CAPITOLO I : Diritto criminale romano e sua
1.5 Il Principato
Sotto Tiberio le questiones perpetuae continuarono a funzionare, pur tra vibrate proteste contro gli intrighi e la
saevitia delle accuse degli avvocati; ma era il Senato ormai
la corte regolare per i due principali crimini delle classi elevate, cioè la maiestatis e le repetundae.
Occasionalmente poi, si occupava anche di altri reati che in via ordinaria rientravano nella competenza delle
quaestiones, quali l’omicidio, la vis, l’adulterio, il falso e la
calunnia. E’ tuttavia probabile che questi illeciti fossero devoluti alla cognizione dell’assemblea in circostanze particolari, quando gli imputati erano personaggi di alto rango o quando il crimine, per la sua gravità, aveva destato risonanza nell’opinione pubblica. La massa dei procedimenti penali ordinari doveva comunque essere estranea alla cognitio dei patres. Ne offre conferma il fatto che mentre la quaestio de maiestatis e la quaestio de
repetundis cessarono quasi completamente di funzionare
già nella prima età tiberiana, le altre corti permanenti non furono sensibilmente pregiudicate dalla giurisdizione senatoria, e dovettero semmai subire la concorrenza dei nuovi tribunali imperiali, primo tra tutti quello del
praefectus urbi. L’imperatore Tiberio assisteva ai processi
ordinari stando a lato del tribunale per non togliere al pretore la sedia curiale e, grazie alla sua presenza, molte sentenze erano rese imparzialmente, non essendo influenzate dai raggiri e dalle pressioni dei potenti sui giurati. A tal proposito Tacito ci tramanda che egli declinò la richiesta di cognizione personale nell’accusa contro G. Pisone per la morte di Germanico, su cui erano d’accordo accusatore e accusato, e rimise la causa al Senato69. La
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cognitio senatus funzionava al di sopra delle leggi, ma non
clamorosamente come aveva affermato Mommsen; infatti solo la pena legale veniva cambiata spesso, affermando con ciò una tendenza che sarà una costante della cognitio
senatus e che anche Plinio il giovane, a fine secolo non
mancherà di osservare. Il principio di legalità è ribadito in un passo degli Annales di Tacito: a Cornelio Dolabella, che proponeva di abolire la sortitio delle province e di affidarne l’assegnazione al Principe per escludere i candidati in sospetto di crimine, Tiberio rispose che le leggi, per antico insegnamento, sono istituite per punire crimini già compiuti, non che si compiranno, e che la pena non è una misura di prevenzione70. L’Imperatore non ricorreva quindi al potere di imperium quando si poteva agire per mezzo delle leggi; ma nel secondo periodo della sua vita cambiò atteggiamento: non rispettò più le leggi, inaugurando così il modello storiografico del Principe prima giusto e magnanimo, poi folle e spietato. Il Senato intanto, continuava ad esercitare la sua funzione giudiziaria, ma sempre meno liberamente. Le parole che Gneo Calpurnio Pisone rivolge ironicamente a Tiberio in un celebre passo di Tacito –“ In quale ordine darai il tuo voto, o Cesare? Se tu sarai il primo avrò davanti un suggerimento, ma se sarai l’ultimo, temo di commettere l’errore di non trovarmi d’accordo con te”- costituiscono un’efficace rappresentazione della totale dipendenza del collegio dalla volontà esclusiva e predominante dell’Imperatore71. E’ comunque da escludere un’ampia giurisdizione di Tiberio, data la sua nota tendenza a dividere con il Senato tutte le deliberazioni di una qualche importanza. In età successiva le cognitiones imperiali
70Tac. Ann. 3,69,1-4 71
55 andarono diventando più frequenti e ordinarie. Indizi di un’accresciuta attività giurisdizionale del Principe si riscontrano già ai tempi di Caligola, al quale i rei accusati in Senato chiesero più volte di avocare a sé la causa, nella speranza di ottenere una sentenza meno severa; ma un vero e proprio tribunale imperiale incominciò a funzionare solo sotto Claudio, la cui assillante smania di giudicare suscitò talora l’ironia dei contemporanei. Dalle parole che Tacito, nel Dialogo degli oratori, attribuisce al suo maestro Marco Apro, possiamo desumere che alla cognitio
principis erano normalmente soggetti i liberti e i
procuratori imperiali72. Solo una volta si parla di un procuratore equestre sottoposto al giudizio dei patres, ma si trattò, a quanto pare, di un caso del tutto eccezionale73. Con Caio Caligola si irrobustì il modello del Principe prima giusto e poi spietato. Egli inaugurò la sua attività rivitalizzando la giustizia penale ordinaria; concesse l’amnistia a condannati e relegati, cancellò le accuse pendenti, e diede ai magistrati la libera giurisdizione, rifiutando l’appello. Inoltre per rendere meno pesante il lavoro dei giudici, senza dubbio delle questiones
perpetuae, aggiunse una quinta decuria alle quattro già
esistenti. Giudicò da solo e per mezzo del Senato, prima di smettere di rispettare le leggi a causa della sua follia. E’ molto probabile che Claudio, il principe che risuscitò la legge comiziale e il plebiscito, giudicasse extra ordinem più dei suoi predecessori e che abbia dato inizio alla cognitio
intra cubiculum. Ma la tendenza accentratrice di Claudio,
che Tacito scolpisce con le parole: “nam cuncta legum et
magistratuum munia in se trahens”, sicuramente riferita
alle leggi penali e ai magistrati delle quaestiones, non
72 Tacito, Dialogo degli oratori, 7.1 73
56 significò necessariamente stravolgimento dei principi dell’ordo. L’insistenza con cui Svetonio registrò il fatto che Claudio non seguiva la praescriptio legum è senz’altro credibile, ma ci sono elementi che fanno pensare che egli si limitasse a variare solo la sanzione, superando o abbassando la legitimam poenam.Dove soccorrono testimonianze dirette, come l’oratio del papiro di Berlino, appare in pieno l’attenzione del Principe per la procedura ordinaria e l’intenzione di darle vigore. Il principato di Nerone iniziò con cinque anni di buon governo sotto l’influenza di Seneca e Burro. Egli rinunciò alla carica di giudice e il Senato continuò a svolgere la sua giurisdizione more solito. Per la gente comune funzionavano i tribunali ordinari; ma poi anche Nerone precipitò nella spirale dell’arbitrio ricorrendo ad vim dominationis; e per quel che si può capire dalle fonti in nostro possesso, anche Galba e Vitellio lo fecero. Con Vespasiano e Tito venne ricostruita la facciata repubblicana e si ebbe un ritorno alla legalità. Con Domiziano i processi contro i senatori si svolgevano davanti al Senato secondo il principio accusatorio. Nerva riaffermò il principio dell’indipendenza del Senato dalla giurisdizione criminale del Princeps. Traiano ripristinò il valore cogente delle leggi, come risulta dal panegirico di Plinio; inoltre ridiede la pace al foro, e fece in modo che lo Stato fondato sulle leggi non fosse rovinato dalle stesse.Egli accrebbe poi i poteri dei magistrati, delegando il più delle cause ai pretori74. Adriano diede al consilium di senatori e cavalieri che assisteva il Principe nella sua attività giurisdizionale, un’organizzazione stabile. A partire dai suoi tempi esso non fu più composto soltanto di senatori e di cavalieri
74 F. Milazzo ( a cura di), RES PUBLICA E PRINCEPS, Vicende politiche, mutamenti
57 convocati di volta in volta per singoli casi, ma anche di consiglieri permanenti retribuiti, scelti tra professionisti esperti e soprattutto tra giureconsulti di chiara fama. Era presieduto dallo stesso Principe, e in sua vece da un
praefectus pretorio, ed era, molto probabilmente,
articolato in sezioni competenti per specifiche materie: affari politici, affari amministrativi, affari giudiziari. Per quanto attiene specificatamente a quest’ultima sezione, la letteratura giuridica ci fornisce preziose informazioni sullo svolgimento delle udienze e sul determinante apporto dei giuristi consiliarii nell’impostazione e nella soluzione dei singoli casi sottoposti alla cognitio imperiale o al parere del Principe. Sotto Antonino Pio e Marco Aurelio furono chiamati a farne parte anche i prefetti e i capi dei principali uffici centrali dell’amministrazione. Verso la metà del II secolo d.C., la chiamata dei consiglieri retribuiti e l’influenza sempre maggiore dei capi degli uffici, che s’intendevano di diritto e avevano un’ampia esperienza amministrativa, modificarono profondamente la prassi di discutere le cause alla presenza del popolo. Il tribunale si trasferì dal Foro in un ambiente chiuso, e dalla votazione pubblica del consilium si passò ad una consultazione segreta. Dione Cassio, parlando delle cognitiones di Settimio Severo e Caracalla, ci dice che esse si tenevano nelle sale del palazzo imperiale. Significativamente il termine auditorium, che in precedenza designava la sala delle riunioni di retori, grammatici e letterati, venne ora a indicare non solo la sala in cui si svolgevano le udienze del tribunale, ma anche il tribunale come tale, in particolare quello del Principe75. Quando, nel 212 d.C., Antonino Caracalla estese la cittadinanza a tutti i sudditi dell’impero, ai governatori di rango senatorio e,
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58 subordinatamente ad una concessione speciale del Principe, ai governatori di rango equestre venne accordato il diritto di spada. Tale concessione divenne ben presto una semplice formalità, tanto che Ulpiano, nelle sue Opinioni (scritte verosimilmente tra il regno di Caracalla e quello di Alessandro Severo), afferma in termini generali che “coloro i quali sono preposti al governo di un’intera provincia hanno il ius gladii, ed è loro concessa la facoltà di condannare ai lavori forzati nelle loro miniere”76. Sul finire del II secolo, la maggioranza dei giudici penali era ormai costituita da funzionari del Principe. Il primo riferimento alle competenze giudiziarie del praefectus urbi risale all’epoca di Nerone, e costituisce un esempio significativo del modo in cui i tribunali dei funzionari imperiali venivano progressivamente invadendo il campo delle corti giurate. Tacito racconta che un certo Valerio Pontico fu condannato dall’assemblea dei patres per prevaricazione perché, “per evitare che i colpevoli di certi reati fossero accusati davanti al prefetto urbano, li aveva citati davanti al pretore, cioè davanti ad una quaestio perpetua, adducendo a pretesto l’osservanza delle leggi, ma in realtà con l’intenzione di eludere la condanna per vie traverse77”. L’episodio è interessante, in quanto permette di stabilire che, nel 61 d.C., il processo dinanzi a una corte giurata era ancora legalmente ammissibile, tuttavia era normale che il caso fosse rimesso alla cognizione del prefetto, il cui giudizio era verosimilmente più celere e severo. In seguito, il tribunale prefettizio fu investito della repressione di un numero sempre maggiore di reati, anteriormente perseguiti attraverso la procedura ordinaria. Le corti permanenti vennero in tal modo
76 Dig.,1.18.6.8 77
59 private di ogni effettiva funzione; scomparvero probabilmente per prime le corti relative ai delitti capitali, dopo tutte le altre. Nell’età dei Severi, il processo delle
quaestiones era ormai definitivamente tramontato, e dei
delitti originariamente repressi dalle leges iudiciorum si usava conoscere extra ordinem. Ulpiano apre la sua opera sull’officium del prefetto urbano con la lapidaria affermazione che “la praefectura urbis ha rivendicato a sé tutti i reati, senza eccezione alcuna”78. Le giurie non esistevano quindi più ed erano i rappresentanti del Principe che avevano per intero nelle loro mani l’esercizio della funzione repressiva. Oltre le cento miglia da Roma, la giurisdizione penale in Italia, alla fine del II secolo, era esercitata dal prefetto del pretorio (praefectus pretorio). Le originarie attribuzioni di questo funzionario erano di carattere schiettamente militare, consistendo nel comando delle nove, poi dieci, cohortes praetoriae di mille uomini ciascuna, che formavano la guardia imperiale. Più tardi gli fu anche attribuito il comando di tutte le truppe di stanza in Italia, ad esclusione delle cohortes urbanae e della seconda legione Partica, insediata permanentemente nei pressi della capitale. Per il suo diretto e costante contatto con l’Imperatore, egli venne col tempo acquistando un’influenza e un’importanza politica sempre maggiori, che lo portarono ad assumere una posizione di altissimo rilievo nel campo dell’amministrazione civile e della cognitio, fino a diventare un vero e proprio alter ego dell’Imperatore. Tutto lascia credere che abbia incominciato a occuparsi della repressione dei crimina attraverso la custodia dei rei che venivano inviati a Roma per essere processati. La prima testimonianza sicura di una sua cognitio criminale risale all’epoca di Adriano: ma è
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60 solo dal tempo di Marco Aurelio che lo vediamo esercitare una funzione giurisdizionale regolare e continuativa. In età Severiana, quando la carica fu ricoperta da illustri giuristi quali Papiniano, Paolo e Ulpiano, fu altresì investito del compito di giudicare in grado d’appello, in luogo dell’Imperatore (vice sacra), delle cause criminali provenienti da tutte le parti dell’impero. La sentenza emessa in rappresentanza del Principe era, naturalmente, inappellabile79. Il periodo compreso fra la morte di Alessandro Severo, avvenuta nel 235 d.C., e l’avvento dell’impero di Diocleziano rappresenta la fase di transizione dal Principato al Dominato ed è caratterizzata da una lunga anarchia militare durata quasi cinquanta anni; anarchia che condusse alla completa dissoluzione del regime inaugurato da Cesare Ottaviano Augusto80.
79 Tacito, Annali, 4.2.1; Dione cassio, 52.24 e 55.10.10 80
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