuole la scelta istituzionale caratterizzata da un certo grado di flessibilità. In realtà, le scelte istituzionali sono strettamente vincolata dai percorsi storici di sviluppo istituzionali i quali definiscono e limitano il ventaglio delle opzioni di scelta possibili in un dato luogo e tempo. Elaborando lo schema di path-dependence dello sviluppo istituzionale dei sistemi di welfare sviluppato da Esping-Andersen (1990), Salamon e Anheier (1996b; Salamon et al., 2000a) hanno individuato quattro modelli di sviluppo del Terzo Settore. Ognuno di essi riflette uno specifico ruolo del governo ma anche da una particolare posizione detenuta dal Terzo Settore nel contesto. La sintesi di questi modelli è illustrata dalla tabella sottostante strutturata incrociando due variabili: il livello di spesa sociale pubblica e la ampiezza del Terzo Settore.

Tabella 1.1: Regimi di Terzo Settore. (Fonte: Anheier, 2005; Salamon e Anheier, 1996b; Salamon et al., 2000a)

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Il modello liberale, rappresentato dal caso statunitense e britannico, è carat- terizzato da un ampio sviluppo del Terzo Settore e da un basso livello di spesa sociale pubblica. I paesi che rientrano in questo modello sono stati caratterizzati storicamente da una supremazia dei valori della borghesia facilitata dalla debole, o del tutto inesistente, opposizione proveniente sia dalle classi aristocratiche terriere che dalla classe operaia. L’orientamento che soggiace a questa composizione è fon- damentalmente un’ostilità ideologica all’estensione dell’intervento pubblico a favore dell’impegno proveniente dagli attori di Terzo Settore.

Il modello social democratico, al contrario, presenta alti livelli di spesa sociale pubblica e una minore estensione del Terzo Settore. L’estensione di programmi di welfare pubblico è tale nei paesi appartenenti a questo modello da lasciare poco spazio per un intervento del Terzo Settore. Tendono a rientrare in questo quadro i paesi in cui la classe operaia è capace di esercitare un effettivo potere politico per quanto in alleanza con altre forze politiche. La minore estensione del Terzo Settore deve essere intesa soprattutto nel campo della fornitura dei servizi mentre, al contrario, è relativamente estesa quella componente del Terzo Settore impegnata in attività “espressive” e di advocacy. Questa particolarità è legata all’importanza che le battaglie politiche hanno in questo modello nel definire i contenuti e l’estensione dell’intervento pubblico di welfare. Le organizzazioni di Terzo Settore quindi saranno propense ad impegnarsi in qualità di strumento espressivo di interessi politici, sociali o perfino culturali-ricreativi.

Terzo modello è quello corporativo dove è elevata sia la spesa sociale pubblica che la dimensione del Terzo Settore. Il governo dei paesi in questione è stato forzato o indotto a fare causa comune con il Terzo Settore il quale si presenta come uno dei meccanismi pre-moderni che lo Stato ha preservato nel tentativo di mantenere il supporto politico chiave delle élites sociali e di indebolire le richieste più radicali di intervento sociale pubblico. È il caso della Germania che a fronte di forti pressioni da parte delle classe operaie ha stretto alleanza con l’élite terriera ed ecclesiastica per creare un sistema di protezione sociale e fornitura di servizi che nel tempo ha portato le organizzazioni di Terzo Settore, molte delle quali legate all’ambito ecclesiastico, ad avere un ruolo sostanziale.

Nell’ultimo modello, quello statista, i livelli di spesa e di sviluppo del Terzo Settore sono bassi. Anche in questo caso lo Stato mantiene il predominio in un ampio raggio di politiche sociali, tuttavia a differenza dei regimi social-democratici

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non per mezzo di una classe operaia organizzata. Piuttosto lo Stato esercita il suo potere per proprio conto o nell’interesse delle elites economiche, per quanto con un certo grado di autonomia, sostenuto da una lunga tradizione di referenza e da un ordine religioso fortemente legato alla dimensione nazionale.

Come si apprestano a puntualizzare anche gli autori, i modelli ricavati dalla teoria delle origini sociali devono essere considerati come strumenti euristici la cui capacità esplicativa deve fare i conti con la complessità delle variabili politiche, economiche, culturali e sociali e del modo in cui queste si compongono storicamente tra di loro nei diversi contesti nazionali. Al di là dei difetti e dei limiti intrinseci, lo sforzo di analisi ed elaborazione sintetica compiuto con l’elaborazione di questi modelli tipologici consente di riaffermare la rilevanza del rapporto tra Terzo Settore e i sistemi di welfare state evidenziando, al contempo, la necessità di studiare il Terzo Settore alla luce di un quadro di osservazione più ampio che consideri tutti gli attori rilevanti nei processi di medio e lungo periodo.