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Pubblica o Muori

Nel documento Synch - Fra l'attimo e l'evento (pagine 103-105)

Capitolo III – Accelerazione, Istituzioni, Poteri

I.III Pubblica o Muori

Le metafore utilizzate dai sociologi, come quella della torre d’avorio e dell’elicottero, testimoniano una riflessione estetica sul tema dell’accelerazione. La rappresentazione dell’innovazione come un

perpetuo movimento si accompagna, nelle metafore accelerative, all’esigenza d’inserire

necessariamente un collegamento fra realtà industriale della globalizzazione e sapere accademico. I modelli sociologici di ‘produzione del sapere’, per manifestare l’urgenza dell’adattamento delle università, s’appellano ad un’accelerazione che prende forma mediante delle narrazioni.

L’attenzione alla forma estetica del ‘discorso-accelerazione’ consente a Vostal d’identificare la

performatività come capacità fondante il linguaggio biopolitico: «[D]iscourses – including language

and rhetoric – can be understood as performative technologies of acceleration»232. Il discorso accelerativo si dirama all’interno delle università, fra ricercatori e nell’intima relazione fra l’autore e la sua opera, così come nella politica economica internazionale. Accelerare diventa un verbo che suona, di per sé, come un principio giusto.

In aggiunta, Vostal ammette che, per l’effettiva performatività di un discorso biopolitico accelerativo, è necessaria una certa scelta estetica: scegliere delle «triggering metaphors»233 adatte (come quelle della catapulta o dell’elicottero) fa già parte della logica d’implementazione dei poteri, che idealizzano l’accelerazione mediante la produzione culturale.

Due termini, più in particolare, animano il discorso bio-politico dell’accelerazione. Nel primo, ‘competizione’, lo spirito agonico delle relazioni intersoggettive fra colleghi di lavoro viene estremizzato, rendendo il campo semantico della sopravvivenza quello più consono alla condizione precaria del ricercatore. Nel secondo, ‘eccellenza’, si manifesta l’introiezione soggettiva della

valutazione. L’eccellenza si raggiunge, d’altro canto, assimilandosi al principio industriale: in base

al prevalere di parametri quantitativi nel calcolo dei punteggi della ricerca, il ricercatore concepisce se stesso come un’impresa economica, a cui è richiesta una produzione a ritmo accelerato e un continuo bilancio delle proprie azioni. A tal riguardo, Vostal scrive:

First, we can register that there is accelerative rhetoric which implies movement, motion and the need to start/launch, boost, drive and catch up desirable processes according to the principle of

competitiveness. Second, there is rhetoric implying perfection and achievement including the

notions of best practice, world-class, leadership and, most notoriously, excellence as defining academic values and practices234.

Per quanto concerne la retorica della competizione, molteplici sono le sue applicazioni. Insistendo sull’esigenza di aggiornamenti che vanno fatti, e mai discussi, per rimanere competitivi, le istituzioni universitarie rifletterebbero i bisogni di adattare un capitale umano globale, nella

232 Ivi, p. 91. 233 Ivi, p. 98. 234 Ivi, pp. 91-92.

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continua mobilitazione dei lavoratori (adesso imposta anche a studenti e ricercatori) e mediante una forma di «internationalisation»235. Un’altra costante riscontrabile sul piano retorico, nella prospettiva della competizione fra nazioni, è la scusante del ‘gli altri lo stanno già facendo’: le politiche accelerative sono, in questo caso, narrate con un registro ‘neo-fatalista’236.

La competizione fra ricercatori, a parere di Vostal, comporterebbe un peggioramento della qualità della ricerca compiuta. Non solo la velocizzazione del lavoro, richiesta per mantenersi competitivi in base al tasso di pubblicazioni standard del sistema di produzione culturale, necessita di una minore accuratezza, ma la stessa creatività verrebbe a mancare, sostituita dal variare degli autori attorno a hot topic in circolazione. La spirale competitiva, a parere del sociologo ceco, porta a una riproduzione dell’identico paralizzante la capacità conoscitiva: «[T]he academic environment is gradually becoming increasingly conservative. […] [A] Darwinistic competitive race among (especially young) academics – for funds, citations and publications, not for better crafted and more convincing (counter)arguments, leads more or less to the reproduction of the ever-same with psychological and personal ramifications»237.

Il termine eccellenza, d’altro canto, risulta ancor più retoricamente efficace per la sua proteiformità, in quanto ‘vuoto significante’: «Excellence has indeed become the keyword in higher education policy discourse and in universities self-understanding – but in comparison to competitiveness, which denotes specific activity and explicitly maintains that resources and developments are managed through escalation of competition, excellence remains inherently vague and mutable»238. Rispetto alla sfera accademica, Vostal lega il lessico dell’eccellenza alla totalità degli ‘output’ del ricercatore, sotto forma di paper: fra gli elementi del ‘punteggio’ finale, non figura la qualità delle pubblicazioni. Il ricercatore vincente, che ottiene più punti nella gara, è sempre il ricercatore più veloce.

Pubblicare equivale, perciò, a sottoporsi ad una valutazione che tange solo superficialmente i contenuti elaborati; il ritmo con cui gli articoli vengono resi disponibili determina la qualità del ricercatore, che opera nella catena di montaggio del capitalismo culturale. Instillare nel soggetto il desiderio di raggiungere standard sempre più elevati, catalizzando nello stesso una forma di «self- exploitation»239, è l’obiettivo della tecnologia biopolitica della retorica dell’eccellenza: «[T]he rhetoric of excellence may be a technology that manoeuvres various aspects and features of higher education when it is applied to the rhythms of the knowledge economy»240.

Gli stessi fondi di ricerca, che vengono stanziati da Ministeri ed organizzazioni internazionali, dipendono dall’essere disposti in un ranking, nel quale uno dei metri principali di giudizio sarebbe proprio l’aspetto quantitativo delle pubblicazioni dei professionisti appartenenti al dipartimento richiedente il fondo.

235 Ivi, p. 92. 236 Cfr. Ivi, p. 100.

237 Ivi, p. 105, corsivi miei. A questo riguardo, anche il concetto di innovazione esercita una performatività essenziale:

«Innovation thus is the second feature that has become imperative as it has developed under the umbrella of a new mission. The idea of innovation is largely associated with the mandatory need for ever-frequent novelty, speed and rapid technical change, and the endless production of artefacts and services that are, by default, short-lived and in constant need of updating […]. Furthermore, innovation, similarly to creativity, inculcates compulsory performativity, productiveness and valorization of the putatively new […]. It becomes something that entails endless repetition of permanent change under

conditions of permanent imitation»; Ivi, p. 147.

238 Ivi, p. 106. 239 Ivi, p. 109. 240 Ivi, p. 108.

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La diade di verbi scelta dal ‘discorso-accelerazione’ nei confronti del ricercatore suona, di conseguenza, come pubblica o muori: «[A]cceleration and performance are, by some interpretations, two sides of the same coin: research assessment counts publications in a publish or perish climate which not only determines faculty and institutional reputation, but also levels of research funding»241. Nella formula ‘publish or perish’ emerge, in tutta la sua violenza, un imperativo. La natura di

comando del ‘discorso-accelerazione’ attribuisce alle istituzioni universitarie un potere biopolitico.

Strutturando l’accesso al sapere, monopolizzando la produzione culturale e veicolando i valori di scambio del mercato culturale globale, l’istituzione universitaria diverrebbe una traduzione contemporanea della ‘Kulturindustrie‘ di Dialettica dell’Illuminismo.

L’università statale, più in particolare, si adatta negli ultimi anni nei termini di un’agentificazione: «The idea that the university is expected to deliver economic gains is then part of a self-fulfilling prophecy constantly repeated in higher education policy discourse. […] Agentification of the university is accompanied by a particular language that implies acceleration, such as boosting, fostering, driving and steering»242. In quanto agenzia dello Stato, l’università parla il ‘discorso-accelerazione’ del capitale: ove non v’è profitto, la cultura non è un buon affare.

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