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NUOVI INIBITORI SULFONAMMIDICI

1. Il virus da HIV-1

a

(envelope)

Gag-p17

(Gag-p24)

Genoma Virale (RNA) + Gag-p7

b

Il virus dell’HIV, schematizzato in figura 1a, appartenente alla famiglia dei lentivirus, è un retrovirus che contenente due filamenti di RNA. Il virione maturo dell’HIV appare come una particella di forma sferica dal diametro di circa 100-120nm costituito da un involucro di lipoproteine e da un nucleo interno (Briggs J.A.G. 2003). La membrana lipidica è ricoperta da circa 72 complessi glicoproteici costituiti da trimeri di eterodimeri formati dalle glicoproteine gp120 e gp41. La gp41 è una molecola transmembrana che attraversa lo strato lipidico dell’envelope. La gp120 è non covalentemente associata alla gp41 e funge da recettore virale per il recettore CD4 delle cellule ospiti. Tra l’involucro lipoproteico e il nucleo è presente, ancorata nella parte interna della membrana, la proteina di matrice p17. Il nucleo virale, contenente un genoma di lunghezza pari a circa 9800 paia di basi, è delimitato da un nucleo-capside a struttura cilindro/conica costituito dal polipeptide p24. Ciascuna replica dell’acido ribonucleico è associata alla nucleo-proteina basica p7. Nel nucleo sono inoltre presenti anche i tre enzimi necessari alla replicazione del virus: la trascrittasi inversa (RT) p66 (Sarafianos S.G. 2009), l’integrasi (IN) p32 (Meek T.D. 1989) e la proteasi (PR) p11 (Wensing A.M. 2009). La maggior parte dell’informazione genetica dell’HIV, così come strutturata nei retrovirus, è contenuta nei tre principali geni Gag, Pol ed Env (figura 1b). I geni env e gag codificano rispettivamente per le proteine della membrana virale e per quelle del capside nucleare, mentre il gene pol codifica per la trascrittasi inversa e per gli altri due enzimi integrasi e proteasi. Il virus HIV-1 contiene altri sei geni: vif, vpu, vpr, tat, rev e nef, essi codificano per proteine recanti gli stessi nomi, le quali hanno una funzione regolativa del ciclo di replicazione e sono responsabili della varietà di comportamenti che può assumere l’HIV integrato (Strebel K. 2003).

1.1. Il ciclo replicativo

Il ciclo replicativo dell’HIV inizia nel tessuto sanguigno, quando le proteine dell’envelope dell’virus, incontrano il recettore CD4, presente sulla superficie delle cellule dell’ospite, tale recettore è presente in abbondanza sulla superficie dei linfociti T-helper CD4+, cellule dal ruolo chiave nella risposta immunitaria. La diminuzione del loro numero e il deterioramento delle loro funzioni è alla base della sintomatologia da AIDS e causa l’insorgenza di infezioni opportunistiche. L’interazione tra il complesso glicoproteico che protrude dal virione e il CD4 eucariotico induce un cambiamento conformazionale sulla superficie del virus che permette la fusione delle due particelle mediata dalla glicoproteina di membrana gp41. In questo modo il genoma virale ad RNA può penetrare all’interno della cellula ospite (Peter F. 1998) ed essere copiato come DNA dalla trascrittasi inversa p66. Successivamente, l’integrasi virale inserisce nel genoma della cellula ospite il doppio filamento di DNA che si replicherà ogni volta che la cellula andrà incontro a divisione (Zack J.A. 1990). Il virus può

rimanere latente con un ciclo replicativo piuttosto lento oppure la stimolazione immunologica subita dal linfocita a seguito dell’incontro con l’antigene può aumentare di molto la velocità di replicazione e di produzione di nuovi virioni.

L’intero ciclo vitale è normalmente diviso in una fase precoce, che termina con l’integrazione dell’informazione genetica virale nei cromosomi della cellula ospite, ed in una fase tardiva, che include l’espressione delle proteine virali e la maturazione del virione (Turner B.G. 1999). Il DNA neosintetizzato viene traslocato da una proteina accessoria Vpr (Nie Z. 1998) nel nucleo assieme all’integrasi (IN) e ad altre proteine virali, che formano un complesso di preintegrazione (Miller M.D. 1997) che integra poi il cDNA nel genoma dell’ospite. A questo punto viene sintetizzato RNA a polarità positiva identico ai filamenti originali e, mentre una parte di questo viene inglobata nel capside di nuovi virioni, la restante viene trasportata fuori dal nucleo e tradotta. Tale processo inizia con la sintesi delle proteine accessorie Tat, Rev e Nef ed in seguito vengono sintetizzati i polipeptidi Gag, Gag-Pol e la proteasi virale. L’RNA virale e le proteine si assemblano sulla superficie della cellula ospite a formare una particella immatura. Infine la proteasi divide la poliproteina nelle proteine strutturali ed negli enzimi necessari alla replicazione, inclusa la proteasi stessa. Le proteine strutturali riarrangiano a formare la particella virale matura, in grado di infettare nuove cellule (Figura 2).

1.2. Le proteine bersaglio delle terapie

Le proteine coinvolte nei vari passaggi del ciclo replicativo potrebbero, in linea teorica, costituire ognuna un bersaglio molecolare per bloccare o controllare l’infezione (Meadows et al., 2006). Risale al 1986 l’approvazione, da parte della U.S. Food and Drug Administration (FDA) del primo farmaco anti-HIV, l’AZT. Al momento in commercio sono disponibili quattro diverse classi di farmaci per il trattamento dell’infezione da HIV (figura 3), quali gli Inibitori Nucleosidici e Non-Nucleosidici della Trascrittasi Inversa (NRTI e NNRTI), che per essere attivi necessitano di entrare nella cellula ospite e lì essere fosforilati (Clavel F. 2004), gli Inibitori della Proteasi (PI) e gli Inibitori di Fusione (FI) (figura 3).

Gli Inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI) sono degli analoghi dei nucleosidi che vengono inseriti nel filamento di DNA durante il processo di trascrizione. Queste molecole artificiali hanno dei sostituenti tali che una volta aggiunte nel filamento copia bloccano il processo di trascrizione. Gli NRTI approvati dall’FDA sono Zidovudine, Didanosine, Lamivudine, Zalcitabine, Stavudine e Abacavir. Tra le combinazioni di due o più NRTI ci sono il Combivir (Lamivudine e Zidovudine) e il Trizivir (Abacavir, Lamivudine e Zidovudine).

Gli Inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) non sono degli analoghi in quanto interagisco direttamente con la proteina trascrittasi inversa legandosi in un suo sito allosterico ed impedendone il cambiamento conformazionale con una diminuzione dell‘efficienza. Nevirapine, Delavirdine ed Efavirenz (Young S.D. 1995) sono quelli approvati dall’FDA.

Gli Inibitori della proteasi, di cui nello specifico si rimanda al capitolo 3.1, mimano i substrati proteici dell’enzima proteasi p11 occupandone il sito attivo ed impedendone l’azione enzimatica.

Gli Inibitori di fusione, detti anche inibitori d’entrata, esplicano la loro funzione impedendo l’entrata del virus nelle cellule ospiti CD4+. L’ingresso dell’HIV nella cellula può essere bloccato ad esempio a livello del legame tra il recettore CD4 e le glicoproteine di superficie del virus. In particolare, l’unico inibitore di fusione (Enfuvirtide) approvato dalla FDA agisce sul dominio di superficie della proteina di transmembrana gp41 (Rice C. 2006).

Attualmente sono inoltre in commercio gli Inibitori dell’integrasi, che hanno come bersaglio l’enzima integrasi, che permette l’inserimento del DNA virale nel genoma della cellula ospite. Non essendoci prove dell’esistenza di enzimi con funzione analoga all’interno delle cellule umane, la classe di inibitori per l’integrasi si propone per una terapia mirata (Nair V. 2002). È opportuno specificare che il meccanismo d’inibizione che la nuova classe di questi farmaci, tipo l’Elvitegravir, esercitano sull’enzima integrasi, dipende strettamente dal loro legame al sito attivo dell’enzima; purtroppo in alcuni ceppi virali sono state identificate nel

gene pol (il gene che codifica per l’integrasi, nonché per trascrittasi inversa e proteasi) alcune mutazioni del sito di legame in grado di determinare resistenza a questi farmaci, ma che sembrano anche determinare una minor capacità replicativa virale. Ulteriori futuri sviluppi nelle terapie anti HIV-1 derivano dalla nuova classe dei farmaci antagonisti del co-recettore CCR5, quale il Vicriviroc, che blocca l’ingresso del virus nella cellula, competendo con esso per il legame con il recettore sulla superficie delle cellule CD4+ (Fätkenheuer G. 2009).

Fusione ed Entrata Del Virus

Integrazione del Genoma Virale

Espressione del Genoma Virale

Figura 3. Ciclo replicativo del virus da HIV e proteine bersaglio per farmaci terapici anti-HIV.

1.3. Le terapie HAART

Le combinazioni di farmaci che maggiormente vengono usati nelle terapie (Highly Active

Anti-Retroviral Therapy - HAART) sono rappresentati dall’associazione di due NRTI con un

NNRTI, oppure da due NRTI ed un inibitore della proteasi potenziato da Ritonavir (PI/r) che migliora le proprietà farmacocinetiche della formulazione. La composizione di questi cocktail è tarata sulla base dei cosiddetti “valori” dei linfociti T-CD4+ e della carica virale dei pazienti sieropositivi, infatti, la quantificazione di queste cellule dell’SI è usata come marcatore prognostico dell’avanzamento dell’infezione sia all’inizio della terapia antiretrovirale sia all’inizio o alla sospensione delle profilassi contro le infezioni opportunistiche.

Le terapie antiretrovirali di combinazione, pur non consentendo la guarigione, inibiscono la replicazione virale ed il loro obbiettivo consiste nel ridurre la viremia per il maggior tempo possibile a valori non misurabili nemmeno con test ultrasensibili. Poiché allo stato attuale non esistono terapie che consentano la guarigione dall’infezione, le HAART si impongono come primario strumento nell’effettiva riduzione della mortalità e nel contrastare l’insorgenza di infezioni opportunistiche o neoplasie (Meadows D.C. 2006). L’incremento dell’efficacia delle HAART è anche frutto del monitoraggio terapeutico delle concentrazioni

plasmatiche dei farmaci (Therapeutic Drug Monitoring - TDM) che permette l’individualizzazione della terapia, soprattutto con farmaci per i quali sia noto il rapporto tra concentrazione ed effetto terapeutico/tossico. Poiché nel caso dei farmaci inibitori della proteasi e degli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa è stata provata una buona correlazione tra concentrazioni intracellulari e plasmatiche, il TDM per questi farmaci viene effettuato a livello plasmatico. Il dosaggio, invece, dei farmaci analoghi nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi viene eseguito a livello intracellulare ed è dunque più complesso con una efficacia clinica meno solida.

1.3.1. Resistenza ai farmaci.

È noto che la terapia HAART, basata su cocktail di inibitori della trascrittasi inversa e della proteasi, induce resistenza ai farmaci. Durante questo processo vengono selezionati ceppi virali meno sensibili agli inibitori che presentano numerose mutazioni sul gene che codifica per la proteasi. Analizzando campioni provenienti da oltre 6000 pazienti si è notato che le mutazioni con frequenza > 20% sono quelle che coinvolgono i residui 10, 36, 46, 54, 71, 77, 82, 90 (figura 4). In pazienti fenotipicamente resistenti a tutti i più comuni inibitori, si notano elevate frequenze di cambiamento degli aminoacidi nelle posizioni 32, 42, 82 e 84, prossime al sito catalitico. In particolare, le principali mutazioni che portano alla resistenza clinica a sette inibitori della proteasi approvati dalla FDA sono V82A (mutazione riscontrata dopo trattamento con Indinavir, Ritonavir, Saquinavir), I84V (mutazione riscontrata dopo trattamento con Indinavir, Ritonavir, Saquinavir, Amprenavir), V32I (mutazione riscontrata dopo trattamento con Indinavir, Ritonavir, Amprenavir) e G48V (mutazione riscontrata dopo trattamento con Saquinavir, Indinavir) (Rhee R.., 2004; Feher S., 2002).

32 84 82 90 77 71 53-54 48-46 36 10 42

Figura 4. Principali siti di mutazione della proteasi da HIV-1 (in azzurro quelli prossimi al sito catalitico).

1.4. Dal vaccino alla terapia genica

L’allestimento di un vaccino si inquadra all’interno del filone di ricerca volto verso lo sviluppo di nuove molecole, nuovi farmaci più specifici (con minori effetti collaterali) e formulazioni indirizzate verso varianti farmacoresistenti. I vaccini in corso di studio sono il vaccino preventivo, in grado di impedire l’infezione, e il vaccino terapeutico, che permette periodi di sospensione delle cure senza rischiare una riattivazione del virus limitando gli effetti collaterali della HAART (interazioni negative con altri farmaci, reazioni allergiche, sovraccarico epatico e renale, ecc.). Le proteine del capside Env e Gag sono le prime ad aver mostrato una potenzialità nell’indurre l’immunità al virus, in particolare, la gp120 e la gp41 hanno dimostrato un elevato potere antigenico nella risposta immunitaria (Berkower I. 2004; Cruz L.J. 2009). Purtroppo l’estesa variabilità delle proteine dell’involucro virale costituisce ancora oggi un ostacolo alla realizzazione di vaccini che prevengono l’infezione, infatti, tali vaccini non hanno superato la terza fase dei trial clinici (FDA 2009). Sebbene garantire l’immunizzazione dall’infezione rimanga priorità, allo stato attuale sono interessanti i traguardi che portano ad un efficace blocco della replicazione del virus e di conseguenza dell’avanzare della malattia. In questo senso si muove ad esempio la linea di ricerca sulla proteina regolatoria Tat, immunogenica e conservata tra i sottotipi del virus (Caputo A. 2004). Il vaccino terapeutico basato su Tat, che stimola una risposta immune specifica dei linfociti Th-1 e Th-2 controllando la replicazione del virus, ha concluso da poco la fase 1 di sperimentazione (Longo O. 2009), ma anche in questo caso lo scoglio maggiore è rappresentato dall’effettiva efficacia del farmaco che in fase 3 di sperimentazione clinica potrebbe non dare i risultati attesi (Caputo A. 2009). Lo sviluppo di un nuovo vaccino costituito essenzialmente dalla associazione dei 2 sopra citati è attualmente messo a punto dalla ditta farmaceutica Chiron è dovrebbe essere più potente dei singoli vaccini. Altri vaccini anti HIV, attualmente in corso di sviluppo, impiegano vettori virali costituiti da un virus attenuato non in grado di replicare e recante i geni per antigeni dell’HIV (O'Brien K.L. 2009), come il vettore dell’Ad5 (Adenovirus Sierotipo 5),. Questa tecnica però incrementa il tasso di autoantigenicità della proteina che sviluppa perciò maggiori resistenze. Un sistema in grado di fornire maggior esposizione dell’antigene al sistema immunitario che impiega come vettore un virus in grado di replicare è la terapia genica. In questo senso sono stati fatti alcuni passi avanti sulle scimmie (Johnson P.R. 2009). Altre linee di ricerca studiano gli effetti di inibitori basati sul meccanismo dell’RNA interference (siRNA) (Haasnoot J. 2007), mentre altre ancora studiano la relazione tra le mutazioni sul gene per il recettore CCR5 e il conseguente rallentamento nel progresso della malattia (Liu R. 1996). Nonostante questi nuovi approcci possano aver portato ulteriori migliorie nella cura contro l’AIDS, le garanzie di attuabilità e sicurezza sono ben lontane dal far si che tali metodiche si traducano in vaccini

preventivi contro l’infezione (Borderia A.V. 2009). Dunque, per quanto promettenti le nuove ricerche sopracitate, risulta indispensabile non trascurare la ricerca e lo sviluppo dei farmaci anti-retrovirali volti al controllo e al rallentamento del progredire dell’AIDS/HIV.