Le riforme della governance della terra in Sud Sudan risentono partico- larmente di questo tipo di contesto. Esse riflettono una tendenza generale al riconoscimento di diritti consuetudinari su base comunitaria alle popolazioni rurali africane con il sostegno della comunità internazionale impegnata in questo settore per un insieme variegato di ragioni (rafforzamento della sicu- rezza alimentare, aumento della produttività, difesa dei diritti collettivi di popolazioni marginali, ecc.). Benché non strettamente legato ai programmi di state building, il settore fondiario ha visto un crescente coinvolgimento della comunità internazionale nel corso degli ultimi anni, prendendo una piega coerente con la “svolta locale” più generale che caratterizza gli inter- venti legati al settore della governance. Nel settore fondiario, questa svolta si esprime attraverso il riconoscimento legale di «diritti locali» attraverso pro- grammi di sostegno alla formulazione di leggi e di policy, nonché attraverso progetti destinati all’educazione civica delle “comunità locali” sulla rivendi- cazione dei propri diritti.
I «diritti locali» sono complessi perché derivano da molteplici fonti di au- torità, e sono spesso stati definiti come “fasci” di diritti (bundles of rights) concatenati gli uni agli altri, piuttosto che come diritti singoli. La loro inclu- sione nella formulazione di policy deriva da una problematizzazione del concetto di sicurezza della proprietà della terra, che per lungo tempo è stato associato all’individualizzazione e alla formalizzazione del titolo di proprietà in una prospettiva modernista (Lavigne Delville, 2010).
In epoca pre-coloniale, nella regione meridionale del Sudan, la terra era amministrata da un sistema flessibile di accordi stagionali tra le popolazioni pastorali e agricole dell’area che regolavano l’accesso ai pascoli e all’acqua. Secondo Francis Mading Deng (1972), tra le popolazioni nilotiche il concet- to di proprietà non si applicava alla terra, ma solo al bestiame: l’autorità era esercitata sulla popolazione più che sul territorio, e la terra non era conside- rata una risorsa scarsa né individuale. Nelle società agricole, l’autorità era più vincolata al territorio: ad esempio, tra gli azande, chiunque risiedesse nell’area sotto la giurisdizione di un capo era tenuto a prestare la propria manodopera come segno di fedeltà verso quel capo (Guttmann, 1956). Con l’avvento del colonialismo britannico, tutte le terre “inutilizzate” sono poi state dichiarate di proprietà del governo. A partire dal 1899, tutte le leggi emanate sull’argomento testimoniavano lo sforzo di imporre un controllo centralizzato sulla terra nelle aree rurali.7 In realtà, però, questo controllo è
stato esercitato in alcune aree della zona settentrionale dove la presenza del governo era più forte, rimanendo invece molto relativo nel sud. Qui la ge- stione della terra è rimasta sotto il controllo dei capi locali, i quali, cooptati ufficialmente nel sistema di governo coloniale attraverso la Southern Policy (1930), hanno in molti casi accresciuto i propri poteri in materia di attribu- zione di diritti individuali alla terra ai membri delle loro rispettive comunità (Leonardi, 2013).
Il governo post-coloniale del Sudan, così come molti altri governi africa- ni, ha lasciato in gran parte inalterato questo sistema, ereditando la struttura biforcata dello stato: le aree urbane governate in base ai principi burocratici e legali dello stato moderno, le aree rurali lasciate al dominio di una tradi- zione in gran parte di matrice coloniale (Mamdani, 1996).
La gestione della terra ha cominciato ad essere considerata un problema di competenza della comunità internazionale quando, negli anni ’70, la per- sistente scarsa produttività dell’agricoltura africana ha spinto le grandi orga- nizzazioni internazionali a prendere posizione sulle questioni legate al siste- ma di proprietà. L’approccio mainstream della Banca Mondiale sosteneva che l’individualizzazione del diritto alla terra e il conseguente rafforzamento della sicurezza della proprietà avrebbe incentivato l’accesso al credito fina- lizzato a investimenti produttivi. Queste riforme non hanno però portato i ri- sultati sperati in termini di crescita economica, aumentando invece la corru- zione e la diseguaglianza interna ai paesi, e creando un numero sempre cre-
7 Titles of Land Ordinance, 1899; Land Acquisition Ordinance, 1903; Land Settlement
scente di società contadine escluse dalla proprietà e dall’accesso alla terra a causa del loro limitato potere d’acquisto (Berman, 1998; Gentili, 2008; Zamponi, 2011).
Nel tentativo di invertire questa tendenza, negli anni ’90 e 2000 l’attenzione delle organizzazioni internazionali si è spostata verso i «diritti locali» (Lavigne Delville, 2010) e verso forme di governance più inclusive sia nelle strutture di governo locale che nelle politiche di gestione della terra. La spinta al decentramento e la riemersione delle autorità tradizionali colo- niali, descritte nel paragrafo precedente, ha coinvolto anche il settore fondia- rio e a molti capi locali sono stati attribuiti poteri specifici sulla terra (Cotula et al., 2004; sulle autorità tradizionali in Africa si vedano anche: Berman e Lonsdale, 1992; Ranger, 1994; Mamdani, 1996; Leonardi, 2013). La coopta- zione delle autorità tradizionali nello stato decentrato e il riconoscimento della proprietà consuetudinaria su base comunitaria possono dunque essere considerati come due facce della stessa tendenza «neoconsuetudinaria» (Boone, 2014). Questa tendenza influenza particolarmente la formulazione di politiche e il processo di institution-building in paesi post-conflitto bene- ficiari di aiuti internazionali, in un contesto in cui lo sviluppo locale viene sempre più considerato come un “dividendo della pace” necessario per miti- gare i potenziali effetti destabilizzanti della povertà (Duffield, 2001).
Una ricerca commissionata dalla Banca Mondiale sulle politiche di gestione della terra utili per la riduzione della povertà nel 2003 notava che il 90% della ter- ra africana è amministrata attraverso sistemi consuetudinari. Questi sistemi ven- gono descritti come efficaci ed equi nell’allocazione della terra, capaci di garantire la sussistenza delle popolazioni rurali e allo stesso tempo di incentivare investi- menti e crescita economica per la riduzione della povertà (World Bank, 2003). Un paio d’anni dopo, uno studio condotto da un esperto internazionale di politiche sulla terra per conto della FAO ha confermato questa apertura verso il riconosci- mento della proprietà consuetudinaria della terra nelle aree rurali, rendendola il nuovo approccio mainstream delle agenzie di sviluppo internazionali (Odhiambo, 2006). I sistemi consuetudinari garantirebbero infatti una maggiore efficacia ed equità nell’allocazione della terra, in un modo funzionale alla riduzione della po- vertà: non soltanto renderebbero più stabili le strategie di sussistenza delle popola- zioni locali, ma garantirebbero loro anche un coinvolgimento diretto in eventuali investimenti. Anche se non risolvono il problema della sicurezza della proprietà di per sé che, secondo questo approccio, rimane comunque la precondizione necessa- ria alla riduzione della povertà e alla crescita economica, questi sistemi spostano il potere decisionale sull’allocazione di terra dalle burocrazie statali alle autorità con- suetudinarie, considerate di gran lunga più legittime.
Tuttavia, nonostante i suoi presunti effetti benefici per le popolazioni locali, la legalizzazione dei diritti consuetudinari alla terra su base comunitaria apre tut- ta una serie di problematicità che Paulina Peters ha sintetizzato con una doman- da: «chi è locale?» (Peters, 1996). Essa si basa sull’idea di comunità omogenee e senza conflitti, con interessi, istituzioni e regole interne condivise (Berry, 2004). Tuttavia, la presunta autenticità dei sistemi consuetudinari, così come delle tra- dizioni, è stata messa in discussione da vari studiosi che ne hanno sottolineato la storicità (Ranger, 1994; Mamdani, 1996). Mamdani (1996, p. 22) ha parlato, ad esempio, di un «costrutto ideologico» utilizzato dai governi coloniali alla ricerca di punti di riferimento su cui edificare il proprio sistema di governo locale. I si- stemi di autorità tradizionali sono dunque stati riprodotti e reinventati dai go- verni fino ad oggi, sempre a partire dall’idea che esistesse un gruppo di per- sone che condivide un sistema di regolazione sociale comune, a-conflittuale e pre-moderno, che è sopravvissuto, nonostante alcune ovvie modifiche, da un imprecisato passato lontano.
Nel tentativo di armonizzare sistemi legali consuetudinari con un sistema di governo “moderno”, si è occasionalmente cercato di codificare selettiva- mente i principi del diritto consuetudinario per poter escludere quegli aspetti considerati inaccettabili dal punto di vista dell’inclusività e dell’uguaglianza (De Wit et al., 2009). Altri autori hanno anche messo in guardia contro il ca- rattere esclusivo di un sistema che considera l’appartenenza ad una comunità particolare come fonte del diritto alla terra (Odhiambo, 2006; Cotula et al., 2004; Knight, 2010; USAID, 2012; McAuslan, 2007). Tuttavia, grazie alla loro supposta flessibilità, i sistemi consuetudinari di proprietà della terra hanno cominciato ad essere riconosciuti legalmente come una buona combi- nazione di economia neoliberista, basata su investimenti privati e titoli di proprietà trasferibili, e preoccupazioni “sociali” delle comunità locali: tra il 2002 e il 2013, venti paesi africani hanno riconosciuto ufficialmente il si- stema consuetudinario di proprietà della terra nei loro ordinamenti giuridici.8
Il riconoscimento legale dei diritti consuetudinari alla terra rende però necessaria la demarcazione dei confini della terra comunitaria, organizzando e formalizzando la composizione delle comunità (Byamugisha, 2013), in modo da evitare, o almeno regolare, lo sconfinamento di “outsiders” sulla terra comunitaria di altri gruppi. Secondo C. Lentz (2011), la territorializza- zione delle comunità è una conseguenza «naturale» della creazione e del
8 Si veda il sito della Banca Mondiale http://www.worldbank.org/en/news/press-
release/2013/07/22/how-africa-can-transform-land-tenure-revolutionize-agriculture-end- poverty (25/10/2014).
funzionamento dello stato moderno, dove il godimento di pieni diritti di cit- tadinanza è soggetto al radicamento dell’individuo in un luogo particolare. Tuttavia, alla difficoltà di realizzare questo obiettivo sulla base di una pre- sunta appartenenza identitaria che trascende il semplice criterio geografico si aggiunge anche la criticità, tipica di contesti post-bellici come quello sud su- danese, rappresentata dalla una forte mobilità causata dalla guerra.
4. Due riforme intrecciate nel Sud Sudan “post-conflitto”: terra e go-