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Il ricercatore universitario come speed winner

Nel documento Synch - Fra l'attimo e l'evento (pagine 95-100)

Capitolo III – Accelerazione, Istituzioni, Poteri

I.I Il ricercatore universitario come speed winner

Se si può, a causa dell’abbondante mole di scritti degli ultimi anni, parlare di una sociologia

dell’accelerazione, non si potrebbe ignorare come essa stessa prenda in esame il suo darsi accelerato

in quanto trend del mercato accademico. Il tema dell’accelerazione accademica diventa centrale nel volume Accelerating Academia (2016), in cui la riflessione vostaliana prende le mosse da un’interrogazione che inserisce la stessa SAT fra i brand della ‘produzione accademica’ della contemporaneità. In che modo il mondo accademico è influenzato dall’accelerazione sociale? Qual è il ruolo che gli accademici assumono al processo accelerativo?

In Infinite throught. Truth and the return of philosophy (2005) il filosofo marxista Alain Badiou propone per la filosofia dell’oggi e dell’avvenire un compito e un dovere, quello del rallentamento, che il pensiero deve incarnare, custodendo in sé un groviglio di connessioni da scoprire. La velocità degli accadimenti dell’epoca contemporanea sembra complicare l’operare dei filosofi, lasciando in loro una sensazione di inconsistenza202. La preoccupazione per l’inconsistenza del procedere degli studiosi, formulata da Badiou, si rende manifesta per Vostal nell’espressione di un’insofferenza

costante da parte degli accademici contemporanei in merito alla velocizzazione della loro professione.

Essa s’accompagna ad uno stereotipico elogio della lentezza, che non si rivela affatto dirimente dal

côté propositivo e appare, da un punto di vista editoriale, come una vera e propria moda ‘contro-

accelerativa’.

È evidente, per Vostal, che una struttura economica di fattura capitalista faccia da motore dell’accelerazione sociale, così come è altrettanto chiaro che il capitalismo, nella corrente ascensionale che porta le sovrastrutture ad una continua mutazione, non possa essere ridotto al mero aspetto economico e vada inquadrato in quanto «process of reproduction of social life»203. In questo senso, Vostal riconduce la produzione accademica attinente al tema della ‘lentezza’ – spesso connaturata da un’atmosfera di nostalgia storica tendente al moralismo – alla domanda del mercato

202 «This speed exposes us to the danger of a very great incoherency. It is because things, images and relations circulate

so quickly that we do not even have the time to measure the extent of this incoherency. Speed is the mask of inconsistency. Philosophy must propose a retardation process»; citato in Vostal 2016, p. 3.

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del sapere delle società accelerate. Il fenomeno è, d’altra parte, rispondente al meccanismo sovrastrutturale dell’istituzione universitaria che dipende dalla struttura capitalista: l’accelerazione

reale dei flussi economici si ripresenterebbe, rappresentativamente, nella produzione culturale

attorno a temi editoriali come l’accelerazionismo o la de-crescita felice.

L’ideale del ‘rallentamento del sociale’, nel suo impossibile darsi nella contemporaneità a causa del dominio capitalista, compone lentamente una letteratura consolatoria per il soggetto sincronizzato dell’oggi, in perfetta consonanza con l’idea che tutto possa essere reso ‘più-nuovo’ (innovato) a patto che la riproduzione sociale del sistema capitalista non s’inceppi.

Inquadrando, in chiave marxista, lo scorrere dei capitali come principale motore del cambiamento nelle società odierne, Vostal sottolinea come la sovrastruttura accademica tenda a riflettere, nella sua metamorfosi, un adattamento al capitalismo.

Proprio in quanto sovrastruttura, l’accademia diviene in una certa misura artefice di corrispettivi processi di auto-condizionamento e rafforzamento dello status quo. Districando il paradosso del tema della lentezza, che produce un numero esorbitante di articoli, saggi e monografie ad un ritmo

accelerato per il suo farsi moda, Vostal presenta ai suoi lettori un’accademia bifronte e

contraddicentesi, che partecipa di due modalità temporali. La prima si lega alla potenza speculativa, alla calma del pensiero (θεωρεῖν); l’altra si sostanzia nella ricerca di un procedere avanguardistico, di un avanzamento che si traduce, accademicamente, nel bisogno di ‘innovare’:

In this sense, it might be said that modern academia has historically assumed two temporal

modalities. It has been an institutionalized space struggling to secure time for thought,

consideration and the slower, time-consuming and lengthy scholarly and scientific conduct deliberately detached from the faster pace of capitalist production, media, politics and their ideological apparatuses; at the same time, it has also been a symbol and an instrument of modern

progress, where individual academics and scientists have formed disciplinary associations and

alliances, and advocated (to various degrees, and in diverse incarnations) socio-political, economic, scientific and cultural change204.

Come può spiegarsi un simile cortocircuito? Il saggio di Vostal non permane nella relazione fra mode e capitale (à la Simmel) a livello strutturale; la ricerca si muove verso lidi più ristretti, incentrandosi su interviste qualitative svolte a professori e ricercatori impiegati nelle università britanniche. I dati raccolti, d’altra parte, sembrano convergere spontaneamente attorno al campo semantico del ‘management’: la professione manageriale diventa simbolo di riferimento per l’accademico, impegnato nella peculiare forma di sincronizzazione che egli sperimenta immettendo la propria opera nel circuito dei prodotti culturali.

Gli studiosi sembrano, difatti, riferirsi al modello manageriale nel bisogno di mantenere livelli di efficienza e produttività accettabili per conto delle istituzioni universitarie. Il manager più abile non incorporerebbe solo nuove skill lavorative – come alti livelli di resistenza allo stress, maggiore

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adattabilità contestuale e un criterio decisionale agile e flessibile205 –, ma si troverebbe a suo agio in un «permanent state of emergency»206.

Sia l’accademico che il manager della contemporaneità intraprendono una ‘lotta contro il tempo’ (sociale), che li costringe all’adattamento. Ciò nonostante, la medesima lotta assume i tratti di una

gara, alla quale è doveroso partecipare: la realizzazione professionale si ottiene, prima di tutto, nel

momento in cui accademici e manager si rispecchiano in degli «speed winners»207. Un’aggettivazione ancora più perspicua, a tal riguardo, è quella che si trova nella formula di Nigel Thrift, ripresa da Vostal, della «hair-trigger responsiveness»208.

Il sintagma ‘hair-trigger’ è usato nella lingua inglese in riferimento alle armi, ove la sensibilità del grilletto è tale da rispondere immediatamente alla pressione del polpastrello. Questa ‘reattività’ alla velocità del cambiamento delle situazioni, che fa dell’adattamento uno stile di vita, viene presa a modello non solo dagli accademici, bensì da tutte le istituzioni odierne. Tale responsività ‘dal grilletto facile’, che trasla la de-contestualizzazione adamiana in una skill professionale, è suggerita dai poteri istituenti e perseguita dagli attori sociali come «a mean of making different things significant and worthy of notice»209.

È lecito chiedersi, dunque, come un ricercatore possa diventare imprenditore di se stesso210 e verificare in che modo la stessa trasposizione del modello manageriale in ambito accademico modifichi radicalmente l’istituzione universitaria. Il ricercatore-manager, ad esempio, nella competizione rispetto ai colleghi non si porrebbe l’obiettivo del ‘superare’ l’antagonista, ma di

doppiarlo211, basando la propria realizzazione sull’annientamento dell’altro e sulla sua esclusione dalla sincronizzazione accademica mediante una padronanza eccellente della potenza accelerativa.

In aggiunta, il ricercatore-manager dovrebbe riuscire a volgere a suo favore una congerie di stati emotivi e psicologici che, altrimenti, diverrebbero patologici e comporterebbero un detrimento del suo agire, fra cui «health-threatening stress, exhaustion, insomnia, anxiety, shame, aggression, feelings of out-of-placeness and fraudulence and fear of exposure»212. Tale professione, risultante da una fusione chimerica di due modelli precedentemente eteromorfi, implica un riassestamento della temporalità umana in una temporalità accelerata che possa gioire della produzione culturale come

205«Thrift notes that in a post-Fordist configuration of capitalism, management cultures in firms and corporations are reshuffled. Fast subjects are interpellated in several ways. Business practices assume specific skills and style: high levels of stamina, endurance, quick and effective decisionmaking ability, flexibility, and agility. These are properties and cultural modalities of top management of big firms – of speed winners – who confront remorseless pressure toward the

short-term […] face remorseless pressure to be creative, while also conforming to the assumptions of bureaucratic auditing. Against this background, what is striking are the efforts to produce new kinds of fast management subjects able

to swim with the current»; Ivi, p. 51.

206 Ibid. 207 Ibid. 208 Ibid. 209 Ibid.

210«[T]he crucial concern was that although academic workers work for a de jure public institution, they are de facto (forced to be) increasingly autonomous of it as higher education policy becomes a subset of economic policy»; Ivi, p. 88.

211 Il verbo viene tratto dal mondo sportivo e trova maggiore utilizzo soprattutto in riferimento alle gare automobilistiche.

Vostal lo permuta, per indicare l’impeto a raggiungere un distacco non più colmabile proprio a causa del raggiungimento di una velocità assolutamente vincente, dallo storico Moishe Postone (più specificamente dall’opera del 1993 Time,

labour, and social domination. A reinterpretation of Marx’s critical theory) che collaborò per svariati anni con il

celeberrimo Institut für Sozialforschung di Francoforte. In lingua inglese la trasposizione del doppiare assume la forma del verbo composto ‘to outcompete’. Per questo riferimento, Cfr. Ivi, p. 36.

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alla fine di una battaglia, in cui il nemico (più che l’avversario) viene annientato, poiché tagliato fuori dalla gara, desincronizzato.

Attorno alla presenza chimerica del ricercatore rinveniamo, in Accelerating Academia, due testimonianze radicalmente eteromorfe fra loro del tipo accademico. La prima è quella di un ricercatore che, essendosi formato nel campo dell’alta finanza, apostrofa il lavoro accademico come un hobby213. Questa considerazione è resa possibile, nell’interpretazione di Vostal, a causa di un passaggio da un regime temporale a più alta pressurizzazione a quello, depressurizzato, del lavoro di ricerca. La professione accademica, per l’ex-manager, è meno intensa, esperibile come un hobby; allo stesso modo, all’attitudine manageriale viene ascritta una potenzialità estrema di adattamento, che permetterebbe di situarla al vertice della piramide della sincronizzazione capitalisticamente orientata delle società contemporanee.

La seconda, diametralmente opposta, è quella di un ricercatore che, interrogato il merito alla temporalità del proprio operare, adopera l’espressione «borrowed time»214. Egli motiva il medesimo sentire spiegando come, per la durata annuale del contratto, i ricercatori precari debbano investire una porzione rilevante del proprio tempo in una ‘ricerca’ diversa, quella dell’assegno successivo o di un posto di lavoro più stabile215. La precarietà non permetterebbe, di conseguenza, di abbandonarsi totalmente al perfezionamento del proprio lavoro, facendo crescere nel ricercatore la sensazione di dover chiedere del tempo ‘in prestito’ alle istituzioni per continuare i propri studi. L’intervista presenta più volte, inoltre, l’attribuzione di lusso in riferimento alla disponibilità di tempi liberi.

La divergenza fra queste testimonianze porta l’autore a formulare delle domande, intonate criticamente, che guidano l’intera opera. Esse si rivolgono all’accademia stessa e riguardano il suo desiderio di sincronizzarsi con i regimi temporali di altre sfere lavorative, come nel caso del modello del ‘ricercatore-manager’: «Is the academy retreating from the Humboldtian and Newmanian idea of

university and fully surrendering itself to the forces of capitalism; compressing its infrastructures,

operations and provisions; attempting to develop a platform for slow time? Are universities being increasingly re-synchronized with the capitalist system and its material and cultural imperatives?»216. Per ribattere a tali quesiti, Vostal indirizza la sua ricerca verso l’individuazione di snodi di congiuntura fra sfera economica e università, nella quale si svelano i volti di alcuni attori politici. Inizialmente il sociologo si concentra sulle riforme in ambito universitario svolte dal partito labourista inglese217 nel corso degli anni ’90. Successivamente, vengono presentate dichiarazioni del premier David Cameron (facente parte, invece, del Partito Conservatore) che si pongono in diretta continuità con l’intento di un’assimilazione della sfera universitaria a quella dell’economia capitalista, trascendente lo schieramento partitico: «As part of our long-term plan to help secure Britain’s

213 Scrive Vostal a riguardo di questa intervista: «Particular biographical facts and professional experience lay the groundwork for absorptive capacities of this kind. This significantly determines the personal framing of one’s position and subjective perception of time. Perceiving and ‘living’ an academic job as a hobby is clearly associated with past professional experience of different, heavier workplace demands»; Ivi, pp. 133-134.

214 Ivi, p. 137.

215Il commento del sociologo ceco rispetto alla precarizzazione nell’ambito della ricerca, dopo gli estratti dell’intervista suddetta, è il seguente: «Job insecurity likely makes the experience of acceleration far more intense: junior scholars have much less to rely on, both psychologically and professionally. […] The situation is potentially different if a junior scholar has to keep abreast of not only the constant institutional demands but also sesarching for his or her next job, which involves application procedures, moving and so forth every couple of years»; Ivi, pp. 137-138.

216 Ivi, p. 62.

217 «I will focus on the British case. This is because at least since the New Labour government of the late 1990s, the idea

of the knowledge economy has been navigating and substantially influencing the overall direction of higher education policy»; Ivi, p. 89.

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economic future, I want to see higher education and enterprise work hand in glove to boost growth

and create even more jobs. Our world-leading universities have historically been at the heart of innovation but we need to give them the tools to be even better at cultivating the seeds of growth as

well as knowledge»218.

All’istituzione universitaria, perciò, spetterebbe il compito di accrescere la capitalizzazione mediante la ricerca dell’innovazione tecnica della produzione economica o tramite la riproduzione simbolica delle sovrastrutture. Mano nella mano, impresa e istituzione universitaria sono difficilmente discernibili negli obiettivi finali: il fattore più urgente, per entrambe, è l’incremento della crescita (growth).

Dei canali preferenziali per l’imporsi del connubio ‘capitalismo-università’, a tal riguardo, si rivelano essere le operazioni della OECD (Organisation for Economic Co-operation and

Development), organizzazione internazionale che occupa un ruolo decisivo nel rapporto fra Ministeri

dell’Istruzione dei paesi europei e mercato globale. Finanziamenti e progetti di ricerca che provengono, in modi diversi, dalla OECD possono essere documentati tramite gli studi riportati in

Times Higher Education, un periodico che Vostal analizza criticamente, alla ricerca di linee guida

nell’esplorazione dell’economicizzazione accademica219.

Alla base delle iniziative della OECD si staglia il concetto di ‘knowledge-economy’: «The knowledge economy as a vehicular idea is meant to get us from one place to another; it is a propellant capable of making a difference; affecting policies and further shaping intellectual discourse»220. Avere a che fare contemporaneamente con un sapere economico (economic knowledge) e con un’economia

del sapere (economy-of-knowledge) implica conferire al sapere un orientamento che spinge, per un

verso, alla creazione di capitale e alla circolazione dello stesso; per un altro, il concetto di knowledge

economy tange l’economicizzazione della conoscenza nell’introiezione del soggetto sociale. Rispetto

alla qualità della ricerca, essa è appiattita al suo ‘impact factor’ a causa delle istituzioni universitarie, che soppesano cosa è utile all’incremento della domanda e dell’offerta e cosa non dev’essere immesso nella circolazione dei prodotti culturali in quanto dispositivo di potere del capitalismo.

D’altra parte, le stesse università devono rendicontare a enti privati e organizzazioni internazionali la ‘quantità di rendimento’ complessivo di studenti, ricercatori e professori per accedere ad ulteriori finanziamenti. In una scala più ampia, la stessa sorte toccherebbe ai Ministeri dell’Istruzione degli stati europei, coinvolti in riforme che si strutturano attorno al concetto di ‘knowledge-economy’. All’economicizzazione del mondo accademico, che impone nuove normatività temporali, riconfiguranti la professione del ricercatore, si lega anche un conflitto fra

facoltà: dare priorità a branche universitarie in grado di fornire innovazioni tecniche in cambio dei

finanziamenti ricevuti implica, necessariamente, l’esclusione dalla produzione culturale, a lungo termine, delle facoltà im-produttive, fino a procurarne inevitabilmente l’estinzione221.

218 Dichiarazione riportata in Ivi, p. 63, corsivi miei.

219 «As Times Higher Education reported in 2003 when reporting on the OECD conception of economically useful

knowledge: the focus on generating knowledge through investments in R&D, use of ICT, patenting, development of

scientists and engineers is extending to a wider range of countries … [and] … this suggests increasing competition for the factors that generate knowledge – skilled people, innovative businesses and capital»; Ivi, p. 72.

220 Ivi, p. 76.

221 Rispetto alla knowledge economy, il commento fornito dal filosofo sloveno Žižek in merito alla ‘riforma di Bologna’

dell’Unione Europea, sembra tendere allo stesso scopo: «La riforma di Bologna dell’istruzione universitaria in corso nell’Unione Europea equivale a un attacco concertato a ciò che Kant chiamava uso pubblico della ragione. L’idea di fondo di questa riforma – la spinta a subordinare l’istruzione universitaria ai bisogni della società, a renderla utile in relazione a problemi concreti che dobbiamo affrontare – mira a produrre parere competenti che devono risolvere i problemi posti dagli agenti sociali. Ciò che qui scompare è il vero compito del pensiero: non solo offrire soluzioni a

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