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I caratteri del processo di modernizzazione nel Mezzogiorno

5.2 Italia e Calabria

5.2.1 I caratteri del processo di modernizzazione nel Mezzogiorno

delle appartenenze

Il Mezzogiorno è ormai oggetto di studio da più di un secolo. L’analisi della cosiddetta “questione meridionale”, vale a dire quell’insieme di problematiche che caratterizzano la situazione socio-economica e politica del meridione, è stata infatti affrontata fin dai primi anni della storia della Repubblica Italiana. Studiosi come Sonnino (1874) e Franchetti (1874) hanno costituito, per certi versi, l’avanguardia di questo settore di studi. Da allora sono seguite diverse analisi i cui limiti maggiori, come affermato da Fantozzi (1997), sono costituiti dalla mancanza di opportune chiavi di lettura e categorie analitiche atte a cogliere l’ambivalenza delle dinamiche socio-economiche ed istituzionali vissute dal Sud.

Già nei primi novanta Mutti (1991) aveva palesato le incertezze interpretative di quella letteratura sociologica, che si era preposta di analizzare le trasformazioni del Mezzogiorno nell’arco del secolo. Tali incertezze e limiti erano da ricollegare, a parer suo, al classico modo di interpretare il rapporto fra tradizione e modernità in termini dicotomici. Con questa affermazione, Mutti riprendeva il pensiero di un altro studioso, Eisenstadt (1990), secondo il quale i processi di modernizzazione so- no il risultato dell’incontro e della integrazione, piuttosto che dell’esclusione, tra gli aspetti della modernità e quelli della tradizione, tra Gemeinschaft e Gesselschaft. Ne consegue che l’interpretazione del rapporto tra le istituzioni, la società e l’econo- mia, e le caratteristiche dei diversi ordinamenti (economico, sociale ed istituzionale), passa attraverso l’analisi della dialettica tra comunità e società, e perciò degli stessi processi di modernizzazione.

Il paradigma di ricerca della “modernizzazione variabile” usato da Eisenstadt per studiare l’integrazione tra comunità e società si pone nel dibattito accademico come un tentativo di spiegare, usando un corpo teorico dotato di una certa coerenza, i processi di modernizzazione nei loro caratteri comuni e nella loro variabilità. Lo scopo di Eisenstadt è quello di superare la contrapposizione che fino ad allora aveva caratterizzato i precedenti contributi sulla modernizzazione. A tal scopo elabora il modello della modernizzazione variabile nel quale, definiti i processi tipici che

Capitolo5. Analisi dei contesti

ogni processo di modernizzazione presenta (mobilitazione sociale, differenziazione strutturale e dei ruoli sociali e regolazione sociale) viene attribuita alle specificità del contesto l’abilità di influire su come i tre processi si declinano.

Di quei tre processi quello che risulta particolarmente rilevante ai fini del nostro discorso è quello della regolazione sociale, ovvero quel processo attraverso cui le élites politico-istituzionali mediano i processi di cambiamento con i caratteri del contesto (Eisenstadt, 1974). L’importanza rivestita dalla regolazione sociale è tale per cui in essa risiede il fulcro per uno sviluppo sostenibile. Una cattiva regolazione sociale può determinare una degenerazione della forma assunta dalla modernizzazione e la caratterizzazione negativa delle relazioni di appartenenza primaria.

Il richiamo al modello teorico della modernizzazione variabile serve quale punto di partenza obbligato per affrontare le modalità particolari con cui la moderniz- zazione è avvenuta nel meridione. L’uso della classica concezione del mutamento sociale, dove i contenuti di comunità sono inconciliabili con l’organizzazione sociale, diventa infatti particolarmente problematico in un contesto quale quello del Mez- zogiorno italiano in cui l’appartenenza e le relazioni di comunità hanno avuto un ruolo fondamentale nel consentire i processi di modernizzazione. Il punto su cui ci si deve necessariamente soffermare è che l’appartenenza di per sé non sia un limite alla modernizzazione, ma al contrario può essere un forte elemento di coesione e di regolazione sociale. Semmai, la questione problematica della trasformazione del Mezzogiorno risiede nella “manipolazione delle appartenenze” (Piselli, 1981), ossia nella creazione e riproduzione di relazioni di comunità poste in essere per soddisfare fini personali e non per il loro valore in sé.

La tesi dalla Piselli (1981) è che la storia del Sud italiano è legata alla manipo- lazione delle relazioni di comunità e non alla loro eccessiva presenza. In sintesi, è avvenuto che le relazioni di comunità, inizialmente volte a sostenere un’organizza- zione sociale strutturalmente debole, durante il processo di sviluppo si siano poste in conflitto con quei gruppi sociali (e.g. i partiti politici) preposti alla funzione di organizzazione sociale, determinando una relazione di condizionamento o di so- stituzione rispetto alle stesse organizzazioni sociali. Così facendo, le appartenenze manipolate sono riuscite ad orientare in senso strumentale (e campanilistico) i ruoli, le istituzioni e le relazioni di comunità.

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le caratteristiche del processo di modernizzazione del meridione, è l’appartenenza clientelare. Questo tipo di relazione sociale trova i suoi fondamenti nel senso di appartenenza e nella razionalità di scopo, commistione di comunità e società. Pro- prio per questa sua caratteristica, è evidente che il clientelismo non necessariamente debba ostacolare il cambiamento quanto, invece, possa orientarlo verso gli interessi delle appartenenze. L’importanza attribuita alla clientela è comprensibile, essendo questa il frutto del particolare modo in cui nel Mezzogiorno si è attivato il proces- so di trasformazione. Differentemente dal resto dell’Italia, nel Sud l’abbattimento dei privilegi feudali si è verificato come processo di razionalizzazione imposto dal- l’alto attraverso l’uso delle armi e della legge, mentre, al contempo, la situazione economico-sociale non era pronta a recepire le opportunità di cambiamento. In tal modo si venne a creare un gap tra opportunità di cambiamento e potenzialità di ricezione, colmato dal fenomeno del clientelismo. Il clientelismo, in quanto pecu- liare regolazione sociale attuata attraverso una manipolazione delle appartenenze, con tutte le ambiguità1 ad essa legata, ha comportato la degenerazione della forma assunta dalla modernizzazione. Il clientelismo ha da allora fatto parte della storia del Mezzogiorno, trasferendosi dal piano dell’economia fondiaria a quello politico.

L’azione di regolazione sociale del clientelismo all’interno della dimensione poli- tica ha, infine, generato un grave paradosso: il rafforzamento del consenso politico parallelamente all’indebolimento della fiducia nelle istituzioni. Con il passare del tempo il clientelismo politico ha vissuto una riduzione della componente dell’ap- partenenza a favore della dilatazione dei contenuti di scambio e di mercificazione accelerando, in tal modo, la degenerazione dei sistemi politici ed economici locali. Paradossalmente quindi, la diminuzione dei contenuti di appartenenza non solo non ha agevolato la formazione di una società moderna ed efficiente ma ha comportato un’intensificazione della degenerazione. Si ritorna così al punto di partenza, e cioè all’attenzione necessaria nel considerare l’ambivalenza dei fenomeni sociali. Il ruolo delle appartenenze, delle relazioni di comunità non è necessariamente deleterio se ben indirizzato attraverso una corretta regolazione sociale.

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