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Il Codice Rocco

CAPITOLO I : Diritto criminale romano e sua

3.6 Il Codice Rocco

Ogni reato, secondo i cultori del diritto penale dell’epoca, “produce almeno una doppia lesione: del diritto subiettivo dello stato, da un lato; e del bene o interesse giuridico tutelato dalla norma medesima, dall’altro”304. Tale visione, che vede nella lesione allo Stato l’essenza stessa di ogni fattispecie delittuosa, è un chiaro sintomo della concezione politica fascista. La dottrina dello Stato accolta dal Governo, infatti, ne rivendica l’assoluta supremazia sull’individuo. “E’ un assoluto prius, non un posterius risultante dalla somma di più individui uniti da convenzione o contratto”305. Considerato al di sopra dell’uomo e prioritario rispetto ad ogni altra comunità, lo Stato ha, più di ogni altra entità, il diritto di punire e reprimere ogni comportamento che lo offenda. A maggior ragione, tale diritto sarà chiaro e assodato nel caso di un delitto politico, quello che esplicitamente si rivolge contro lo Stato, considerato il “delitto tipico, il centro ideale del delitto penale”306. In totale opposizione con lo Stato liberale, tacciato da più parti di agnosticismo e di debolezza307, lo Stato fascista “non può consentire che energie individuali spieghino in alcuna guisa, e per qualsiasi motivo, una attività contrastante con i suoi interessi politici”308. Siamo quindi al rifiuto, a distanza di

304 V. Crisafulli , Il concetto di Stato nel codice penale, in Rivista penale, 1945, pag. 1320.

305

G. Maggiore , Diritto penale totalitario nello Stato totalitario, in Rivista italiana

di diritto penale, 1939, pag. 144.

306 G. Maggiore, Diritto penale totalitario, cit., pag. 156. 307

La critica è resa bene, tra gli altri, da A. Rocco. , Crisi dello Stato e sindacati, in

Scritti e discorsi politici: Sotto il precedente ordinamento, “ogni idea aveva diritto

di cittadinanza e lo Stato, perdendo la propria centralità e regolando dall’esterno i conflitti tra le forze sociali, si riduceva a strumento scelto da queste ultime per l’attuazione dei loro fini particolaristici”.

308 Lavori preparatori al codice penale del 1930, riportati da G. Vassalli, Il delitto

196 pochi anni, di una delle due concezioni di delitto politico che hanno animato i provvedimenti di clemenza degli anni ’20: non c’è più traccia della comprensione e della mitezza nei confronti di chi ha commesso illeciti politici, presente in passato, e non c’è traccia nemmeno della possibilità di una delinquenza politica praticata nell’interesse della nazione. Nel momento in cui un regime di Governo esiste, e ha instaurato l’autorità dello Stato, tale situazione non può più essere scalfita, e chi attenta alla sovranità statuale ha assunto ormai i connotati della forma più pericolosa di criminale, è identificato nel “nemico dello Stato”309, “attentatore dei massimi interessi della vita del Paese e, in quanto tale, destinatario di una normativa penale particolarmente aggressiva”310. La nuova visione fascista dello Stato, di ottica protettiva e repressiva, non è l’unico fattore di spinta a un trattamento maggiormente punitivo nei confronti della delinquenza politica, anzi secondo una parte della dottrina, non ne fu nemmeno l’essenziale311, in quanto altre due condizioni storiche erano spinte propulsive per un cambiamento. In primo luogo, anche in Italia, come nel resto della comunità internazionale, si afferma la necessità di introdurre nei codici penali l’istituto delle misure di sicurezza, modifica inaugurata dalla Svizzera nel 1893. L’evoluzione della scienza criminalistica dell’epoca, dunque, sente viva la necessità di tener conto dei motivi a delinquere, e di tutelarsi in misura maggiore dagli individui socialmente pericolosi. In secondo luogo, ma con rilevanza ancora maggiore, si è

309

V. Fani, La pena di morte nel nuovo codice penale, in Rivista penale, 1930, pag. 1004.

310

M. Pelissero, Il delitto politico, cit., pag. 102. 311

In particolare, riportiamo l’opinione di T. Delogu , L’elemento politico nel codice

penale, in Archivio penale, 1945, pagg. 161 ss. Il giurista, nel suo saggio, afferma

che il fascismo, nella riforma del codice penale culminata con l’approvazione del progetto di Rocco, “appare l’occasione più che la causa”.

197 modificato l’equilibrio ideologico all’interno della penalistica italiana: alla speculazione della scuola classica, autrice di un “lavoro di anatomia del delitto come ente giuridico”312, si sono ormai intrecciate, minandone il dominio, i contributi della scuola positiva, che polarizza la sua attenzione sul protagonista del delitto, il delinquente. Il divario tra queste due correnti di pensiero è davvero evidente per la materia che qui trattiamo: le scuole hanno, infatti, un approccio teorico opposto al concetto di “politicità” del reato. Da un lato, gli autori classici aderiscono alla teoria oggettiva, che fonda la qualificazione di politico dalla natura dell’interesse violato; secondo tale lettura, è delitto politico quello che “lede o mette in pericolo un interesse dello Stato inerente alla sua organizzazione politica ed alle attività che da essa derivano, come funzioni pubbliche che agiscono nell’orbita del diritto”313. I pensatori della scuola positiva, dall’altro lato, hanno una visione totalmente opposta, e fondano la politicità di una condotta criminosa sul movente perseguito dal reo, che deve essere teso a servire un fine sociale. Ecco quindi, nel progetto Ferri, la limitazione del concetto di delitto politico-sociale al comportamento “commesso esclusivamente per motivi politici e d’interesse collettivo”. Il panorama dottrinario, nella dialettica tra indirizzi classici e positivi, si completa con una terza teoria del delitto politico, detta mista, che tiene conto sia del diritto o interesse offeso, che del movente314. Il confronto tra le risultanze dottrinarie,

312

T. Delogu , L’elemento politico nel codice penale, cit., pag. 168 313

Tribunale supremo militare, 29/07/1947, in Archivio penale, 1948, II, 1, con nota di G. Amatisi , Considerazioni sull’amnistia nei reati previsti dal codice penale

militare.

314

Il principale esponente di tale indirizzo è E. Florian, in Trattato di diritto penale,

parte generale, 1924, Milano, pagg. 424 ss.: “Il criterio desunto dalla qualità del

198 bisognoso di una composizione, e le pulsioni verso la legalità e la sicurezza, unite al totalitarismo fascista, si traducono in Italia nella volontà di un cambiamento, e nella considerazione del codice Zanardelli come strumento “inadeguato alla necessità di una difesa contro la delinquenza reiterata”315. Inevitabile, lo sbocco verso una nuova codificazione del diritto penale, con la quale lo Stato possa dare “la sua caratteristica impronta di forza nella tutela dei superiori interessi del Paese”316. Siamo quindi al codice Rocco, e alla disciplina organica e classificatoria dei delitti politici. Nella parte generale, agli articoli 7 e 8 del vigente codice penale, viene risolta la maggior parte dei nodi definitori che hanno sempre riguardato la tematica in esame, e l’atteggiamento nei confronti del dissenso politico viene inquadrato nei cardini del sistema. Come regola ispiratrice del codice, “ai fatti commessi o considerati come commessi sul territorio dello Stato si applica sempre e soltanto la legge penale italiana”317. Ai fatti commessi in territorio estero, invece, talvolta si applica la legge penale italiana. In quest’ambito di eccezione al principio di territorialità si colloca la disciplina generale del delitto politico, inserita agli art. 7 e 8 c.p. Ai fini della nostra ricerca, particolarmente interessante risulta essere la prima delle due suddette disposizioni, concernente reati puniti incondizionatamente secondo la legge italiana, da chiunque siano commessi e dovunque si trovi il colpevole318. Tra questi, occupano il

essenza giuridica dello Stato. Ma il criterio del diritto leso non basta, il delitto deve essere politico obiettivamente e subiettivamente

315

T. Delogu, L’elemento politico, cit., pag. 167. 316

M. Pelissero, Il delitto politico, cit., pag. 101. 317

R. Pannain, Manuale di diritto penale, Parte generale, Torino, 1967, pag. 181. 318

Riportiamo il testo integrale dell’articolo 7, rubricato Reati commessi all’estero. “E` punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati:1) delitti contro la

199 primo posto i delitti contro la personalità dello Stato, vale a dire il delitto politico per eccellenza, la fattispecie più ricorrente di attacco e lesione al potere centrale. Il concetto di personalità statuale oggi non è più visto come un vero e proprio oggetto giuridico, in quanto, avendo lo Stato fascista una propria morale, che si propone di entrare nel profondo degli animi, non c’è spazio, da parte dei comportamenti umani, per una lesione nei suoi confronti319, e la difformità dei comportamenti dei sudditi dalla superiore volontà dello Stato-Nazione basta perché sia violato il dovere di obbedienza a cui sono tenuti; siamo di fronte, quindi, a illeciti di mera disobbedienza, e possiamo considerare la personalit dello Stato non come “il bene tutelato, ma una metafora volta a esprimere, in forma mistificata, (…) l’idea di una volontà superiore, contraddetta da comportamenti essenzialmente concepiti come sintomi di disobbedienza”320. Si perpetua, così, trovando finalmente un contenuto dopo secoli di teorie, “il modello strutturale della lesa maestà, che è in effetti lesa come volontà superiorem non recognoscens”321.La seconda norma incentrata sui reati politici , mai come ora circoscritti ai soli delitti322, consiste nell’art. 8 c.p.,

di tale sigillo contraffatto; 3) delitti di falsita` in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano; 4) delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni; 5) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono

l'applicabilita` della legge penale italiana”. 319

Per la teoria secondo cui, per configurare un reato come lesivo di un bene, è necessaria la offendibilità di quest’ultimo da parte del primo, cfr. F. Mantovani, Il

principio di offensività del reato nella Costituzione, in Scritti in onore di C. Mortati,

1977, pagg. 462 ss. 320

T. Padovani, Bene giuridico e delitti politici, Milano, pag. 11. Analogamente, A. De Marsico, I delitti contro lo Stato nella evoluzione del diritto pubblico, in Scuola

positiva, 1927, pag. 188.

321

Ancora T. Padovani, Bene giuridico, cit., pag. 11. 322

Tra le tante, riportiamo in tal senso la teoria del R. Pannain , secondo cui “in nessun caso una contravvenzione può considerarsi di natura politica, quand’anche determinata da motivi di tale indole”, in Manuale di diritto penale, cit., pag. 183.

200 rubricato “Delitto politico commesso all’estero”. Secondo il primo comma della disposizione, “Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell'articolo precedente, e` punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della Giustizia”. Il codice, quindi, va ad occuparsi di una categoria residuale di politicità del reato, intrinsecamente meno pericolosa della precedente, visto che la punibilità del colpevole è condizionata alla richiesta del ministro e, come dispone il secondo comma dell’articolo, anche alla querela della persona offesa se il reato sia perseguibile a tale condizione. La richiesta ministeriale serve a impedire che “fatti trascurabili, o per i quali non sia politicamente consigliabile la pubblicità del giudizio, vi pervengano” 323lo stesso, e il riferimento alla querela manca per i reati contro la personalità dello Stato perché sono tutti illeciti perseguibili d’ufficio. Stabilito il principio della “doppia incriminazione”, assoluta nel primo caso e condizionata nel secondo, è la volta, per il legislatore, di dare una definizione del delitto politico, la prima nella storia della legislazione italiana, che ne agevoli la repressione e tenga conto degli indirizzi dottrinari e giurisprudenziali contrastanti che si sono succeduti nei decenni precedenti. Il terzo e ultimo comma dell’art. 8 pertanto, “taglia corto a

Di opinione contraria, tra gli altri, L. Ventura , in Estradizione e reato politico, Torino, 1978, pag. 218. Secondo tale giurista, l’orientamento di maggioranza, che considera improponibili le “contravvenzioni politiche” perché non socialmente apprezzabili, non è assolutamente da condividere, in quanto “il concetto di reato è comprensivo anche del concetto di contravvenzione”. In quest’ottica minoritaria rientrerebbero nella disciplina ex art. 8 c.p. anche fattispecie contravvenzionali come: grida e manifestazioni sediziose (art. 655 c.p.); radunata sediziosa (art. 655 c.p.); divulgazione di stampa clandestina (art. 663 bis c.p.).

323 A. De Marsico , I delitti contro lo Stato nella evoluzione del diritto pubblico, cit., pag. 79