4.2 Il Terzo Settore nel Regno Unito
4.2.1 Statistiche nazionali
Con riferimento ai dati presentati per il Terzo Settore inglese si farà uso di tre differenti definizioni statistiche del fenomeno. La prima è quella di broad nonprofit sector (BNS) che corrisponde alla definizione usata dal Johns Hopkins Project. La seconda costituisce un sottoinsieme della precedente ed è denominata broad volun- tary sector (BVS) ed esclude dal precedente insieme partiti politici e congregazioni religiose. La terza è formata da tutte le organizzazione del precedente insieme meno tutte quelle che, nonostante lo status, non vengono considerate all’interno della tra- dizionale nozione di settore volontario nel Regno Unito, ciò sia per la vicinanza con lo Stato sia perché ritenute non sufficientemente altruistiche o orientate al benesse- re pubblico. Da questo ultimo insieme, il narrow voluntary sector (NVS) vengono pertanto esclusi musei, università, sindacati, associazioni di imprese, club sportivi e privati.
Nella prima tabella (4.1) sono raccolti alcuni indici di carattere economico ri- guardanti la capacità di impiego e di contribuzione al mercato del settore nonprofit, sia inteso nella sua accezione più ampia (BNS) che ristretta (NVS). Per necessità di sintesi tuttavia ci soffermeremo sui dati riguardanti il NVS. Il primo indicatore che verrà utilizzato per fornire l’idea della grandezza del Terzo Settore britannico è quello della capacità di assorbire forza lavoro. Nel 1995 il Terzo Settore impiega più di 7,8 milioni di volontari, equivalenti a 774 mila unità a tempo pieno (FTE1), e poco più di 500 mila lavoratori stipendiati FTE. Confrontando i dati con quelli di una delle aziende più grandi del Regno Unito, l’NHS, il rapporto con il Terzo Settore è di 2:1. In altri termini ad ogni due impiegati FTE nell’NHS corrisponde un impiegato FTE nel Terzo Settore: un paragone che da una idea della importanza del Settore e soprattutto della sua estensione. D’altronde ben il 2,2% della forza la- voro lavorativa nazionale trova occupazione presso il Terzo Settore, valore che sale al 5% se si considera nel computo insieme agli impiegati anche i volontari che operano presso le organizzazioni (Kendall e Almond, 1999).
Il contributo del Settore all’economia britannica oltre che dal numero di forza lavoro impiegata si può dedurre dalla entità della sua spesa totale. Con un valore di 40 miliardi di dollari la spesa totale del Terzo Settore si aggira a circa il 2,2%
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Tabella 4.1: Contributo del Terzo Settore britannico in termini economici. Dati al 1995. (Fonte: Kendall e Almond, 1999)
del GDP2. Il contributo sale considerando anche l’impegno volontario (calcolato sia in termini di costo-lavoro che di offerte filantropiche) passando dai 24,5 a quasi 40 miliardi di dollari, il 3,4% del GDP.
Come per il settore pubblico e privato, anche il Terzo Settore può essere descritto considerando i diversi settori in cui esso agisce. Questo genere di informazione è nota per il solo BNS. Oltre ad essere analizzabili in modo disaggregato, i valori nella tabella possono essere raggruppati differenziando tra Terzo Settore espressivo e Terzo Settore di servizio (Kramer, 1981; Salamon e Sokolowski, 2001; Salamon et al., 2003). Sinteticamente, per Terzo Settore espressivo si intende quel Terzo Settore impegnato in attività il cui principale proposito è la realizzazione di valori o preferenze o il miglioramento della qualità della vita (i.e. Culture & Recreation, Environment, Professional Association, Advocacy), mentre il Terzo Settore di servizio è impegnato nel rispondere tramite erogazione di servizi a bisogni sociali (i.e. Health, Social Services, Education & Research, Development ).
L’analisi della distribuzione della forza lavoro per settori di attività è un utile indicatore di quali siano le attività più diffuse. Guardando ai dati (tabella 4.2) ri- salta immediatamente come il Terzo Settore britannico sia sviluppato per quasi la sua totalità in soli tre settori: il settore dell’educazione e ricerca, della cultura e ricreazione ed infine dei servizi sociali. La diffusione di organizzazioni nel settore educativo è espressione di una articolazione del settore nonprofit britannico dalle lunghe origini. Particolarmente diffuse sono infatti organizzazioni a fine non lucra- tivo il cui obiettivo è quello di fornire servizi educativi, in particolar modo rivolti a
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bambini e giovani. Negli ultimi 30 anni all’interno di questo settore stanno emer- gendo nuovi enti educativi rivolti ai bambini in età prescolare, le pre-school, il cui principale obiettivo è quello di sviluppare nei bambini quei requisiti e quelle capa- cità necessarie ad affrontare la scuola negli anni futuri (e.g. capacità logiche, di concentrazione, di ascolto) (Office for National Statistics, 2006; Kendall e Knapp, 1995). Queste organizzazioni, sebbene classificate nel settore educativo contengono anche una dimensione ricreativa ludica, dimensione pedagogicamente necessaria nel relazionare con i bambini. Altrettanto comuni sono i club ed i circoli ricreativi a vario titolo, oltre che le organizzazioni indirizzate alla promozione delle arti e della scienza. Il nonprofit britannico infatti risente molto, sotto questo punto di vista, del modello Vittoriano e del modello giuridico di common law nel rapporto tra stato e società che intessono lo sviluppo della vita associativa e della comunità alla piena realizzazione dell’individuo (Anheier, 2005). Infine, anche l’estesa presenza di enti operanti nella fornitura di servizi sociali è rintracciabile ad una lunga tradizione che risale, come spiegato in occasione della sintesi storica-evolutiva, ai primi anni del XVII◦ secolo quando vigeva la dottrina delle mutually exclusive spheres.
Tabella 4.2: Distribuzione della forza lavoro in valori percentuali nel Terzo Settore britannico (BNS) in FTE per settore di attività. Dati al 1995. (Fonte: Kendall e Almond, 1999)
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Sebbene il settore della cultura e ricreazione sia capace di assorbire maggiore forza lavoro, il Terzo Settore britannico assume fondamentalmente una funzione di fornitura di servizi, piuttosto che espressiva. Questa tendenza risulterebbe plausi- bilmente ancora più marcata se si considerasse il settore nella sua definizione più stretta nella quale, come si ricorderà, sono escluse una parte consistente delle orga- nizzazioni operanti nel settore dell’educazione e della cultura e ricreazione (Kendall e Almond, 1999).
La distribuzione del volontariato non riserva particolari sorprese fatta eccezione per il settore dei servizi sanitari. Il contributo dei volontari si concentra all’interno delle congregazioni religiose (il 33% sul totale), nelle organizzazioni culturali e ri- creative (21%) e nel settore dei servizi sociali e del Development & Housing (13%). Mentre i volontari costituiscono la quasi totalità del personale all’interno delle con- gregazioni religiose, nel settore della cultura e ricreazione e dei servizi essi compon- gono circa la metà del personale, mentre costituiscono i due terzi per il settore dei servizi sociali e del Development & Housing. La diffusione dei volontari sembrerebbe quindi inversamente proporzionale al livello di competenze professionali necessarie nel settore. Quanto affermato risulta palese nel caso della sfera religiosa e culturale- ricreativa per quanto, tuttavia, appaia meno immediato nei due casi rimanenti. In realtà, è bene evidenziare come nel campo dei servizi sociali e del Development & Housing l’ampia gamma di ruoli ricopribili consente il coinvolgimento dei volonta- ri anche per attività a bassa qualificazione. Il tipo di preparazione eventualmente richiesta ai volontari per operare in questi due settori potrebbe essere eventualmen- te acquisita in itinere sul campo, come di fatto avviene in molte organizzazioni. Più difficile è invece l’interpretazione dei dati per i servizi sanitari dove non solo la presenza dei volontari è alta ma è addirittura maggiore del numero di impiega- ti. Una plausibile spiegazione è quella che richiama la lunga tradizione di attività di impegno filantropico nel settore medico-sanitario. Anche nel campo sanitario, inoltre, è possibile far valere il discorso della formazione in itinere o precedente l’impegno sul campo: corsi infermieristici ad hoc potrebbero essere implementati per permettere l’impiego di forza lavoro volontaria ma qualificata. Infine, l’impegno nel settore medico-sanitario non esclude a priori l’utilizzo di personale volontario a bassa qualifica da utilizzare in servizi o attività secondarie (i.e. cura della persona e delle stanze, cucina, animazione). È innegabile ad ogni modo la permanenza di dubbi sulla corretta interpretazione dei dati: i pochi dati a disposizione non aiutano infatti una lettura che vada oltre la formulazioni di ipotesi plausibili.
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I pochi dati disponibili in serie storica mostrano un Terzo Settore in crescita. Considerando sempre la percentuale della forza lavoro attiva del Terzo Settore sul totale nazionale britannico, dal 1990 al 1995 il Terzo Settore (NVS) mostra un incre- mento dall’1,7% al 2,2% (con una crescita del 29%). In valori assoluti, la popolazione impiegata passa dalle 390.000 alle 503.000 unità. Potendo fare un paragone, la cre- scita del NVS in quel periodo fu pari a quello del settore bancario e assicurativo nel medesimo intervallo di tempo (Kendall e Almond, 1999).
Figura 4.1: Fonte di reddito del Terzo Settore per anno e definizione del settore nonprofit. (Fonte: Kendall e Almond, 1999)
La crescita del Settore si accompagna ad una diversa configurazione delle fonti di reddito. Sia che si guardi considerando la definizione più stretta che quella più lasca (BVS), un dato rimane comune: la riduzione relativa della componente do- nativa delle entrate (philanthropy) controbilanciata dalla crescita dei finanziamenti dal settore pubblico. Per entrambe le definizioni di Terzo Settore, si registra infatti un notevole incremento del flusso pubblico che diventa nel 1995 la componente più importante di reddito. Sebbene il peso relativo delle entrate donative nel corso del quinquennio in questione sia diminuito, in termini assoluti l’entità delle donazioni è tuttavia incrementata per quanto non abbastanza rapidamente quanto la crescita del settore stesso. Anche le entrate derivanti dalla vendita del “servizio” (inteso in senso lato) sono relativamente diminuite pur in presenza di un incremento in termini assoluti (Kendall e Almond, 1999).
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L’accresciuta dipendenza dai fondi pubblici resa evidente nel grafico precedente rappresenta il risultato complessivo di un generale processo caratterizzante tutti set- tori di attività. Fatta eccezione per quello dell’istruzione, tra il 1990 e il 1995 il peso relativo del denaro pubblico sul totale delle entrate delle organizzazioni nonprofit è aumentato, talvolta considerevolmente come nel caso dei servizi sociali e della sani- tà. Questa strutturazione dei dati consente di osservare come l’appartenenza delle organizzazioni a diverse “issue networks” determini la sensibilità delle organizzazioni stesse a pressioni od opportunità provenienti dalle istituzioni o dalla società.
Figura 4.2: Fonte di reddito del Terzo Settore per settore di attività. Dati al 1995. (Fonte: Kendall e Almond, 1999)
L’enfasi riposta dal partito laburista sul Terzo Settore e sullo spostamento dei servizi dagli istituti al territorio, indicato con community care, contribuisce a spie- gare la crescita del flusso pubblico di denaro dentro le casse delle organizzazioni nonprofit, in particolare di quelle impegnate nei servizi di welfare. C’è da dire tut- tavia che i principali beneficiari del community care in un’ottica di welfare-mix siano state soprattutto le organizzazioni for-profit ed in particolare quelle di piccole di- mensioni ed impegnate nel settore dei servizi per gli anziani (Wistow et al., 1996). Un percorso simile a questo ha riguardato il settore sanitario, soprattutto nel campo della salute mentale e del nursing care.
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