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Il totalitarismo neoliberale

Nel documento Synch - Fra l'attimo e l'evento (pagine 60-63)

Capitolo II – Ciò che resta dell’ambiente

II.IV Il totalitarismo neoliberale

Avviandoci verso una conclusione di quello che è stato il nostro primo affondo negli studi sull’accelerazione sociale, dovremo necessariamente saggiare il lato propositivo delle pagine harveyane, nonostante questo voglia dire incamminarsi in un vicolo cieco. Il problema di fondo dell’ascrivere al capitalismo qualsiasi riconfigurazione spazio-temporale, a partire dalla modernità, esplode proprio in prospettive che vorrebbero dirsi antagoniste rispetto allo stesso sistema economico-politico. Bisognerebbe, per infliggere un duro colpo al sistema capitalistico ed ai poteri che lo animano, distruggere tutte le configurazioni spaziali esistenti? E secondo quali criteri si potrebbero immaginare spazializzazioni e temporalizzazioni diverse?

Il processo a cui Harvey si riferisce ha certamente le sembianze di un serpente che si mode la coda (οὐροβόρος), distruttivo verso la sussistenza di ‘centri’, galvanizzato da una perpetua ricerca dell’instabilità. Questo dipinto può far pensare ai frammenti postumi benjaminiani in cui la «religione capitalista»102 diviene il culto della distruzione e della disperazione. Nonostante ciò, tale culto della

100 Ivi, p. 43.

101 Harvey 1998, p. 226.

102 Citato in Agamben 2017, p. 119. Poco prima il filosofo italiano scrive a questo proposito: «Proprio perché tende con

tutte le sue forze non alla redenzione, ma alla colpa, non alla speranza, ma alla disperazione, il capitalismo come religione non mira alla trasformazione del mondo, ma alla sua distruzione»; Ivi, p. 118.

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rotazione distruttiva ha certamente nel suo πάνθεον l’accelerazione, il potere che-non-trattiene diametralmente opposto, stando alla lettera, al κατέχον paolino.

Non si scomoda l’archetipo simbolico dell’οὐροβόρος solamente perché un ciclo si compie e si ricompie, senza autentiche possibilità di deviazioni e deragliamenti; l’atto del mordersi la coda del serpente, come abbiamo già visto, è sensibilmente doloroso. Svalutazioni continue, non del tutto pacifiche per il sistema, e il presentarsi strutturale di pericoli (ad esempio un’innovazione tecnologica eccessiva o l’ipotesi di un’accelerazione assoluta totalmente caotica) vanno annesse ad un meccanismo soggiacente: prima creare assetti spazio-temporali, poi avvedersi del loro essere diventati ‘ostacoli’, e infine travolgerli ed annientarli. Harvey stesso definisce tutto ciò un paradosso: «[L]’accumulazione per l’accumulazione determina continue rivoluzioni nella tecnologia dei trasporti e una tendenza continua a superare le barriere spaziali: tutto ciò distrugge qualsiasi configurazione spaziale esistente. Si giunge quindi a un paradosso. Per superare le barriere e per distruggere lo spazio con il tempo, vengono create strutture spaziali che si trasformano in ostacoli all’accumulazione ulteriore»103.

Al geografo critico spetta il compito di fotografare dei paesaggi104 di distruzione e, nel far ciò, il geografo critico ci propone numerosi riferimenti letterari, prima fra tutti la città super-americana del

Der Mann ohne Eigenschaften (1930) di Musil: «[U]na sorta di città super-americana, dove ognuno

corre, o sta fermo, con un cronometro in mano […]. Treni sospesi in aria, treni sopraelevati, treni sotterranei, sistemi di posta pneumatica che recapitano esseri umani, catene di veicoli a motore che corrono tutti insieme orizzontalmente, ascensori espresso che pompano verticalmente folle da un livello di traffico all’altro»105.

Per oltrepassare l’aspetto meramente descrittivo ed approdare a qualcosa di diverso, che possa comunicare linee di rivolta possibili all’interno della ‘super-città’, l’autore propone, in aggiunta, una lettura particolare di The secret agent (1907) di Conrad: «Conrad esprime in maniera più aperta questo senso di rivolta, assegnando all’anarchico di The secret agent l’impresa di far saltare il meridiano di Greenwich»106. L’anarchico conradiano, nella sua fatica impossibile, ha afferrato il legame fra capitalismo ed ordini spazio-temporali che regolano il vivente. Per un pensiero rivoluzionario, come quello che Harvey riconosce alla tradizione marxista, non è d’uopo solamente ricordare quanto il capitale costruisca la sua geografia; chiedersi se, attualmente, il sovvertimento dell’ordine sociale debba portarci a pensare ad una riconfigurazione complessiva spazio-temporali è di primaria importanza: «La lotta per liberare lo spazio e il tempo da una razionalità dominante e repressiva deve portare con sé l’abbandono della ricerca di un’organizzazione dello spazio e un’allocazione del tempo tali da riprodurre i bisogni quotidiani col minimo sforzo?»107.

103 Harvey 1998, p. 103.

104 «Dietro al paesaggio del capitalismo c’è sempre, quindi, una lotta continua in cui il capitale costruisce un paesaggio

fisico adeguato alla sua situazione in un momento preciso, per doverlo distruggere, di solito nel corso di una crisi, in un momento successivo»; Ivi, p. 104.

105 Ivi, pp. 212-213. 106 Ivi, p. 215.

107 Ivi, p. 233. A tal fine, esempi ricorrenti nelle pagine harveyane sono quelli del semaforo e degli orari di servizi ed

esercizi commerciali. Anche un anarchico come Kropotkin, che nelle sue opere presenta una riflessione riguardante una ri-spazializzazione politicamente sovversiva (Cfr. Ivi, p. 216), difficilmente farebbe a meno di un coordinamento basato su questi fattori nelle metropoli odierne: «Anche i più anarchici tra noi vogliono che i semafori funzionino bene e che gli orari di apertura e di chiusura dei negozi siano rispettati. Da una parte, vediamo che il coordinamento sociale razionale del tempo universale è indispensabile alla vita in un mondo urbanizzato, dall’altra, però, individualmente cerchiamo di sfuggire a questa disciplina cronologica»; Ivi, p. 232, corsivi miei.

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La medesima domanda non trova una risposta precisa nell’opera di Harvey. Ciò nonostante, l’ilare allegoria conradiana non viene del tutto abbandonata o ridotta nella sua carica eversiva. La

naturalizzazione di ciò che naturale non è (e in questo senso Harvey segue esplicitamente Bourdieu108) concerne il diffondersi, consono al sistema capitalistico, di ‘seconde nature’, talmente tanto radicate da esser capaci di muovere i limbi più intimi della fenomenologia soggettiva.

Che si tratti di re-azioni rispetto alle tendenze sistematiche, o di autentiche rivolte, gli antagonismi politici del futuro, a giudizio di Harvey, s’avvedranno sempre di più di un’impasse. Convalidati gli aspetti normativi e performativi delle regole spazio-temporali che soggiacciono ad un contesto sociale, rivolta e reazione condivideranno il paradossale desiderio di dar fuoco al tempo e

allo spazio. Porsi in lotta aperta con la sincronizzazione significherà, necessariamente, scuotere alle

sue fondamenta l’ordine sociale costituito: «Non importa quanto possa bruciare lo spirito della reazione e della rivolta: le norme rigide definite da queste astrazioni concrete sono ormai così radicate da sembrare prodotte dalla natura. Sfidare queste norme, e le astrazioni concrete su cui sono fondate, significa attaccare i pilastri centrali della nostra vita sociale»109.

Giunti a questo punto, l’apparente astrattezza di un procedere che ambisce alla proposta di pratiche politiche potrebbe scoraggiarci. Ci viene in soccorso, però, un passaggio conclusivo che individua un nemico preciso nella figura dello stato nazionale quale istanza normativa che, nonostante la perdita di potere nella riconfigurazione spaziale globale, avrebbe più di tutte a cuore il mantenimento dello status quo o, più precisamente, l’imposizione di un’indisponibilità per soggetti e collettivi eterogenei nel plasmare tempi e spazi diversi.

Nel seguente passo Harvey, definendo in chiave decisamente polemica lo stato liberale come

totalitario, ci fa riflettere al contempo sul ruolo che lo stesso avrebbe rispetto alla spazio-

temporalizzazione, quello del ‘sincronizzatore’:

Lo stato gestisce e assicura molti dei quadri temporali di fondo dei processi decisionali e di coordinamento. Sincronizza gli orologi; regola l’orario di lavoro; la durata della vita lavorativa, con l’obbligo scolastico e la definizione dell’età della pensione; le vacanze legali e le ferie pagate; le ore di apertura e di chiusura delle strutture commerciali e di svago; e applica tutti gli altri elementi di legislazione che definiscono l’assetto temporale di buona parte della vita sociale. Lo stato stabilisce il tempo di rotazione del capitale o indirettamente, con procedure fiscali create apposta per ammortamenti e svalutazioni, e definendo un qualche tasso sociale di sconto del tempo, o direttamente, facendosi carico degli investimenti a lungo termine e determinando in questo modo gli orizzonti temporali che la circolazione del capitale e i mercati finanziari non si possono permettere di considerare. Lo stato inoltre agevola l’obsolescenza pianificata, o la diffusione dei costi della distruzione creativa: può per esempio incentivare finanziariamente il rinnovamento urbano, o attenuare l’impatto sociale della trasformazione dei processi lavorativi. Da tutti questi punti di vista, interviene ponendo un quadro temporale all’interno del quale possono essere effettuati investimenti privati e decisioni individuali. […] Il totalitarismo dello

108 L’opera che Harvey parafrasa, in particolare, è Outline of a Theory of Practice (1972). «Bourdieu scrive che ogni

ordine costituito tende a produrre la naturalizzazione della sua arbitrarietà. Il meccanismo più importante e meglio nascosto a questo fine è la dialettica tra possibilità oggettive e aspirazioni dell’attore, da cui nasce il senso dei limiti, comunemente chiamato senso della realtà che è la base più forte dell’adesione all’ordine costituito. Il sapere, percepito

o immaginato, in questo modo diventa una parte integrante del potere della società di riprodursi. Il potere simbolico di

imporre principi di costruzione della realtà, in particolare della realtà sociale, è una dimensione fondamentale del potere politico. Si tratta di un’argomentazione importante, che aiuta a capire come mai anche il teorico più critico possa

facilmente riprodurre l’adesione all’ordine costituito»; Ivi, p. 314.

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stato liberale capitalista, quindi, mette a freno le tendenze disintegranti del denaro, del tempo e

dello spazio di fronte alle contraddizioni della circolazione del capitale110.

L’accusa di totalitarismo che Harvey muove nei confronti dello stato liberale va intesa proprio in vista del suo ruolo di sincronizzatore. È un totalitarismo, quello harveyano, che non mira alla comparazione con i precedenti storici della prima metà del XX secolo. La forma neoliberale diviene totalitaria su due versanti: ambisce un controllo della totalità degli aspetti della Lebenswelt, da un lato, e dall’altro si rivela di carattere profondamente antidemocratico111 nel momento in cui, de facto, temporalità e spazialità autonome non possono sopravvivere nell’ambiente sociale di cui lo stesso stato si fa garante.

Questa colpa viene, in aggiunta, attribuita anche ad un’altra forma statale, quella del primo socialismo. Anche in questo caso, nell’opinione di Harvey, troviamo il medesimo desiderio d’imposizione di organizzazioni spazio-temporali top-down che sarebbero state ‘sicuramente’ migliori di quelle spontanee dei gruppi sociali autonomi: «Furono necessari molti anni di esperienze amare e di difficili autocritiche per riconoscere che la razionalizzazione totale degli usi dello spazio e del tempo da parte di un’autorità esterna era forse ancora più repressiva delle caotiche allocazioni di mercato»112.

The Urban Experience, rispetto al sostanziale dubbio riguardante il come riorganizzare spazi e

tempi, si conclude con un’apertura; ciò che le forze politiche antagoniste al capitale dovranno tenere presente, nel futuro di lotte che verrà, è che non basteranno crisi sistemiche per far sorgere un mondo sociale diverso. Nel momento in cui vuoti di potere si apriranno, le intenzioni rivoluzionarie dovranno necessariamente dirsi creative (oltre che distruttive). Fautrici, tramite proposte concrete, di nuove ri- configurazioni spazio-temporali dell’assetto sociale; creatrici, quindi, di tempi e spazi: «Una crisi oggettiva potrebbe essere una condizione necessaria per grandi trasformazioni sociali, ma non sarà mai sufficiente. Un mutamento dipende dalla nascita di una forza politica capace di inserirsi nel vuoto di potere e di fare qualcosa di veramente creativo»113.

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