UNO SGUARDO SUL METODO
4. L'itinerario etnografico
In questo sottocapitolo viene proposta l'anticipazione delle tre principali tappe che costituiscono il corpus di questa tesi. Non ci si prefigge qui di fornire i dettagli, poiché sarebbe fuorviante, quanto piuttosto di motivare le scelte metodologiche iniziali e le modifiche in itinere, così da facilitarne la lettura.
L'inizio di questa indagine parte dalla fine di una esperienza professionale. Dopo svariati anni di lavoro in qualità di operatrice sociale in un progetto ministeriale per l'accoglienza e l'integrazione dei rifugiati in Italia, in chi scrive si è presentato l'interesse di fermarsi e andare a fondo ad una sorta di vuoto che pervadeva il quotidiano.
Il disegno della ricerca parte con l'individuazione di un territorio eletto a case study, che in questo caso specifico è la regione Toscana. La scelta è strettamente correlata con la pregressa esperienza e il voler tentare di rileggere con un punto di vista differente un medesimo contesto. A questa scelta non sono mancate la consapevolezza (e le problematicità) derivante da un elevato coinvolgimento personale; tra le riflessioni più importanti legate alla metodologia di questa indagine vi è quello legato all'osservazione del tentativo (e delle difficoltà) di distanziarsi da un ruolo (Goffman 2003b) per rivestirne un altro218, come si accennerà a breve.
Il disegno di ricerca ha previsto dall'inizio il contatto con soggetti che operano all'interno dei progetti per rifugiati a livello regionale e con persone che vivono un periodo della propria vita da beneficiari degli stessi progetti, in quanto rifugiati, con l'obiettivo di raccogliere un numero di interviste rappresentativo di ogni tipologia di progetti esistenti a livello regionale. In particolare sono stati presi in considerazione progetti del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, dell'Emergenza Nord Africa, del Centro Polifunzionale ed un progetto Fer specificatamente incentrato sulla presa in carico di vulnerabilità.
Si è scelto di indagare mediante l'utilizzo dell'intervista qualitativa semi-strutturata. Per scelta metodologica si è optato per assicurare l'anonimato di tutti gli intervistati. Proprio per la garanzia dell'anonimato, in questa ricerca si farà riferimento alle persone intervistate indicandoli genericamente come “operatori”, intendendo così chiunque non ricopra un ruolo di coordinamento o istituzionale; di fatto i soggetti intervistati ricoprono professionalità estremamente differenti tra loro, quali operatori sociali, educatori, portieri, psicologi, psichiatri, operatori legali e così via. Inoltre, sempre a garanzia dell'anonimato, gli intervistati saranno indicati in modo casuale rispetto al genere maschile e femminile. Ciò varrà anche per i rifugiati e le rifugiate intervistati.
218 Sostiene l'autore: "L'individuo non assorbe il ruolo situato che trova a sua disposizione al punto di tenere quiescenti tutti i suoi altri sé" (2003b, 155).
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Per i rifugiati l'anonimato è stato una scelta presa sin dall'inizio essendo persone la cui identità è a priori da tutelare costantemente219
, almeno come intenzione del ricercatore (vi sono stati alcuni intervistati che esplicitamente hanno chiesto la pubblicazione del nome). Negli obiettivi iniziali vi era quello di raccogliere un numero di interviste a operatori e coordinatori, pari a quello dei rifugiati accolti dai progetti. Questa scelta avrebbe dovuto consentire la raccolta del punto di vista sia di chi lavora che quello di chi vive quotidianamente il mondo dei progetti di accoglienza.
Come si evincerà dalle spiegazioni dei prossimi sottocapitoli, il disegno della ricerca ha subito un cambiamento decisivo a seguito delle posizioni assunte da parte dei progetti – eletti a vettore per ottenere il contatto coi rifugiati - nel consentire o nel determinare il ponte comunicativo tra la ricercatrice e i rifugiati.
La seconda componente del corpus di questa indagine riguarda l'osservazione diretta (Cellini 2008, 84), nello specifico partecipante, svolta in contesti al di fuori dei progetti. Si tratta del periodo di osservazione partecipante passato in veste di volontaria con la Ong Medici per i Diritti Umani; il lasso temporale va dal mese di maggio 2012 sino al mese di dicembre 2013, per un totale quindi di 19 mesi.
L'ultima fase del lavoro di indagine si compone, infine, della raccolta di un numero limitato di interviste a testimoni privilegiati che operano a livello nazionale in ambiti afferenti al mondo del rifugio. In particolare le interviste sono state dirette a persone che possono fornire un punto di vista privilegiato ed esperto nella comprensione specifica delle dinamiche legate al diritto all'accoglienza e alla salute. I contatti sono avvenuti via mail e le interviste sono state realizzate seguendo tracce specifiche per ogni esperto intervistato; si sottolinea al contempo la presenza di somiglianze con le tracce utilizzate per le interviste svolte con chi lavora in Toscana.
L'obiettivo fondamentale di questa scelta ulteriore è stato quello di fornire un quadro nazionale ad una indagine che si è incentrata sulle caratteristiche regionali dello sviluppo del sistema-rifugio.
4.1 Le interviste con “gli addetti ai lavori”
Il reperimento dei contatti con gli operatori ed i coordinatori non è stato difficile, anche alla luce della precedente esperienza professionale della ricercatrice.
219 Purtroppo non sempre è considerata la pericolosità, non tanto negli ambiti delle ricerche consultate da chi scrive, quanto nelle fonti giornalistiche o documentaristiche, dell'atto di pubblicare o ritrarre foto, video e nomi reali o indicazioni troppo vicine alla realtà dei rifugiati o – peggio ancora – dei richiedenti asilo incontrati. Si tratta di persone che stanno chiedendo una protezione perché in fuga da un pericolo “attuale” di persecuzione nel Paese di origine, che non si limita alla sola vita individuale del soggetto ma che coinvolge la sua famiglia in senso lato. Inoltre questa attualità non può e non deve essere limitata ai confini territoriali di un contesto nazionale di fuga, ma va tenuto conto di come le persecuzioni possano avvenire anche al di fuori del Paese di origine. Ciò non esime i rifugiati stessi dal richiedere la non pubblicazione del materiale in questione, ovviamente, ma in alcuni casi è il fatto stesso che vengano poste certe domande e certe richieste a ingenerare dubbi circa la consapevolezza di chi le pone. Si veda ad esempio questo articolo di Repubblica: http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/12/14/foto/quattromila_chilometri_in_cerca_del_pap
_la_piccola_jorr_lo_riabbraccia_a_palermo-73564166/?fb_action_ids=10151574312992255&fb_action_types=og.recommends&fb_ref=s%3D
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Sono stati rispettivamente contattati tre progetti Sprar, due progetti Ena, l'unico Centro Polifunzionale esistente e il progetto Fer per vulnerabili con disagio mentale. La scelta dei progetti Sprar nello specifico si è basata sulla selezione di realtà gestite da soggetti differenti del privato sociale; nel caso dei progetti Ena, è stata applicata una scelta casuale, trattandosi in questo caso di progetti genericamente gestiti da soggetti diversi.
Le interviste sono state raccolte a partire dal mese di agosto 2012 sino al mese di giugno 2013; nel corso di questi mesi, si era scelto di rendere pubblici i nominativi degli intervistati. Nel corso del lavoro, però, molti soggetti hanno fatto richiesta di poter mantenere l'anonimato ed è anche per questo motivo che la scelta finale è stata di non riportare i nominativi di nessuna delle persone contattate.
Le interviste raccolte tra coordinatori ed operatori sono state in tutto trenta. La procedura di selezione degli intervistati è stata svolta contattando prima attraverso mail il coordinatore o la coordinatrice del progetto e rivolgendo loro la richiesta di un incontro con l'équipe per poter presentare il progetto di indagine e chiedere i contatti con gli operatori disponibili ad essere intervistati. Non in tutti i casi è stato possibile effettuare questo tipo di incontri. In alcuni casi per il semplice fatto che l'équipe era costituita da due o tre persone in tutto e queste si sono sempre rese disponibili ad essere intervistate. In altri perché da parte del coordinatore è stata fatta una richiesta via mail alla équipe e non un incontro di persona. Dai contatti presi con i vari progetti è stata sempre rilevata un'elevata disponibilità a collaborare per essere intervistati. Sia grazie ai momenti di riunione, che attraverso i colloqui con i coordinatori è stato possibile avere anticipazioni sui ruoli ricoperti dai vari operatori; ciò ha permesso di indirizzare la scelta dei contatti prediligendo figure che a parere di chi scrive erano più indicative per il focus dell'indagine.
Le interviste si sono basate sull'utilizzo di una traccia, privilegiando in casi specifici alcune domande e l'interesse ad approfondire alcuni argomenti a seconda del ruolo ricoperto dalla persona intervistata. In alcuni casi, data la peculiarità e la specificità del ruolo professionale ricoperto, non è stato possibile mantenere una stretta attinenza alle singole domande contenute nella traccia, che ha avuto la funzione di mantenere il filo logico (Kaufmann 2009) durante la fase di rilevazione.
La scelta di intervistare persone conosciute, in quanto precedentemente incontrate nell’esperienza professionale di chi scrive, come del resto l'indagare nel medesimo contesto regionale in generale, ha presentato difficoltà e provocato errori. Infatti si sono presentati momenti di coinvolgimento che hanno richiesto un lavoro di costante distaccamento dal ruolo di operatrice per stare sul medesimo campo, ma con una differente prospettiva analitica.
Una delle difficoltà, forse quella più complessa, riguarda la sovrapposizione e la gestione della ricerca con il bagaglio di osservazioni e dei punti di vista precedentemente accumulati durante l'esperienza professionale. Il rischio è quello di portare avanti l'indagine cercando qualcosa di già premeditato in quanto conosciuto, rendendo così il valore scientifico del percorso sterile e inattendibile perché estremamente carico di elementi personali. Parallelamente il poter rientrare in un campo, complesso come quello del sistema asilo italiano, ed osservarlo attraverso un punto di vista differente, ha permesso di notare e cogliere determinate sfumature.
In questo senso, il riferimento all'esperienza di Anderson (1994) è interessante. Per l'autore si trattava della prima esperienza di ricerca e ciò che ha prodotto è stato un lavoro che negli anni a seguire non è riuscito a ripetere, proprio per la singolarità della sua posizione nell'approcciare un campo estremamente familiare ma attraverso una lente nuova, quella
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del ricercatore. Senza alcuna pretesa di comparazione, è però possibile prendere a spunto la struttura attorno cui gravita l'indagine di Anderson per leggere questa. Per chi scrive si è trattata della prima esperienza di indagine sociologica svolta con una pluralità di strumenti qualitativi in un contesto conosciuto, mettendo alla prova una rinnovata presenza, da scoprire e da conoscere. Questa riflessione vuole in qualche modo tentare di problematizzare il rischio di restituire un'indagine con un punto di vista premeditato, le cui riflessioni ed ipotesi di partenza hanno a volte rischiato di rimanere ancorate alle precedenti riflessioni legate al lavoro professionale svolto. Parallelamente si ribadisce che l'aver svolto questa riflessione e aver condotto l'osservazione in un contesto non familiare hanno supportato, si spera, il superamento di questi ostacoli.
4.2 Le interviste con le persone rifugiate
Questa parte dell'indagine ha rappresentato una delle fasi maggiormente soggetta ad inversioni di aspettative.
“Quando si tratta di analizzare e comprendere il fenomeno delle migrazioni forzate può diventare cruciale, e allo stesso tempo problematico, cercare di ascoltare direttamente dalla voce dei protagonisti l'esperienza che hanno vissuto nel territorio di accoglienza e il percorso di integrazione che hanno intrapreso” (Marchetti in Ambrosini e Marchetti 2008, 89).
Come emerge anche dalle parole dell'autrice, si conferma che fare ricerca in ambiti come quelli del rifugio, richiede una riflessione ex ante che tenga conto dei contesti entro cui ci si addentra e delle dinamiche di cui sono intrisi.
Realizzare delle interviste alle persone che sono, o sono state, ospiti dei progetti presi a campione di indagine, ha rappresentato nel disegno iniziale di questa tesi, la possibilità di fornire quel particolare punto di vista che altrimenti sarebbe rimasto inesplorato.
Nel cercare la disponibilità dei rifugiati, si è tentato di individuare persone che si trovano all'interno dei progetti da un tempo sufficiente per poter ritenere che il loro percorso in Italia fosse già passato attraverso tappe che avrebbero consentito una “(...) narrazione riflessiva, già in qualche modo rielaborata e parzialmente sedimentata rispetto ai diversi aspetti della loro vita in Italia in qualità di migranti forzati” (Ibidem, 90). E come rilevato dall'esperienza di Marchetti, tentare di intervistare persone che afferiscono ad una condizione che l'autrice definisce liminale, poiché in Italia da un tempo che supera la prima fase di arrivo ma che è ancora distante dall'essere conclusa, “ha rappresentato per certi versi un ostacolo nel reperire un elevato numero di soggetti intervistabili” (Idem).
I contatti con i rifugiati accolti nei progetti al tempo dell'indagine, o usciti da non troppi anni, sono avvenuti attraverso il supporto e l'intermediazione delle équipe che lavorano all'interno dei progetti. Tale scelta si basa sostanzialmente sulla prevedibile difficoltà a poter entrare in contatto con rifugiati prescindendo dal progetto stesso in cui essi sono ospitati. Il rischio “messo in conto” è stato quello di giungere ad una scelta pilotata da parte dei progetti del “rifugiato ideale” (secondo loro) per lo svolgimento delle interviste; per tentare di ovviare a ciò è stato dall'inizio spiegato che l'unica prerogativa esplicitamente richiesta nel selezionare i contatti con gli (ex) ospiti, fosse l'aver vissuto un periodo temporale indicativo all'interno del singolo progetto.
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A livello temporale le interviste con “gli addetti ai lavori” sono avvenute prima di quelle rivolte ai rifugiati. Al termine della prima fase di raccolta interviste con gli operatori, ad ogni progetto è stato richiesto di poter individuare in modo condiviso una modalità di presentazione della ricercatrice agli ospiti o alle persone che erano state all'interno del progetto per verificarne la disponibilità ad essere intervistate. Il fattore linguistico è stato affrontato dando la disponibilità a svolgere interviste in italiano e in inglese, e prediligendo l'assenza di traduttori o mediatori220 durante le interviste.
Le interviste raccolte, da trenta inizialmente previste, sono state in tutto cinque. Come verrà approfondito più avanti, questo dato parla di un contesto di non facile accesso e di soggetti che non sono intervistabili in condizioni analoghe agli operatori che lavorano e che ricoprono un ruolo professionale preciso e situato.
Le persone contattate sono state quattro a seguito del ponte fatto tramite i progetti, e una persona tramite un contatto personale. Delle cinque interviste effettuate sono state raccolte le esperienze vissute all'interno di progetti Sprar, Ena e Centro Polifunzionale. Il progetto Fer è stato sin dall'inizio escluso poiché il target delle persone accolte era nella sua prima edizione costituito da persone con una diagnosi legata al disagio mentale, e con il rinnovo del progetto, da persone con vulnerabilità di altro tipo, come vittime di tortura; pertanto si è ritenuto opportuno non prendere contatti con persone il cui stesso motivo di accoglienza è vincolato da privacy.
Fin dall'inizio vi è stata la scelta di non intervistare persone in possesso di permessi di soggiorno per richiesta asilo e per motivi di ricorso; in questa fase della vita le persone sono già profondamente impegnate a dover svolgere altri tipi di interviste, quelle di cui è stato fatto cenno già nei capitoli precedenti, e per una scelta etica, oltre che metodologica, è stato ritenuto opportuno non contattare persone la cui attenzione poteva rischiare di andare più sui motivi della fuga, oltre al fatto che un individuo in fase di richiesta asilo non avrebbe avuto modo di raccontare periodi lunghi nel sistema asilo italiano. Per le persone in fase di ricorso la motivazione è la stessa221
.
Il rischio insito in questa scelta di reperimento dei contatti è stato quello che ha portato al risultato di non avere un numero indicativo di interviste a rifugiati ospiti dei progetti. Ai fini di questa indagine e del suo focus, ovvero l'accesso a determinati diritti ed il ruolo ricoperto dai progetti, ciò che non è stato possibile rilevare direttamente attraverso le parole dei rifugiati ancora accolti, lo si è in parte osservato nei contesti esplorati attraverso l'osservazione partecipante, in cui frequenti sono stati gli incontri con persone che sono uscite dai progetti o che vi dovevano entrare.
4.3 Tra osservazione e partecipazione
Questa ricerca è il frutto di un periodo di osservazione che, con cautela, possiamo definire partecipante. Come ci suggerisce Cellini (2008, 96)222
, “in letteratura si fa un uso
220
Pur riconoscendo l'importanza del ruolo svolto dai mediatori linguistico-culturali, è stato in questa indagine ritenuto più appropriato assumere un approccio che prescindesse dalla presenza di soggetti terzi ove possibile.
221 Ad entrambe queste situazioni si affianca anche una riflessione di ordine etico, che rispecchia il rispetto per una condizione spesso di fragilità del richiedente che vive la richiesta asilo in Italia in modo stressante per i lunghi tempi di attesa e le difficoltà burocratiche.
222 Per l'autrice, il termine osservazione fa riferimento ad “(...) uno strumento di rilevazione non reattivo che consiste nell'attività di uno o più osservatori, che registrano ciò che osservano senza
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inappropriato dell'espressione 'osservazione partecipante' (…); il requisito per attribuire questa denominazione è semplicemente la presenza dell'osservatore sul campo che osserva con o senza altri strumenti di rilevazione”.
Se lo svolgimento delle interviste agli operatori si fonda sullo strumento di rilevazione idealmente avvicinabile a ciò che Cozzi e Nigris223 (Ibidem, 100) definirebbero osservazione-in-situazione, trattandosi del campo culturale di appartenenza e provenienza di chi scrive; l'esperienza di osservazione non reattiva, quindi grazie all'entrata sul campo, merita un'ulteriore riflessione.
La componente che rende multiplo il ruolo assunto dalla ricercatrice rispetto al suo situarsi nel campo del rifugio, sta nel ruolo assunto prima come operatrice ed ora come ricercatrice. Nel caso dell'osservazione partecipante come ricercatrice e volontaria, la conoscenza e la familiarità con il contesto di cui è parte l'universo osservato, portano alla definizione di tale esperienza come la già citata osservazione-in-situazione224
; i contesti specifici di riferimento dell'interesse di osservazione, però, non sono ambiti conosciuti, come possono essere quelli dei progetti. Trattandosi delle quotidianità nelle marginalità abitative - precisamente in due stabili occupati - di un territorio specifico, quello di Firenze, l'ingresso sul campo è attribuibile alla definizione dell'osservazione partecipante.
Sulla base di una riflessione ex post, il percorso fatto nei mesi di osservazione nelle occupazioni, si colloca in una posizione intermedia tra l'osservazione-in-situazione e l'osservazione partecipante225. Di fatto il contesto di riferimento è quello del rifugio, come più volte ripetuto, conosciuto tramite le precedenti esperienze professionali; le quotidianità delle occupazioni, però, sono state un contesto del tutto nuovo.
Aver osservato un ambito non familiare, in cui le dinamiche si sono rivelate per molti aspetti opposte a quelle conosciute dal contesto dei progetti di accoglienza, ha consentito di percepire sin dall'inizio il nascere e lo svilupparsi - ed il modificarsi - del coinvolgimento (Ibidem, 84-98) dell'osservatrice. Senza applicare una gradazione del livello di coinvolgimento, si può peraltro sostenere che, nel corso dei mesi, questa componente è stata mutevole e strettamente connessa con gli eventi osservati e con il grado di partecipazione alle attività dell'organizzazione.
I primi contatti con Medu risalgono già al periodo dall'esperienza professionale di chi scrive nel 2007. Nel 2011, anno in cui sono giunte molte persone in Italia a seguito delle tensioni in Nord Africa e delle emigrazioni forzate di chi viveva in Libia, si è presentata l'occasione di lavorare come operatrice per un soggetto del privato sociale con alcune persone richiedenti asilo, redigendo le storie di vita per l'audizione in Commissione in quanto richiedenti asilo e
l'ausilio di sollecitazioni (verbali o comportamentali) intenzionalmente operate sui soggetti e senza interventi di manipolazione” (2008, 74).
223 Cellini (2008, 100) ripercorre gli esempi forniti da Cozzi e Nigris, indicando con osservazione-non-partecipante ad esempio il caso di uno studente di fisioterapia che partecipa come osservatore a delle sedute ma non interagisce e non interviene in alcun tipo di attività; osservazione partecipante è quando il fisioterapista ad esempio entra a lavorare come volontario in ospedale