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Città-cannibali

Nel documento Synch - Fra l'attimo e l'evento (pagine 50-52)

Capitolo II – Ciò che resta dell’ambiente

II.I Città-cannibali

Se l’urbanizzazione e l’accumulazione sono, in qualche modo, sullo stesso piano e contemporaneamente corresponsabili di mutazioni deterioranti per le città, per Harvey è possibile utilizzare formule come capitalizzazione urbana o «urbanizzazione del capitale»78. La metamorfosi dell’ambiente rispecchia parallelamente l’imprevedibile corsa dei capitali investiti, dando luogo a fenomeni di suburbanizzazione e gentrificazione: l’accelerazione impatta impetuosamente nello spazio urbano, costruendo e distruggendo in risposta ai tempi della produzione e del consumo.

macroscopica il geografo critico britannico analizza in questa sede l’inclusione coatta nel mercato globale di realtà statali sotto certi rispetti resistenti ad una tale incorporazione. In alcuni casi, perciò, un intervento militare serve a rendere attiva una nuova forma della colonizzazione non tanto tramite un’occupazione logistica e uno sfruttamento diretto delle risorse di altri stati, bensì con una riconfigurazione governativa che mira ad annettere un contesto, prima estraneo, alle dinamiche della globalizzazione. Riguardo a simili inclusioni l’autore fornisce esempi specifici: l’Iraq (Harvey 2006, pp. 9-11), il Cile e più in generale i paesi dell’America latina (Cfr. Ivi, p. 12), il Nicaragua (Cfr. Ivi, pp. 21-22) ed il Messico (Cfr. Ivi, pp. 22-23) sono stati che hanno subito, in modi eterogenei, un incorporamento traumatico nel mercato globale a seguito di operazioni militari coordinati dagli USA. Tutte le fasi congiunturali della storia recente che riguardano simili contesti ci vengono presentate, nel testo di Harvey, sotto la luce di un coinvolgimento in macro-rotazioni capitaliste che hanno causato effetti di ‘pressurizzazione’ in realtà prima non affette dalle leggi del mercato globale, con conseguenti stravolgimenti spazio-temporali: dopo un riassestamento governativo imposto, le stesse nazioni si sarebbero ritrovare de

facto impossibilitate a non competere, catapultate in una spirale economica accelerante che le avrebbe portate ad ulteriori

ondate d’indebitamento. La prospettiva delle ri-spazializzazioni capitalisticamente orientate, infine, è accompagnata in

Spaces of Global Capitalism dalla categoria marxiana-luxemburghiana della accumulation through dispossession:

«Uneven geographical development is a corollary of such diverse processes. Clearly, there is a great deal of contingency through dispossession. But the general proposition still stands: that there is an aggregate degree of accumulation through

dispossession that must be maintained if the capitalist system is to achieve any semblance of stability. Uneven

geographical development through dispossession, it follows, is a corollary of capitalist stability»; Ivi, p. 93.

75 Ivi, p. 192. 76 Cfr. Ivi, p. 193.

77 «Il denaro rimane la principale fonte di potere sociale e quelli che Marx chiama i suoi effetti dissolventi sono sempre

all’opera all’interno della famiglia o delle comunità autentiche alternative che i gruppi sociali cercano di formare»; Ivi, p. 218.

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Ammettere un legame fra accelerazione e suburbanizzazione significa necessariamente che i poteri – speculari dei capitali che costituiscono il cambiamento urbano – ricerchino un incremento del tasso di suburbanizzazione. Il fenomeno della suburbanizzazione si rivela, nella ricostruzione harveyana, in parte residuale di un processo senza controllo, in parte legato ai profitti dello stesso capitalismo sub-urbanizzante. L’espansione delle periferie europee e statunitensi in modi disorganizzati, quasi metatastatici, è manifestazione per Harvey dell’assenza di una progettazione architettonica e urbanistica: una progettualità non più possibile, per le moderne amministrazioni, salvo i casi in cui arte e creatività possano offrire nuove modalità di profitto (design).

Sul finire degli anni ’80 le città presentate da Harvey non sono spazi in cui, al raffronto coi dati raccolti, la variazione delle velocità (dei mezzi di trasporto o del costruire, ad esempio) aumenta realmente. Le metropoli accelerate non sono più ‘centri,’ ma ‘snodi’ di passaggi diversi. La loro forma, infine, non è più la stessa, se di ‘μορφή’ si può ancora parlare. Il compimento della capitalizzazione del contesto urbano risulta nella sua trasfigurazione a ‘network’, snodo di flussi finanziari e informatici che si differenzia per la velocità di transito di mezzi e merci.

Non soltanto i processi di trasformazione urbana pre-moderni si susseguono su base diversa ed il declino dell’urbanistica inizia con l’avvento storico del sistema capitalistico; la penetrazione biopolitica del capitalismo sarebbe stata più lenta e incostante senza il fattore della concorrenza interurbana prima, interregionale poi ed infine interstatale. L’evoluzione del potere capitalista lascia le sue tracce in una riconfigurazione mondiale dell’abitare ed i confini, come è lecito supporre, ne sono i protagonisti.

La prima variabile che promosse la metamorfosi urbana della modernità, per Harvey, fu la concorrenza: «Senza la forza della concorrenza interurbana, il capitalismo sarebbe penetrato nella produzione molto più lentamente, e forse la sua espansione sarebbe stata del tutto bloccata»79. Discorrere di mutamenti prodotti e direzionati dal capitalismo perderebbe di senso senza una prospettiva di carattere storico: proprio a cagione di ciò le pagine di The Urban Experience si sovrappongono, tramite numerosi riferimenti, a quelle del terzo volume della serie braudeliana

Civilisation matérielle, économie et capitalisme (1979) intitolato Le Temps du monde.

Braudel, nel circoscrivere cronologicamente il suo campo di ricerca dal XV al XVIII secolo, fonde archeologicamente cambiamenti economici e urbanistici nell’analisi dei ‘Comuni’, con particolare riferimento all’Europa e all’Italia. Nell’epoca d’oro del mercantilismo i flussi di denaro impattavano sull’urbanizzazione e la modificavano, facendola dipendere sempre di meno dalle disposizioni delle autorità regie o amministrative. Per quanto possa apparire complesso ricercare processi di suburbanizzazione ante tempore nel passaggio fra medioevo e modernità proto-capitalista, la transizione dal Basso Medioevo al Rinascimento consente ad Harvey di scorgere un orientamento comune nella costruzione delle città occidentali che procede di pari passo con il defilarsi dell’economica mercantile: «La città preindustriale deve essere disciplinata e svezzata, deve abbandonare le sue propensioni mercantiliste, i monopoli, l’idea che il luogo abbia un primato sull’organizzazione capitalistica dello spazio nella quale devono prevalere localizzazioni relative, a scapito di ogni localizzazione assoluta. L’incorporazione della città-stato nel quadro più ampio dello stato-nazione, una tensione studiata a fondo da Braudel, rappresenta un passo importante nella direzione giusta»80.

Un punto di partenza per storici come Braudel e geografi come Harvey, così come per la maggior parte dei teorici della SAT, rimane la modernità. Se la città-stato risulta in qualche modo un centro

79 Ivi, p. 42. 80 Ivi, p. 45.

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per se stessa, la sincronizzazione dello spazio alla circolazione delle merci prima, e al movimento di capitali successivamente, comporta una relativizzazione dei luoghi: a partire dalla modernità nuovi

centri provvisori s’instaurano ove il transito economico si accelera e ciò non corrisponde

necessariamente all’ampliamento dei contesti urbani precedentemente abitati, né ad una progettazione architettonica sostitutiva.

Gli effetti del capitalismo urbano in epoca moderna vengono ricondotti da Harvey all’espressione

cannibalizzazione81: la relazione fra macro- e micro- come relazione gerarchica è indagata dal geografo critico nella ricostruzione della fine del borgo e nell’accettazione di una crescita infinita e anomica della città capitalizzata. Commisurare il bisogno di trasmettere informazioni in regioni più vaste, così come imporre, in quanto standard richiesti per i trasporti, velocità che facciano circolare merci e persone da un punto all’altro di un intero stato, o perfino di un continente, de-centralizza ancora di più il ‘non-più-centro’ urbano e invalida la possibilità di un’auto-organizzazione municipale.

Il controllo degli spazi tramite velocità maggiori da parte degli Stati moderni non solo cannibalizza realtà più ristrette e le loro temporalità (ciò che non è ben collegato diviene, per questo motivo, anacronistico); la variazione di grandezze e velocità gioca un ruolo fondamentale, nel materialismo geografico harveyano, nella neutralizzazione dei conflitti di classe. A questo riguardo egli scrive:

È interessante, per esempio, il fatto che nei paesi europei in cui il socialismo municipale ha già vinto le sue battaglie, i poteri corporativi dell’alleanza di classe a base urbana sono ridotti a vantaggio dei poteri dello stato nazionale, nel quale la borghesia può meglio difendere la propria posizione. La stessa allocazione dei poteri tra regione urbana, stato e organi multinazionali è un esito della lotta di classe. La borghesia cercherà sempre di sottrarre autorità, potere e funzioni agli spazi che non è in grado di controllare per spostarli in quelli in cui è egemone82.

Le città, intese come creature della modernità che rispondono a bisogni dello Stato moderno – all’intero di una riflessione, come quella harveyana, ove non si dà una netta distinzione fra l’avvento della modernità e quello del capitalismo –, sono perciò caratterizzate dalla tendenza all’erosione e all’appiattimento di qualsiasi ‘blocco’ per il transito (di risorse e di merci, di esseri umani). Lo scopo della città moderna, in questa prospettiva, è dissolvere internamente e esternamente qualsiasi rigidità (come quella che potrebbe essere rappresentata dalla coesione di una comunità83 radicata territorialmente) per incrementare la possibilità di una mobilitazione.

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