Nonostante l’aridità dell’estate, l’umidità non accenna ad abbandonare lo stucco delle pareti, su cui le macchie cambiano colore in base alla stagione. In inverno assumono il colore dello zafferano mentre d’estate impallidiscono come urina secca. La stanza, chiusa, impedisce l’evaporazione dei malumori. L’anta dell’armadio, che Félix Arcadio Montero lasciò socchiusa quando scelse il mio abito bianco con le margherite gialle, lasciava scappare la dolce essenza dei profumi svaniti, mescolati all’odore di candeggina e amido che la lavandaia usava per le mie camicie di lino. Perché proprio quel vestito di campagna? Tessuto di cotone, fresco e leggero nonostante le maniche lunghe che mi proteggevano dal sole. Forse Don Félix riteneva che la cintola, ormai slabbrata poiché usato durante le ultime gravidanze, potesse accogliere comodamente il suo corpo imponente. Leggero, comodo per le passeggiate all'aria aperta, quel vestito copriva le mie gambe e il mio corpo che assumeva i colori del parasole giapponese con cui lo accompagnavo. Era quello che avevo intenzione di indossare per il viaggio a Las Ánimas, il primo Gennaio, viaggio che non è mai stato fatto, perché Armando temeva che la situazione politica potesse lasciarci isolati o creare maggiori problemi. Alajuela è piena di affiliati al partito dei cattolici e questi non ci amano particolarmente. E come potrebbero se noi cubani siamo nemici dei re cattolici! Ero molto dispiaciuta per aver dovuto sospendere questa passeggiata. Las Ánimas è un posto bellissimo e lì, di solito, sto molto tranquilla. C’è talmente tanto spazio da perdersi tra le piante di caffè mentre l’angoscia viene portata via dalla brezza. C’è un piccolo stagno in cui nuotano le anatre e nel giardino c’è un prato su cui sono seminate tutte le piante della regione: la monstera religiosa, le piante di ibisco e i cactus che emanano il loro profumo al calar della notte. La casa è in pietra, vecchia, dalle piastrelle ci sono perdite che non cadono mai nello stesso punto. All’interno è fresca e quasi vuota, ci sono solo i mobili indispensabili per la minima comodità. Mi piace l’austerità di Las Ánimas, invita a rilassarsi e a riposare. C’è così tanto da vedere lì che dimentico ogni disgrazia; una farfalla che svolazza con atteggiamento indifferente, un uccello nervoso e spericolato, gli scoiattoli che corrono a nascondersi traditi dalle loro belle code … a Las Ánimas Armando mi lascia libera. Posso sdraiarmi sotto gli alberi da frutto e perdermi tra le piante di caffè guardando i raccoglitori con i loro grandi cesti legati alla vita. Posso prendere un cavallo e cavalcare lontano. In cucina, oscurata dalle tracce del fumo che non ho voluto imbiancare perché mi piace così, mi diverto a sbattere la crema pasticcera e a fare marmellate che i bambini divorano, felici di vedermi sorridere. Le mattine sono più pulite, limpide, e le colazioni
34
abbondanti. I pomeriggi sono sereni. Armando fuma, si impigrisce nel lungo corridoio, scherza e il mondo diventa vivibile. Nella vastità di Las Ánimas, ritrovavo la gioia dell’essere madre. Qui invece mi sono sempre sentita soffocare dai litigi irrisolvibili, da domande e richieste che necessitavano uno spazio più grande di questa enorme casa. Obbligati all’isolamento dalla città, qui uno intralciava l’aria dell’altro. Gli amori non possono crescere se le braccia che si aprono si scontrano con le pareti. Don Felix ha portato con se il vestito che amo di più. Chissà cosa ne farà quando non ne avrà più bisogno. Lo regalerà ad una contadina, figlia o sposa di un fante che milita nel suo partito. Fu divertente vederlo mentre si vestiva, ed i suoi inutili sforzi per chiudere i primi bottoni sulla schiena. Cercò di metterselo al contrario, con l’abbottonatura sul petto; così, quegli orribili peli sul dorso gli spuntavano come erbacce appassite tra le margherite. Infine, vedendo di non riuscire a porre rimedio al problema, indossò lo scialle di velluto che usavo per il teatro. Suppongo che, dalle spalle, il vestito abbia subito una scucitura. Poi salì su una sedia per prendere la scatola rotonda in cui conservo i miei cappelli. Li gettò a terra senza alcuna considerazione: sparsi qua e là, il pavimento della mia stanza sembrava mostrare la fuga frettolosa di una donna il cui amante la attende su una scala appoggiata alla finestra. Con un gesto di buon gusto, indossò un pamèla32 con il nastro blu. L’ho visto ridere allo specchio … la barba, irsuta da più di tre giorni, offendeva la delicata trama della fibra dorata, mentre il nastro azzurro scendeva al lato dei suoi baffi. Lo rimise nella scatola. Senza cura conservò gli altri cappelli, schiacciandone il feltro, le piume e i veli; poi si rimboccò i pantaloni, così che non spuntassero da sotto l’orlo del vestito abbastanza corto da facilitare le passeggiate nel campo. In ogni caso, non era necessario perché Don Félix è più basso di me. Quello a cui non poté rimediare furono i suoi stivali. Mise i suoi vestiti in un bellissimo grembiule di pizzo e uscì dalla porta dell’autorimessa. Vorrei poter uscire dalla città e nascondermi in un posto sicuro. Non voglio che il mio vestito venga distrutto da mani brute.
32 Pamèla s.f. ( dal nome proprio Pamela, diffuso nel sec. 18 per influenza dell’omonimo romanzo dello scrittore
ingl. S. Richardson 1741 e delle commedie del Goldoni). Cappello femminile di paglia a larghe tese, annodato con nastri sotto il mento, in uso nella moda soprattutto nei sec 18 e 19.
35