CAPITOLO I : Diritto criminale romano e sua
1.6 Il periodo del Dominato
Prima di passare alla descrizione del diritto criminale vigente nel periodo del Dominato, occorre, per una migliore comprensione delle nuove istituzioni, puntualizzare le cause fondamentali della profonda crisi che portò alla fine del Principato. E’ possibile distinguere diverse tipologie di cause: innanzitutto cause di ordine costituzionale, quali furono la degenerazione dell’auctoritas principis in potere dispotico, ben rappresentata dal fatto che l’imperatore Aureliano aggiunse al suo nominativo l’appellativo di “dominus et
deus”, e la mancanza di una norma regolatrice della
successione nella carica imperiale, che scatenò cruente lotte per la conquista del potere. La mancanza di tale norma era infatti il punto debole della costituzione del Principato, al quale cercherà di porre rimedio Diocleziano con la riforma tetrarchica81. Nel corso dei primi due secoli, la crisi nel trapasso dei poteri imperiali era stata scongiurata, o, quanto meno, circoscritta a brevi periodi (come provano l’anarchia del 68-69, dopo la morte di Nerone, e l’anarchia del 193, dopo la morte di Commodo). In seguito alla morte di Alessandro Severo, però, il concorso di altre cause esasperò il limite derivante da tale assenza, rendendo irreversibile la crisi politico- istituzionale del Principato. Le cause politiche consistettero essenzialmente nella formazione di una
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Tale riforma prevedeva la divisione dell’Impero in aree di influenza: Diocleziano e il suo fido generale Massimiano, ai quali era attribuito il titolo di Augusti, avevano il governo territoriale delle province rispettivamente orientali e
occidentali; li coadiuvavano due Caesari, uno in Oriente e uno in Occidente, con il compito di sovrintendere ad alcune province scelte tra quelle di competenza del relativo Augusto. I Cesari erano evidentemente in posizione subordinata rispetto agli Augusti e lo stesso Massimiano stava su un gradino inferiore rispetto a Diocleziano, come risultava dal titolo più modesto di Herculius a lui attribuito, rispetto a quello di Iovius spettante a Diocleziano.
62 nuova aristocrazia militare che divenne l’unica classe dirigente, sostituendo l’aristocrazia senatoria ed equestre nel governo centrale e periferico, e nell’affermazione della figura dell’imperatore-soldato, espresso e fortemente condizionato dagli umori del ceto militare82. Le cause militari erano dovute fondamentalmente all’incapacità del governo centrale di difendere i confini dell’Impero lungo la linea renodanubiana e persiana, circostanza questa che favorì la costituzione di stati indipendenti lungo i confini. Molto incisive furono anche cause di tipo economico- sociale, dovute all’involuzione del sistema schiavistico e del grande commercio transmarino, nonché alla crisi dell’agricoltura ed alla connessa estensione del latifondismo. Tali cause sfociarono nella formazione del colonato e nella chiusura delle professioni e dei ceti.Le cause finanziario-monetarie consistettero nel vertiginoso aumento della spesa pubblica, imputabile soprattutto all’esplosione della burocrazia ed ai crescenti bisogni di un esercito in larga parte parassitario. Ultime, ma non per importanza, furono le cause spirituali, dovute all’involuzione del paganesimo ed alla progressiva diffusione del cristianesimo, anche presso i ceti dirigenti; diffusione che contribuì a dissolvere la compagine imperiale, grazie soprattutto ad alcuni atteggiamenti contrari alla “teologia politica” romana, ribadita e sintetizzata da Celso nel suo scritto “Contro i cristiani”83. Le conseguenze che tale crisi produsse nel processo penale e, attraverso quest’ultimo nel diritto criminale, agirono principalmente nel senso di confermare gli istituti
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E’ prova di ciò il fatto che nel periodo in esame, che va dal 284 d.C. al 395, anno in cui fu ufficialmente sancita la distinzione tra parte orientale e parte occidentale dell’Impero, si annoverano ben 24 imperatori legittimi, ai quali sono da
aggiungere i vari usurpatori. 83
63 che si erano già affermati nel periodo precedente; la cognitio extra ordinem divenne infatti nell’epoca costantiniana la forma esclusiva del processo. L’inquisitio trionfò definitivamente sull’accusatio; il vecchio sistema accusatorio, già limitato nel corso dell’epoca classica, fu ammesso in una sfera ristretta e anche quando ciò avveniva l’accusa non poteva più essere pubblica, cioè provenire da qualsiasi cittadino, ma solo dal danneggiato del reato. Il sistema delle pene venne notevolmente modificato; le pene infatti vennero unificate: l’interdictio
aquae et ignis scomparve, e con essa il concetto di capitalis poena che si contrapponeva alla poena capitis,
vera e propria pena di morte. Accanto a quest’ultima, comminata con impressionante frequenza nella severissima legislazione di Costantino e dei suoi successori, e accanto a tutte le altre pene straordinarie, si ebbe un notevole incremento della condanna a pene corporali, largamente applicate agli schiavi e a tutti gli
humiliores; per rendere più grave la fustigazione, si
usavano flagelli con punte di piombo, i cui traumi spesso portavano alla morte del condannato. Un’altra pena frequente era quella dell’intestabilità, la quale, già prevista nelle XII tavole, si estese nelle varie costituzioni imperiali in modo da limitare consistentemente anche il diritto di comprare e vendere, quello di adire i tribunali e la libertà di locomozione. Il principio di discrezionalità della pena, che in buone mani poteva rappresentare perfino un vantaggio della repressione straordinaria rispetto a quella ordinaria, venne in buona parte rinnegato dalla legislazione post-classica; non venne però del tutto abolito, dato che i testi di alcune leggi lasciavano un certo margine alla discrezione del giudicante. In confronto alle istruzioni dei Principi dei due primi secoli, intese soltanto
64 come direttive generali dell’attività dei funzionari, il nuovo principio fondamentale dell’ordinamento monarchico- despotico, per il quale il diritto ineriva alla persona dell’Imperatore, fece sì che ogni suo editto in materia criminale vincolasse irremissibilmente il giudicante (il quale avrebbe esposto se stesso a gravi pene se non avesse seguito alla lettera la legge imperiale). Come ulteriore tendenza del diritto penale post-classico è stata opportunamente rilevata quella di considerare come reato l’infrazione di qualsiasi norma, trasportando così nell’ambito della sfera criminalistica una moltitudine di situazioni di diritto privato e pubblico, che avrebbe trovato un regolamento più opportuno nella comminazione di nullità o di indennizzi da pagarsi agli interessati84. Il proliferare della legislazione penale fu inoltre indubbiamente favorito da una grave situazione sociale: guerre, invasioni barbariche, profonde disuguaglianze economiche, con una notevole miseria negli strati più bassi della popolazione e, per contro, l’accumulo di enormi ricchezze in poche mani privilegiate, sono tutti fattori che, in ogni tempo, costituiscono cause di malessere sociale e quindi favoriscono l’insorgere della criminalità. Nel tentativo di moralizzare la pubblica amministrazione, la corruzione dei funzionari dello Stato fu punita in modo particolarmente severo; si ricorreva infatti a pesanti pene corporali. D’altra parte uno degli obiettivi della nuova legislazione fu la protezione dei deboli e degli incapaci contro diversi atti di vessazione e prepotenza, provenienti da privati cittadini o da pubblici funzionari; inoltre era molto frequente nelle costituzioni imperiali il richiamo alla benevolenza, alla moderazione, alla clemenza e all’umanità nell’applicazione concreta
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65 delle pene. Sempre al senso di pietà verso il reo si può ricondurre la frequenza con cui venivano accordati amnistie e indulti, per ragioni non solo politiche, ma anche religiose, ad esempio in coincidenza con la festività pasquale. Per ciò che concerne i criteri di valutazione delle prove, è interessante sottolineare che risale a quest’epoca la formulazione, ma non la creazione, avendo dei precedenti classici, del principio “in dubiis pro reo”, che costituisce ancora oggi uno dei cardini del processo penale: quando le prove di colpevolezza di un imputato lasciano un margine di dubbio, questi deve essere assolto85. A tal proposito bisogna anche ricordare che Costantino, nella sua cospicua attività di legislatore, scoraggiò la pratica di accusare facilmente una persona della commissione di un reato; infatti la legge prevedeva che se l’accusatore non fosse riuscito a provare la colpevolezza dell’accusato, avrebbe dovuto essere condannato alla stessa pena prevista per quel determinato reato. In ciò sembrerebbe cogliersi la medesima idea di pareggiamento fra le parti che lo avrebbe indotto, in un secondo momento, per dichiarate ragioni di equità, a sottoporre entrambi i contendenti all’onere della prova (anche se ciò ci è attestato solo per alcuni tipi di processo). Fra le più profonde modificazioni del diritto penale materiale vanno ricordate quelle che si riferiscono alla nuova religione. Come è noto, il un primo periodo l’atteggiamento di Costantino verso il cristianesimo fu presentato come liberale; era quindi egualmente lecito professare la religione cristiana, il paganesimo o il giudaismo, salvo che, mentre di queste ultime lo Stato non si occupava affatto, del cristianesimo, travagliato a quel tempo da ogni sorta di eresie, vennero fissati
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66 ufficialmente il credo e le liturgie. Da qui alla persecuzione delle eresie il passo era breve.L’intolleranza fu proclamata in modo esplicito nella costituzione emanata nel 379 dagli imperatori Graziano, Valentiniano II e Teodosio I, ove erano punite tutte le fedi non cristiane e le confessioni non ortodosse86. Tuttavia le pene più gravi continuarono ad essere inflitte agli eretici, mentre le religioni non cristiane erano punite solo nel caso di apostasia: i pagani vennero puniti come tali solo a partire da Giustiniano. Un’eccezione è rappresentata dal trattamento riservato ai Manichei, seguaci del persiano Mani (III sec.), ritenuti colpevoli di magia, i quali venivano condannati al rogo, pena già comminata da Diocleziano in epoca pagana e conservata dagli imperatori cristiani, in quanto il loro comportamento era condannato sulla base dell’ampia fattispecie del crimen maiestatis. Alla mutata religione si collegano anche altre norme, come quelle che reprimevano la divinatio e i reati sessuali: anche in questo campo la fierissima repressione risale a Costantino ed ai suoi figli, i quali punirono con la morte la pederastia (attiva e passiva), l’incesto e la seduzione, e condannarono la tresca di una donna libera con uno schiavo mettendo a morte l’uno e l’altra, con l’aggiunta dell’intestabilità per la donna87.
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