3.4 Storia del Terzo Settore in Inghilterra
3.4.3 La ripresa del Terzo Settore
L’eclissamento nel secondo dopoguerra delle organizzazioni di volontariato nei servizi sociali, ad eccezione dei servizi sociali personali, fu rimediato in qualche mo- do dai cambiamenti soggiunti tra gli anni ’60 e ’70 che aprirono una nuova stagione. Durante questo periodo nuove organizzazioni con nuove caratteristiche emersero co-
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me il risultato del malcontento e della frustrazione per le deficienze ed inaccessibilità degli apparati statali. Lo stato aveva infatti fallito nei propositi di fornire servizi universali di alta qualità e completi, aveva fallito nei propositi redistributivi a favo- re di homeless e altri gruppi svantaggiati. Allo stesso tempo, l’emergere di queste nuove esperienze di Terzo Settore fu anche il risultato delle ondate di partecipazione e protesta determinato dai cambiamenti sociali e culturali di quel tempo, così come dal riconoscimento della emergenza di nuovi bisogni sociali.
Seguendo l’esempio statunitense, grandi organizzazioni nacquero con l’intento di reclutare ed allocare giovani volontari presso altre organizzazioni di Terzo Settore per la fornitura di servizi alla persona. Diventò evidente la rottura con i corpi volontari tradizionali che avevano dominato la scena fino ad allora e che spesso non rimanevano essi stessi immuni al cambiamento. Non si può tuttavia parlare di sostituzione dei servizi pubblici dal momento che non solo il Terzo Settore ma anche i servizi pubblici conobbero una fase di espansione (Hatch, 1979). In quegli anni, infatti, vi fu una crescente enfasi nel settore pubblico sui possibili benefici derivanti da una riforma organizzativa dei servizi pubblici, utilizzando economie di scala, processi di pianificazione, di coordinamento ed integrazione nella fornitura dei servizi. A seguito del Seebohm Report (1968), si procedette all’accorpamento dei dipartimenti per il welfare a livello locale riducendone così il numero al fine anche di consentire un più efficace effetto redistributivo dell’intervento pubblico. Questa riorganizzazione favorì, tra le altre cose, la rinascita dei servizi personali di welfare che da sfera negletta dei servizi di welfare divennero fulcro di una politica di rinnovamento, come anche dimostrato dalla crescita della spesa pubblica in quel settore in termini relativi rispetto i settori tradizionalmente sviluppati del welfare.
Questa sviluppo manifestava in maniera evidente la crescente consapevolezza della estensione della povertà e della presenza di bisogni di servizi sociali non soddi- sfatti. Le politiche di community care rivolte alla de-istituzionalizzazione dei servizi alla salute rendevano inoltre ancora più urgente una espansione di servizi sociali più completi. La presenza di ulteriori leggi come il Children and Young Person Act del 1969 e il Chronically Sick and Disabled Persons Act del 1970 portò un incremento di responsabilità per le autorità locali e stimolò nuove domande e più enfasi sui diritti.
Così come, appena dopo la guerra, lo scarso sviluppo del settore pubblico fu accompagnato dal medesimo trend per il settore volontario, allo stesso modo lo sviluppo del settore pubblico negli anni ’60 e ’70 si accompagnava alla rinascita
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di quello volontario. La differenza tra questo trend e quello del dopoguerra non è tuttavia di poco conto. Di fronte alla palese incapacità del settore pubblico di rispondere ai bisogni sociali, il Terzo Settore si vedeva finalmente riconosciuto un valore aggiunto. Sebbene per le autorità locali l’implementazione del Seebohm Report non si ebbe fino al ’71, ci furono ugualmente sviluppi legislativi che aumentarono le risorse del volontariato. Al livello centrale, il Children and Young Persons Act del ’69 (sezione 69) diede al DHSS poteri per garantire aiuto alle organizzazioni di volontariato che fornivano residential care sotto previsione di legge. Sempre al DHSS fu attribuito il potere dall’ Health Services and Public Health Act del ’68 (sezione 64) di fornire sussidi alle organizzazioni di volontariato che fornivano servizi sociali e sanitari simili a quelli forniti dal ministero. L’Home Office, sotto il Criminal Courts Act del ’73, fu abilitato a fornire fondi a quelle organizzazioni di Terzo Settore che fornivano alloggi ed opportunità di riabilitazione ad ex-detenuti in libertà provvisoria. A livello locale, la legge sui bambini del ’63 consentiva alle autorità locali di fornire assistenza al volontariato attivo per la prevenzione dei bambini, mentre l’Health Services and Public Health Act del ’68 (sez.65) autorizzava l’assistenza in beni e finanziamenti a quelle organizzazioni di Terzo Settore che fornivano gli stessi servizi della autorità pubblica in quel campo.
Alla fine degli anni 60 venne pubblicato The Voluntary Worker in the Social Ser- vices, noto anche come Aves Report (Aves, 1969). Questo Report fu una significante, sebbene non ufficiale, investigazione sul potenziale del volontariato. Nel Report il contributo dei volontari veniva visto come unico, sebbene non da usare come sosti- tuto di staff professionista ma bensì come mezzo per estendere e migliorare i servizi. Il maggiore contributo del Report fu quello di aver messo in luce i possibili benefici della integrazione del settore volontario con quello pubblico e viceversa. Piuttosto che consigliare la fornitura di servizi da parte del volontariato su contratto stipulato con il pubblico, il Report suggerì una vera e propria integrazione. Uno dei principali effetti del Report fu la creazione nel ’73 del Volunteer Centre, un corpo nazionale che finanziato in seguito dal governo centrale (sotto il nome di Voluntary Service Unit ) si ampliò per dedicarsi all’uso del volontariato negli ospedali, servizi sociali e prigioni. Inoltre, il VSU riceveva dal governo dei fondi, sebbene dell’ordine di pochi milioni di sterline, per finanziare le organizzazioni di volontariato
A distanza di cinque anni dall’Aves Report, una commissione guidata da Lord Wolfenden fu istituita per vedere il ruolo e la funzione del volontariato in UK nei 25 anni a seguire. Questa commissione di ricerca fu creata in seguito alla minaccia
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rappresentata dall’inflazione per l’indipendenza del settore volontario, e al fine di studiare le implicazioni per il settore in presenza di una riorganizzazione del gover- no locale e dei servizi sociali alla persona. Il Wolfenden Report (1978) rinvenne un diverso peso giocato dai 4 settori nel rispondere ai bisogni sociali. Mentre il set- tore informale e quello statale costituivano i principali erogatori, il mercato aveva un ruolo marginale e il Terzo Settore sussidiario. Data questa configurazione, il Wolfenden Report suggeriva un maggiore coinvolgimento del Terzo Settore da parte dello Stato attraverso una politica di condivisione. In tal senso si sarebbe dovuto invertire, secondo esso, l’espansione che aveva caratterizzato il settore pubblico per dare maggiore spazio al volontariato. Questo perché il volontariato avrebbe potuto contribuire ai servizi forniti dal pubblico in tre modi: estensione della fornitura (in virtù dei caratteri innovativi del settore volontario questi erano capaci di creare più scelta), crescita della qualità (per la competizione innescata dalla sua presenza e soprattutto per il ruolo di advocacy e critica dell’operato dello Stato) e fornitura di servizi lì dove lo Stato non era attivo. In relazione al settore informale, invece, il ruolo del volontariato sarebbe stato di supporto in altre tre modalità: sostituzione della rete informale dove questa non poteva agire, offerta di ristoro temporaneo per i carer informali e rinforzo della cura fornita informalmente attraverso supporto in termini di incoraggiamento, preparazione delle abilità necessarie e risorse materiali.
I punti di forza del Terzo Settore, tuttavia, implicavano secondo il Report pro- blematiche importanti in termini di coordinazione, mantenimento degli standard di servizio e presenza laddove necessario. Per tale motivo il Report suggerì che lo Stato acquisisse l’obiettivo di rimediare a tali difetti attraverso piani locali e nazionali ca- paci di influenzare lo sviluppo e l’azione volontaria. Ulteriore problema da risolvere riguardava la dimensione finanziaria delle organizzazioni di volontariato. Come già detto il Terzo Settore tendeva a mancare proprio dove maggiormente era necessaria la loro presenza, ossia in quei territori più poveri incapaci di convogliare risorse pri- vate (a titolo più o meno donativo) verso il Terzo Settore. La crescita dell’inflazione aveva poi peggiorato questa tendenza. L’unica alternativa fattibile che il Report propose fu, date le condizioni e dopo una attenta analisi di queste, una maggiore dipendenza del Terzo Settore sui fondi pubblici. Dei suggerimenti forniti, tuttavia, non si trassero azioni concrete se non il prolungamento di finanziamenti per alcuni progetti pilota quali, ad esempio, l’Urban Programme.
Fin dai primi anni ’70, quindi, il riconoscimento del valore delle organizzazioni di Terzo Settore andava di pari passo con l’incremento dei sussidi governativi ad esse
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destinate, sussidi che per quanto accresciuti costituivano solo una piccola porzione sul totale della spesa pubblica destinata al campo dei servizi sociali. Dal punto di vista del Terzo Settore, l’aumento delle opportunità di finanziamento da parte dello Stato costituiva una soluzione appetibile per far fronte all’inesorabile calo delle entrate per donazione. In tal senso crebbe la dipendenza delle organizzazioni di Terzo Settore dai finanziamenti pubblici. Una dipendenza tuttavia bilaterale, dal momento che anche il governo cominciava a fare sempre più affidamento per l’implementazione delle proprie politiche sulle organizzazioni di Terzo Settore.
Il fatto che tale relazione possa definirsi in termini di “partnership” sembra, tut- tavia, discutibile. Se si definisce il concetto di partnership come implicante una qualche reciprocità tra Stato e Terzo Settore dove a quest’ultimo sono riconosciute in qualche misura autonomia e indipendenza, l’utilizzo del termine rischierebbe di essere fuorviante. L’esperienza di molte organizzazioni che ricevettero dal settore pubblico finanziamenti vivevano infatti una relazione di dipendenza non solo dal punto di vista economico, aggravata dal variare senza un adeguato preavviso dei fondi pubblici, ma anche e soprattutto dal punto di vista programmatico dove le or- ganizzazioni di Terzo Settore erano costrette a ritagliare le proprie attività secondo le priorità stabilite unilateralmente dal partner (Brenton, 1985). Sebbene relazio- ni mutuali eccellenti non mancassero, le organizzazioni di volontariato in generale faticavano in questa fase nell’esercitare alcuna significativa influenza sulle priorità dell’agenda politica nel campo sociale o sulle attività e servizi a cui contribuivano. E, tuttavia, la posizione del governo su questo punto era almeno a parole differen- te. Ne è esempio il documento “The Way Forward ” pubblicato dal DHSS (1977) il quale descriveva il rapporto con il Terzo Settore in termini di partnership, come una relazione di collaborazione dove il volontariato e i servizi socio-sanitari a livello nazionale e locale erano chiamati a pianificare e lavorare insieme.