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La colonizzazione francese e il sistema duale di regimi fondiari

L’impatto della colonizzazione francese sulla gestione di territori e risor- se naturali in Burkina Faso (ex Alto Volta) fu determinante nel creare un si- stema duale di regimi fondiari e nel configurare i rapporti di forza e di potere non solo locali, ma anche tra l’amministrazione statale e le autorità consue- tudinarie, alle quali venne affidato di fatto, nel periodo successivo all’indipendenza, il controllo del territorio nelle aree rurali (Ouedraogo, 2011; Ribot, 1999; Lavigne Delville, 1998).

In linea con le teorie assimilazioniste che caratterizzarono la prima fase coloniale, l’intenzione dei colonizzatori fu quella di spezzare il legame so- cio-culturale che vincolava le società agrarie alle proprie “comunità”, per crearne uno economico tra l’uomo e la terra, promuovendo l’iniziativa indi- viduale, incrementando la produttività e gettando le basi dello sviluppo com- plessivo delle colonie. Per raggiungere tale obiettivo nel 1904 fu introdotto un sistema di registrazione delle terre, il sistema Torrens, che mirava a con- ferire, al termine di un processo complesso di individualizzazione fisica (de- limitazione) e giuridica (attribuzione di un numero di identificazione) di un terreno, il riconoscimento di un titolo fondiario di proprietà privata a chi ne avrebbe fatto richiesta. Al contempo, venivano identificate come «vacantes et sans maître» le terre formalmente inoccupate, non coltivate e non «posse- dute» secondo i criteri del Codice civile francese. Sebbene il concetto di ter- ra «vuota o vacante» fosse in contrasto con la realtà esistente, poiché i terri- tori dichiarati «inoccupati» dalle autorità coloniali erano di fatto territori col- tivati a maggese, utilizzati per il pascolo o per la raccolta della legna, e su di essi venivano esercitate forme di controllo e di autorità da parte di capi locali (Coquery-Vidrovitch, 1985), le terre vacantes et sans maître entrarono a far parte del demanio fondiario francese, assicurando ai colonizzatori il diritto di controllare il territorio e di attribuire la terra alle principali società francesi interessate a investire in Africa occidentale.

Nel periodo coloniale pochissimi furono gli «indigeni» che procedettero alla registrazione di titoli di proprietà della terra (Fouchard, 2003) e gran

parte della popolazione rimase soggetta alle regole dei regimi fondiari esi- stenti a livello locale, che non vennero legalmente riconosciuti dal sistema francese. Alla base di tali regimi fondiari vi era una molteplicità di diritti so- cialmente attribuiti ai membri di una stessa “comunità”, esercitati attraverso sistemi più o meno centralizzati di organizzazione della società e di distribu- zione del potere tra autorità localmente riconosciute (Kuba et al., 2003). Gli amministratori coloniali sfruttarono però il potere esercitato dalle autorità locali, o le crearono laddove le strutture sociali non le prevedevano, per rac- cogliere le tasse a livello locale e al fine di controllare la produzione e la for- za lavoro della colonia. La presenza di capi “consuetudinari” venne conside- rata necessaria e ad essi l’amministrazione coloniale riconobbe con il tempo diversi privilegi, tra cui il controllo e la gestione delle terre rurali, pur man- tenendoli subordinati al potere coloniale (Korbéogo, 2013).

Lo stato indipendente ereditò di fatto un territorio dai confini ben definiti, poiché tracciati dalla potenza coloniale, ma sul quale l’apparato statale non esercitava un potere assoluto. La gestione della maggior parte delle terre ri- mase infatti soggetta all’autorità di capi locali. In assenza di risorse econo- miche e umane necessarie ad esercitare un controllo diffuso del territorio, i governi nella fase successiva all’indipendenza, proclamata ufficialmente nel 1960, si limitarono a controllare i sistemi di produzione nei territori conside- rati più strategici dal punto di vista economico e a investire nei settori pro- duttivi destinati all’esportazione (Thiam, 1989).

Nonostante un timido tentativo iniziale da parte del primo governo Ya- meogo (1960-1966) di adottare una politica di decentramento, attraverso la creazione di comuni, i cui membri sarebbero stati eletti a suffragio universa- le, il progressivo accentramento del potere statale nelle mani delle élite poli- tiche nazionali e di un unico partito limitarono lo sviluppo di processi demo- cratici nelle aree rurali. A partire dal 1966 il susseguirsi di regimi civili e mi- litari e il moltiplicarsi di colpi di stato per la conquista del potere, lasciarono di fatto il mondo rurale in una condizione di semi-isolamento (Savonnet- Guyot, 1986).

Le élite al governo, capeggiate da generali provenienti dal mondo milita- re, rispondevano infatti agli interessi di un entourage politico ed economico ristretto e l’opposizione ai regimi si muoveva nel contesto urbano, ruotando intorno a movimenti sindacali e studenteschi. La gestione delle terre non sot- toposte all’intervento diretto dello stato continuò ad essere affidata ai capi locali, non riconosciuti però all’interno del sistema amministrativo e politico statale. Il rapporto dello stato con le autorità locali rimase così ambiguo e funzionale al controllo della produzione e dei sistemi di tassazione.

Soltanto nel 1983, sotto il regime “rivoluzionario” di Thomas Sankara, lo sviluppo del mondo rurale nel suo complesso riemerse come priorità politica. Nel Discorso d’Orientamento Politico del 2 ottobre 1983 (CNR, 1983), che costituì il punto di riferimento teorico del periodo rivoluzionario, venne espressa la volontà di eliminare qualsiasi forma di riconoscimento delle au- torità consuetudinarie quali legittime intermediarie dello stato in ambito ru- rale. Venne inoltre messa in evidenza la necessità di attuare una riforma agraria e fondiaria (RAF) che riconoscesse lo stato come unico proprietario della terra e identificasse un unico demanio, quello nazionale, all’interno del quale categorizzare tutte le terre, anche quelle soggette alle regole di regimi fondiari “consuetudinari” o precedentemente oggetto di registrazione di titoli di proprietà.4

Attraverso la nazionalizzazione della terra si negò di fatto la legittimità dei diritti “consuetudinari” vigenti in ambito rurale e la legalità dei diritti di proprietà privata registrati precedentemente alla riforma. Lo stato attribuiva alla sua popolazione unicamente diritti di usufrutto sulla terra, in accordo con il principio di mise en valeur, che presupponeva l’impegno di ognuno a rendere produttiva la terra ottenuta in concessione.

La RAF venne successivamente modificata sotto il regime di Blaise Compaoré nel 1991 e nel 1996, come conseguenza di accordi firmati con il Fondo Monetario Internazionale e in seguito all’adozione, nel 1991, del Pro- gramma di Aggiustamento Strutturale, che impegnava lo stato alla re- introduzione della proprietà privata e al riconoscimento delle procedure di registrazione di titoli fondiari.

Nonostante il tentativo del regime sankarista di porre fine ad un sistema di potere “consuetudinario” di cui lo stesso Sankara denunciò il carattere feudale e retrogrado di controllo e gestione della terra,5 l’autorità dei capi lo-

cali rimase forte nel definire i principi alla base dei regimi fondiari e nel ri- conoscere i diritti di accesso, possesso e utilizzo della terra. I capi locali con- tinuarono a ricoprire funzioni e giurisdizioni che formalmente avrebbe dovu- to ricoprire lo stato.

Il loro potere venne poi in una certa maniera rafforzato dalle stesse rifor- me neoliberiste degli anni ’80-’90 che, in risposta alle ripetute crisi dello sta- to africano, finanziarono programmi di sviluppo rurale che miravano a pro-

4 Ordonnance n° 84-050/CNR/PRES du 4 aout 1984 portant Réforme Agraire Foncière. 5 «La feodalité, en bas!» era lo slogan recitato dai partigiani di Thomas Sankara durante

gli incontri popolari. Esso testimoniava la virulenta opposizione del potere rivoluzionario alla

muovere la gestione locale della terra e delle risorse naturali e ad identificare nella gestione “comunitaria” una possibile risposta alla necessità di promuo- vere la partecipazione della popolazione rurale allo sviluppo.

3. Un contesto rurale in trasformazione: il pluralismo giuridico e istitu-

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