Nella maggior parte dei documenti e degli studi relativi al funzionamento della CNTB, che essi siano stati redatti da enti burundesi o internazionali, si legge che il primo presidente della commissione, l’abate Aster Kana, un hutu di Gitega che si era fatto conoscere come portavoce della commissione elet- torale indipendente nel 2005 e aveva partecipato alle negoziazioni di Arusha, fosse un uomo di dialogo, un riconciliatore, che aveva optato per un regola-
8 RSF Bonesha F.M. (2015). “Le Président de la CNTB s’inscrit en faux contre les ré-
centes décisions du gouverneur de Makamba”. http://www.bonesha.bi/Le-President-de-la- CNTB-s-inscrit.html (16/02/2017).
mento “consensuale” dei conflitti sulla terra, privilegiando una ripartizione del bene conteso tra il residente e il rimpatriato. E si legge di come tale ap- proccio godesse di un largo consenso tra la popolazione. Effettivamente, l’analisi statistica di Gilbert Bigirimana, mostra che oltre il 70% delle con- troversie è stato risolto grazie a una intesa tra le parti (Bigirimana, 2013). L’idea di pacificazione di Kana passava dunque per una conciliazione attra- verso la divisione del bene in questione. L’enfasi era posta sul concetto di riconciliazione anziché su quello di giustizia, e l’orientamento era la ricerca di un equilibrio tra restituzione e conciliazione. Serapion Bambonanire ha, invece, da subito portato in primo piano l’esigenza di giustizia. In un discor- so pronunciato nel settembre 2012, afferma senza mezzi termini il suo ap- proccio alla questione della pacificazione:
Per quanto mi riguarda, e per tornare alla questione che ci interessa, la mia for- mazione teologica, in particolare, ha impresso dentro di me delle convinzioni che è difficile demolire e tradire. La prima è una breve frase latina «opus justitiae pax» tratta dal libro del Profeta Isaia, capitolo 32, versetto 17, da cui ho tratto le due seguenti traduzioni: L’opera della giustizia è la pace, oppure Il frutto della giustizia sarà la pace (…). Nel frattempo, ho anche spesso ripetuto, come recita il salmo 84, v.11, che «Giustizia e Pace vanno a braccetto» (…). Questo lavoro di riflessione mi ha portato alla convinzione che «senza giustizia non c’è pace», in altri termini, senza la giustizia la pace resta una parola priva di contenuto, una chimera, un bel sogno, ma niente di più.9
Il nuovo presidente della commissione ha vissuto, come molti, l’esilio, e condivide l’idea che «senza giustizia non può esservi riconciliazione». Tale visione non sembra essere propria ad un particolare gruppo etnico o politico, tanto che sia l’UPRONA che il suo vecchio antagonista, il partito FRODE- BU (Fronte per la Democrazia in Burundi),10 abbracciano lo stesso punto di
vista. Se per l’UPRONA «è necessario che gli interessati siedano insieme e trovino una soluzione comune dividendo i beni contesi»11 per il FRODEBU
9 Discorso di Serapion Bambonanire tenuto in occasione della Conferenza sul ruolo delle
Confessioni Religiose, Hôtel Source du Nil, Bujumbura, 12 settembre 2012. Documento tro- vato su internet ma non più reperibile.
10 Il FRODEBU è il partito che ha vinto le elezioni nel 1993, il cui leader, Melchior Nda-
daye, è stato assassinato da membri dell’esercito, con il benestare di influenti personalità uproniste, dopo appena 3 mesi di governo, scatenando così la sanguinosa guerra civile del 1993.
11 Intervista a Bonaventure Niyoyankana, deputato upronista, in La terre Promise, Maga-
zine del giornale Iwacu, agosto 2012, giornale cartaceo e acquistabile on-line su http://www.iwacu-burundi.org (16/02/2017).
«è necessario che le persone trovino un punto d’intesa senza ricorrere alla giustizia. Il popolo attende dal governo la riconciliazione».12 L’esigenza di
giustizia, come preambolo ad una vera riconciliazione, in Burundi è sentita da molti, soprattutto nel mondo cattolico a cui appartiene monsignor Bam- bonanire, ma non si è mai tradotta in azioni concrete, come accade nella maggior parte dei processi di ricostruzione post-conflitto dove la giustizia è subordinata all’esigenza di pacificazione, come lascia intendere lo stesso Se- rapion Bambonanire:
A un certo punto, abbiamo avuto la percezione di essere soli nella nostra lotta contro un’ingiustizia così palese, soprattutto quando i nostri migliori amici hanno avuto veramente paura per noi e ci hanno consigliato chi la prudenza, chi il silen- zio, chi le dimissioni, e non vado oltre. La ragione è che la maggior parte di loro aveva finito col cadere nella trappola di coloro che continuano a pensare che la pace e l’armonia sociale possano nascere da un’ingiustizia, quale ad esempio la situazione di quei sinistrati costretti a dividere o cedere le loro terre all’occupante sebbene costui fosse, in molti casi, proprietario di altri beni fondiari. Ad oggi, grazie alla perseveranza della CNTB, i burundesi aderiscono progressivamente e massivamente all’idea della restituzione come l’unica garanzia per una pace du- ratura; e la Commissione favorisce una coabitazione sicura e serena tra coloro che un tempo erano nemici. Allo stesso tempo, un gran numero di burundesi si rendono finalmente conto che la divisione forzata o il mantenimento dello status quo corrispondono a un evidente diniego della giustizia che, alla lunga, genererà frustrazioni destinate a sfociare necessariamente sulla rivolta e la vendetta.13
La ferma convinzione nella sua idea di giustizia, intesa come restituzione senza compromesso alcuno di ogni bene sottratto in cattiva fede, prerequisito per la pace e l’armonia sociale, ha reso Serapion Bambonanire una personalità controversa e poco amata sia agli occhi della società civile burundese che della comunità internazionale. Il suo linguaggio franco, in una cultura del non-detto e del sottinteso, è stato criticato anche da coloro che, in fondo, non la pensava- no molto diversamente da lui. Fatto sta, che il suo approccio alla questione dei rifugiati divergeva notevolmente da quello del suo predecessore che, invece, cercava un compromesso che potesse accordare tutti, e che aveva dunque il benestare degli upronisti e della comunità internazionale.
12 Intervista a Frederic Bamvuginyumvira, vice presidente del FRODEBU, in La terre Promise, Magazine del giornale Iwacu, agosto 2012.
13 Discorso di Serapion Bambonanire tenuto in occasione della Conferenza sul ruolo delle
Confessioni Religiose, Hôtel Source du Nil, Bujumbura, il 12 settembre 2012, documento trovato su internet ma non più reperibile.
A difesa della politica della restituzione, monsignor Bambonanire avanza anche un’altra motivazione, più pratica, che ha che fare con il numero di ri- corsi presentati sia alla stessa CNTB che alla giustizia ordinaria anche in se- guito a divisioni “apparentemente consensuali” del bene conteso, a dimo- strazione, a suo avviso, che la modalità adottata da Kana non fosse la più ap- propriata: «La divisione equa del bene conteso è una soluzione ipocrita, co- loro che hanno adottato tale metodo sanno bene che successivamente l’occupante e il rimpatriato arrivano alle mani perché restano insoddisfatti. E finiscono col ricorrere ugualmente al tribunale» - dichiara il presidente della CNTB in un’intervista.14 Tale motivazione, e il conseguente diffuso malcon-
tento tra i rimpatriati, sembrerebbe essere ciò che ha spinto il Presidente del- la Repubblica ad affrontare la questione in modo più incisivo. Monsignor Bambonanire è una vecchia conoscenza del Presidente della Repubblica, Pierre Nkurunziza. Dopo una lunga carriera all’estero, in esilio, è rientrato in Burundi per sostenere il CNDD-FDD durante la ribellione degli anni ’90, come guida religiosa. Il pensiero di questo prelato doveva essere ben cono- sciuto e la sua nomina il risultato di una attenta scelta politica. Ma per quale motivo il partito al potere aveva interesse a modificare lo status quo corren- do il rischio di attirarsi le critiche sia di media e associazioni burundesi che di organismi internazionali? Sembrerebbe che, in realtà, le soluzioni consen- suali effettuate sotto la presidenza di Kana fossero spesso imposte o vissute come un’imposizione dalle parti in conflitto: «lodata dalla Radio Nazionale, sostenuta dalle autorità locali e praticata anche dai paesi vicini, la divisione del bene conteso poteva difficilmente essere contestata dagli interessati» (In- ternational Crisis Group, 2014). Da numerose interviste effettuate da Interna- tional Crisis Group è emerso come molte persone si siano sentite costrette ad accettare la divisione come soluzione “consensuale” pur ritenendo di subire un’ingiustizia; tale stato d’animo era forte sia tra i rimpatriati che tra i resi- denti. Accadeva spesso che dopo la decisione di una divisione “unanime” i casi di ricorso sia dinnanzi alla CNTB nazionale15 che ai tribunali ordinari
fossero molto frequenti. Il risultato era un notevole malcontento tra i rimpa- triati che non giovava all’immagine e, soprattutto, al consenso elettorale del partito al potere. Al tempo stesso, la questione era sfruttata anche da altre forze politiche, e in particolare proprio dall’ex partito unico che tentava di
14 Intervista a Serapion Bambonanire pubblicata sul giornale IWACU, La terre promise,
Magazine del giornale Iwacu, agosto 2012.
15 Il meccanismo decisionale della CNTB prevede che le decisioni vengano prese dalle
delegazioni provinciali. In seguito, le parti hanno due mesi di tempo per presentare ricorso alla CNTB nazionale.
strumentalizzare la situazione degli sfollati. Se infatti la quasi totalità dei ri- fugiati rientrati nel paese sono di etnia hutu, la maggior parte degli sfollati interni che ancora vivono nei siti ad essi adibiti sono dei tutsi che hanno la- sciato le loro terre a causa della guerra del 1993.
Ad aggravare il malcontento vi era il fatto che lo status giuridico della CNTB e la sua posizione nei confronti del sistema giuridico burundese non sono mai stati chiari. La commissione non era considerata un organo giuridi- co e tutte le decisioni potevano essere subordinate al controllo della giustizia ordinaria. Una sentenza di un tribunale poteva dunque annullare ogni deci- sione presa dalla CNTB. Data la valenza giuridica della norma della prescri- zione, accadeva spesso che il tribunale sentenziasse a favore del residente, annullando l’azione della CNTB. Inoltre se la CNTB non poteva intervenire laddove era già stato presentato ricorso dinnanzi a un tribunale, viceversa la giustizia poteva legiferare laddove vi era ancora un’azione della CNTB in corso. Sebbene secondo Bigirimana l’invalidazione delle decisioni della CNTB non avvenisse in modo sistematico, ciò provocava l’ira dei rimpatria- ti, anche perché i ricorsi alla giustizia ordinaria significavano la sospensione dell’esecuzione delle decisioni della CNTB.
Alla vigilia delle elezioni del 2010, dunque, il Presidente della Repubblica vara una legge, la n. 1/17 del 4 settembre 2009, che modifica il regolamento del- la CNTB. I membri permanenti passano da 23 a 50, mentre si riducono i membri delle delegazioni provinciali, dalle quali vengono esclusi i rappresentanti eccle- siastici e i magistrati. Inoltre alla CNTB si consente di rendere esecutive le sue decisioni anche nel caso in cui siano in corso delle cause giudiziarie e sino allo sfinimento delle possibilità di ricorso (Bigirimana, 2013). L’allargamento dei membri permanenti è ufficialmente giustificato con l’esigenza di accelerare le pratiche ma nasconde anche un’altra impellenza: quella di “riassorbire” nel si- stema del CNDD-FDD delle personalità politiche che appartenevano in prece- denza all’opposizione o che vivevano ancora in esilio e reclutate dal partito al potere con promesse economiche di vario tipo in cambio di sostegno elettorale e al fine di dividere e indebolire gli oppositori. L’esclusione, invece, dalle delega- zioni provinciali di membri indipendenti e il rafforzamento della posizione CNTB nei confronti della giustizia ordinaria hanno come finalità una maggiore autonomia della commissione e un maggiore accentramento delle sue attività. È chiaro l’obiettivo di racimolare consensi elettorali tra gli oltre 500.000 ex- rifugiati rientrati nel paese tra il 2002 ed il 2009.
All’indomani delle elezioni, una nuova legge spinge ancora più avanti questo processo di accentramento, e tenta di rafforzare la presa su questo cospicuo ba- cino di mobilitazione (e strumentalizzazione) politica. Con la legge n.1/01 del 4
gennaio 2011 la commissione passa sotto la tutela diretta del Presidente della Repubblica, e quasi immediatamente il vice presidente della CNTB, l’upronista Pontien Niyongabo, lascia il posto a Sophonie Ngendakuriyo, un pastore evan- gelico vicino al presidente Nkurunziza, mentre ad aprile Serapion Bambonanire prende le redini della commissione. Inoltre a capo di quasi tutte le delegazioni provinciali vengono nominati membri del partito al governo. La posizione della CNTB rispetto alla giustizia ordinaria si delinea sempre più a favore della su- premazia della commissione, a cui viene attribuito il potere di sottrarre alla giu- risdizione ordinaria un ricorso già esaminato dalla commissione. Al tempo stes- so il ministro della giustizia chiede ai presidenti dei tribunali di non applicare più la regola della prescrizione, facendo leva sul principio «nei confronti di colui che non può agire, la prescrizione non può essere applicata» (International Crisis Group, 2014), ripreso di frequente in molti documenti della CNTB.16 La com-
missione comincia dunque a influenzare il funzionamento dei tribunali, rove- sciando i rapporti di forza e scatenando le proteste di molti rappresentanti dei media e della società civile burundese.
All’indomani delle elezioni del 2010, il presidente ha bisogno di consoli- dare l’influenza e il controllo sui gruppi di ex rifugiati. Le elezioni del 2010 sono state, infatti, molto turbolente. I principali partiti d’opposizione hanno boicottato il processo elettorale (Alfieri, 2010), accusando il CNDD-FDD di frode, e alcuni gruppi politici hanno tentato di mettere in piedi un movimen- to armato. Il timore del partito al potere era che i rifugiati potessero diventa- re un bacino di reclutamento da parte degli oppositori facendo leva sul loro malcontento e sulla mancata integrazione socio-economica. Il presidente ten- ta dunque di rafforzare la presa del partito sulle masse di rimpatriati. Sul ver- sante politico opposto, il partito UPRONA tenta a sua volta di manipolare la situazione degli sfollati a proprio vantaggio.