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TRASFERIMENTO ELETTRONICO nei CITOCROMI tipo C

2. La famiglia dei citocromi tipo C

2.1. Classe I batterici

Un esempio tipico di citocromo di classe I batterico è costituito dal citocromo c2 (Figura 2), presente nei batteri fotosintetici purpurei (Rhodopseudomonas viridis). Il citocromo c2 ha la

funzione di trasportatore di elettroni fra due proteine di membrana, il complesso del citocromo bc1 e il centro fotosintetico di reazione (RC).

Il processo in cui sono implicate queste proteine è chiamato fotofosforilazione ciclica (Stryer L. 1996) e prevede l’iniziale ossidazione, ad opera della luce, di una delle componenti del centro di reazione (clorofilla), il quale è costituito anche da subunità associate a proteine dette chinoni. Questo trasferimento iniziale è endoergonico de utilizza come fonte energetica la luce. Successivamente, una catena di trasportatori permette il passaggio degli elettroni dal Centro di Reazione al complesso del citocromo bc1. Questo sistema genera nella membrana del tilacoide un gradiente protonico attraverso il quale viene sintetizzato ATP. Il citocromo c2, interviene in questa fase trasferendo nuovamente gli elettroni dal complesso del bc1 al Centro di Reazione.

Esistono nei batteri fotosintetici anche altri tipi di citocromo c che presentano funzioni analoghe ai citocromi c2. La maggior parte di questi sono implicati nei processi di fotofosforilazione non ciclica in cui gli elettroni, che derivano dall’ossidazione iniziale da parte della luce dei componenti dei fotosistemi I e II, vengono usati per generare NADPH ed un gradiente protonico nello spaio intermembrana che sono a loro volta sfruttati per produrre ATP. I citocromi c6, presenti nei cianobatteri e nelle alghe verdi, ad esempio, trasferiscono gli elettroni dal citocromo f al fotosistema I (Hervas M. 2003). I citocromi c550 si trovano nei batteri che usano i composti derivati dall’azoto come fonte di energia e la loro funzione è simile a quella dei citocromi c2, facendo da degli trasportatori di elettroni fra il complesso Citocromo bc1 ed il complesso Citocromo cd1/nitrito riduttasi (Pearson I.V. 2003). Infine i citocromi c551, c551.5 e c555, che sono presenti nei batteri termofili e sulfurei, trasferiscono gli elettroni dai composti derivati dallo zolfo alla via fotosintetica nello stesso modo in cui operano i precedenti (Cusanovich M.A. 2003).

Il processo di fotofosforilazione non ciclica opera nella direzione opposta alla fosforilazione ossidativa nei mitocondri, in cui gli elettroni derivanti dai trasportatori ridotti come il NADH (Nicotinamide Adenin Dinucleotide) e il FADH2 (Flavina Adenina Dinucleotide) vengono portati attraverso vari complessi di membrana sino all’ossigeno molecolare, che viene ridotto ad acqua (Stryer L. 1996).

2.1.1. Citocromi C2

Confrontando le sequenze amminoacidiche dei citocromi c2 con quelle dei citocromi c eucariotici si osserva che la principale differenza è rappresentata dalla localizzazione dei domini della catena polipeptidica che strutturalmente costituiscono dei loop esposti sulla superficie della proteina (Voet D. 1995). L’omologia di sequenza tra questi citocromi è generalmente minore del 40% (Ambler R.P. 1979). Dati di diffrazione di raggi X indicano,

invece, che la struttura tridimensionale presenta numerose analogie, in particolare per quanto riguarda il ripiegamento, la disposizione dei residui di coordinazione del gruppo eme e la disposizione delle catene laterali di aminoacidi carichi positivamente nelle regioni che lo circondano (Salemme F.R. 1977). In Figura 2 è mostrata la struttura a raggi X del citocromo C2 da Rodopseudomonas Palustris (pdb: 1fjo), in cui è evidenziato il gruppo eme c e l’atomo di ferro coordinato ai residui di Met93 e His17 (Geremia S. 2002). Una possibile spiegazione dell’omologia strutturale e funzionale tra i citocromi c2 batterici ed i citocromi c mitocondriali può essere individuata nella teoria endosimbiontica, secondo cui il mitocondrio deriva da un batterio che sarebbe stato endocitato da un procariote ancestrale e con esso si è in seguito evoluto. Da ciò potrebbe derivare il fatto che i citocromi c mitocondriali si siano evoluti secondo il modello dei citocromi c2 batterici, diversificandosi nella struttura primaria ma mantenendo un ruolo e una struttura simili.

Figura 2. Struttura a raggi X del citocromo c2 da Rodopseudomonas Palustris (pdb: 1fjo).

I citocromi c2 hanno punti isoelettrici >7 e potenziali standard di riduzione variabili tra le specie, con valori che vanno da +250mV (Paracoccus denitrificano) a +450mV (Rhodopila

globiformis). Per fare un confronto, i potenziali di riduzione dei citocromi c eucariotici da

lievito, tonno e cavallo si aggirano attorno a +260mV, con una variabilità nettamente inferiore (Pettigrew G.W. 1978; Cusanovich M.A. 1983), mentre quelli dei citocromi c6 attorno a 360mV (Salemme F.R. 1977). Attraverso studi biocristallografici su citocromi c2 appartenenti a diverse specie (Rhodobacter sphaeroides, Rhodobacter capsulatus,

Rhodopseudomonas viridis e Rhodopila globiformis), è stato evidenziato che la posizione di due

molecole d’acqua in prossimità del gruppo prostetico è altamente conservata e che, in particolare, una di queste due molecole occupa un sito simile sia nei citocromi c mitocondriali che in quelli batterici. Nei primi, tuttavia, la posizione di questa molecola d’acqua cambia in risposta alla variazione dello stato di ossidazione (Sogabe S. 1995). A tale proposito, è stato

studiato un caso particolare relativo al citocromo c2 da Rhodopseudomonas palustris (Figura 3) (Garau G. 2000; Garau G. 2002).

Nel caso dei citocromi batterici, lo stato di ossidazione del metallo non influenza la posizione della molecola d’acqua, mentre specifiche interazioni con residui proteici a livello del gruppo prostetico sembrano mantenere la molecola di solvente bloccata nel proprio sito. La diversità di comportamento della molecola d’acqua al variare dello stato di ossidazione è stata relazionata al diverso potenziale di riduzione osservato tra i citocromi c (Garau G. 2002). La posizione di questa molecola d’acqua osservato nella forma ossidata dei citocromi eucariotici e nel citocromo da B. Viridis determina un rafforzamento relativo dei legami ad idrogeno tra l’acqua e la proteina, con la conseguente stabilizzazione della forma ossidata rispetto a quella ridotta ed il relativo abbassamento del potenziale di riduzione rispetto al citocromo di R.

palustris, nella cui struttura non si osserva un significativo cambiamento della posizione della

molecola di acqua. c Tonno Red Ox Red Ox c2 B. viridis Ox Red c2 R. palustris Tyr Th r Asn Met Hi s Heme

Figura 3. Confronto della posizione della molecola d’acqua nei due stati di ossidazione del ferro tra i citocromi c2 batterici da Rhodopseudomonas palustris e Blastochoris viridis ed il citocromo c eucariotico da tonno.

2.1.2. DHC e SHP

La proteina Di Heme (DHC), conosciuta anche come citocromo C551.5, è stata isolata per la prima volta dal batterio Rhodobacter sphaeroides (Cusanovich M.A. 1985), dal quale sono stati isolati e caratterizzati anche i citocromi c2, c’ e c554. DHC appartiene alla famiglia dei citocromi tipo c batterici di classe I, pur non essendo strutturalmente simile alle altre proteine batteriche della stessa classe: essa, infatti, presenta una massa molecolare di 16.3KDa e due gruppi eme tipo c con potenziali redox pari a -254mV e -310mV (Cusanovich M.A. 1998). La sequenza primaria è composta di 126 residui ed è omologa ad una proteina che presenta le stesse caratteristiche isolata dal batterio Rhodobacter Adriaticus. La struttura cristallografica della proteina DHC da Rhodobacter sphaeroides a 1.85Å di risoluzione (Gibson

H.R. 2006), depositata nel Protein Data Bank (2fw5) e visualizzata in figura 4a, mostra la presenza di 10 strutture secondarie ad α-elica interconnesse da 10 loop. La distanza tra le strutture aromatiche delle due porfirine dei gruppi eme è di 10.2Å e strutturalmente appartengono a due differenti domini; la struttura del dominio N-terminale presenta analogie con gli altri citocromi c tipo I e con le flavoproteine, mentre il dominio C-terminale non trova similitudini (Gibson H.R. 2006) tra le famiglie dei citocromi. Come si vede in figura, i due atomi di ferro deil gruppi prostetici sono coordinati alla proteina tramite residui di His, in particolare all’N-terminale l’His28 e His51 e al C-terminale l’His106 e His128. Essendo particolarmente abbondante nelle cellule che crescono in condizioni anaerobiche ed essendo espressa in minor quantità in ceppi batterici denitrificanti cresciuti in presenza di azoto (Michalski W.P. 1986), a questa proteina è stata attribuita la capacità di legare sia l’ossigeno che l’azoto molecolari (Cusanovich M.A. 1998). Essa è anche un componente essenziale della via di trasferimento elettronico (Gibson H.R. 2006).

Il locus genico da cui viene codificata ed espressa la DHC è immediatamente adiacente a quello che codifica per una altra proteina che appartiene alla classe I dei citocromi tipo c (Gibson 2006). Questa proteina è chiamata SHP (Sphaeroides Heme Protein) e deve il suo nome al fatto di contenere un gruppo eme c ed essere stata isolata dallo stesso batterio della precedente, Rhodobacter sphaeroides. Anche SHP è una proteina in grado di legare l’ossigeno (Bor-Ran L. 2008), inoltre assume un importante ruolo nel trasferimento di elettroni (Leys D. 2000). La struttura tridimensionale della forma ossidata, risolta a 1.82Å di risoluzione (1dw0) (Gibson H.R. 2006) e visualizzata in figura 4b, presenta una elevata omologia con la struttura del citocromo c2 (in figura 2). L’unico centro metallico, che presenta un valore di potenziale redox pari a -105mV, mostra una coordinazione del ferro tramite un residuo di Asn88 ed uno di His47.

a b

Figura 4. Struttura a raggi x della DHC (a) e della SHP (b). Le eliche , i loop e i foglietti sono evidenziati in cartoon azzurro, viola e rosso, rispettivamente, mentre i residui che coordinano gli atomi di ferro (sfere) sono evidenziati in stick bianchi.

È stato dimostrato che proprio il residuo di Asn88, una volta avvenuta la riduzione del metallo e in caso di legame con piccole molecole (CN- o NO2), cambia la sua conformazione (Gibson H.R. 2006). Oltre ad avere una comune deriva genetica, come dimostrato dalla vicinanza dei rispettivi geni codificanti, è stato dimostrato che le due proteine DHC e SHP interagiscono tra loro formando un complesso che ad alte concentrazioni saline si dissocia (Gibson H.R. 2006). Inoltre, nello stesso studio è stata determinata la costante cinetica di secondo ordine per il trasferimento elettronico dalla DHC alla SHP. I potenziali di riduzione di entrambe le proteine sono stati confrontati e studiati tramite analisi potenziometriche, permettendo di giungere alla conclusione che DHC è il naturale partner donatore di elettroni di SHP (Gibson H.R. 2006).