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2. Il modo di vedere

2.2. La comparazione

Di tale tendenza ottica, si percepisce tutta la vitalità anche attraverso l’analisi del vocabolario albertiano. L’edizione latina del De Pictura (che secondo Sinisgalli succede a

164 Simon G., Optique et perspective : Ptolémée, Alhazen, Alberti, “Revue d'histoire des sciences”, 2001,

pp.54-3, pp. 325-350.

165 Alberti L. B., De pictura (redazione volgare), a cura di Lucia Bertolini, Polistampa, Firenze 2011. 166 Valgano a questo proposito gli importanti precedenti medievali. Un interessante studio di Peter

Marshall aveva mostrato come gli studi di ottica sviluppati alla corte universitaria di Parigi avessero costituito già nel cuore del Trecento le premesse per una riflessione sul valore plastico dei lumi. Le

Questiones super libros Aristotelis de anima di Nicolas de Oresme e quelle di un anonimo studioso

francese a lui coevo, nonché le precedenti Questiones sopra il De Anima e il De sensu et sensato aristotelici da parte di Jean Buridan, rappresentavano i primi passaggi di un’applicazione della scienza della percezione visiva alle possibilità del rilievo e della profondità a partire dalle categorie visuali dello Stagirita. Marshall P., Two Scholastic Discussions of the Perception of Depth by Shading, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, Vol. 44 (1981), pp. 170-175.

quella vernacolare167 ) ha per il passo sopra citato (cap.30, supra) una sfumatura concettuale

più sottile168, perché usando l’espressione quae sub aspectu veniant (per tradurre “in che modo

le cose si veggano”169), mantiene un’accezione sfuggente indicando con la parola aspectus

(letteralmente il guardare, lo sguardo) l’immagine che noi percepiamo, offerta ai nostri occhi, sottolineando così il rapporto dell’immagine dipinta con il modo personale della sua ricezione ottica, e quindi rispondendo con molta precisione a quella che era una delle principali novità della psicologia percettiva prima di Alhazen e poi di Pelacani, entrambi rivolti a rimarcare come la “conoscenza visiva fosse frutto di una attività sensibile e razionale insieme, per nulla giocata sulla passività del ricevente, ma anzi costruita anche a partire di un ‘sensus agens’, demandato ad un giudizio sensibile matematico razionale del mondo”170. Si comprende come dipingere l’aspectus implicasse la studiabilità delle apparenze

percettive e la loro seguente regolazione in rapporto al guardante171.

La cosa tocca direttamente il problema del lume. È nota infatti la differenza qualitativa e sostanziale che distanzia il concetto del lume da quello della luce, per quanto molto spesso essa non risulti chiaramente codificata, come dimostra anche Lorenzo Ghiberti accennando alla questione e scegliendo sempre, per la comodità dei suoi lettori, il termine ‘luce’172. Fu

per primo Avicenna a suggerire la divergenza tra la luce-sorgente, lux, che spiegava la qualità luminosa della fonte, fosse essa il sole o il fuoco, e lo splendore o l’effetto della luce sul mezzo circostante, che in latino usciva come lume. Da tali premesse, la tradizione cristiana traeva l’occasione per fare della luce (lux) la prima forma corporea, una sostanza (Grossatesta, De luce173), e nel lume l’espressione esterna di questa luce primaria; San

Bonaventura, che si sarebbe rifatto a Grossatesta, impiegherà luce e lume in termini equivoci, ma sempre affidando al secondo il significato di “forma accidentale”. Anche in seguito, si sarebbe potuta cogliere una dualità tra il lume fluente del divenire del mondo e la luce astratta, alta, sorgiva e quindi distante che generava il primo. Nella tradizione medievale, infatti, tanto la luce (lux) rappresentava la sorgente-divina dell’illuminazione o la fonte fisica

167 Sinisgalli R., Il Nuovo De Pictura di Leon Battista Alberti, Kappa editore, Roma 2006; vedere infra. 168 Nam cum pictura studeat res visas repraesentare, notemus quemadmodum res ipsae sub aspectu

veniant De Pictura, cap.30.

169 Alberti, De Pictura, Liber II, cap.30.

170 Si veda l’interessante riflessione di Graziella Federici Vescovini sulla diversità di termini

significativi come Perspectiva, Aspectus e Visus nella trattatistica antica sul tema. Federici Vescovini F.,

A New Origin of Perspective, “Anthropology and Aesthetics”, n.38, 2000, pp. 73-81, p.73.Vescovini,

op. cit. 206, p.326.

171 Sul tema la bibliografia è ampia e distesa: Scalzo M., Il colore in Leon Battista Alberti in Mandelli

E., Colore, luce e materia in architettura, Firenze 2000, pp.89-93; Arasse D., Space and light at the

origin in modern painting : from Alberti to Leonardo, Menu M., Leonardo da Vinci’s technical practice, paintings, drawings and influence; catalogo dell’esposizione "Leonardo da Vinci. Painter at the court of Milan" at the National Gallery of London (9 november 2011 - 5 february 2012), Hermann, Paris 2014, pp.11-19.

Ackerman J. S., Alberti’s light, in Lavin I., Plummer J., Meiss M., a cura di., Studies in late medieval and

Renaissance painting in honor of Millard Meiss, 1977, pp.1-27, da leggersi insieme ad Ackerman J. S., On Early Renaissance Color Theory and Practice, in “Memoirs of the American Academy in Rome,” Vol. 35,

(1980), pp.11-44.

172 “Per non costringere troppo il parlare nostro, noi parleremo comunalmente come gli altri”,

scrive infatti. Ghiberti, III Commentario.

di essa, mentre il lume acquisiva un significato transeunte, diveniente, relativo alla diffusione della luce nello spazio, secondo una dinamica che si percepirà invariata ancora in Vasari, Varchi, Agrippa, Lomazzo o Patrizi. Tra le definizioni che offre Witelo nel II libro della

Perspectiva, il corpus luminosum è indicato come ogni corpo che diffonde il proprio lume, il corpus diaphanum come il corpo che subisce (patet) il passaggio del lume, e il corpus umbrosum

come quello attraverso il quale il lume non passa, e in tutti questi casi Witelo parla di lumen.

Lux, invece, come per Ghiberti, descrive del resto una lux prima, capace di generare a sua

volta una lux secunda: una prima luce che, per fare un esempio, entrando dalla finestra di una stanza darà origine, in un secondo tempo, ad una luce seconda (lux secunda) che si diffonde negli angoli174. Ghiberti scrive, mutuandolo da Witelo, che

“la prima luce è quella la quale dipende principalmente dal corpo lucido infino a tanto (che) trova ostacolo, e chiamasi luce incidente: e di poi si riverbera in verso l’atra parte dove non termina la prima luce: e chiamasi questa la seconda luce riflessa175”.

Ad ogni modo, la scelta di Alberti in favore del solo lume è quindi una scelta di campo che indica il territorio di esercizio analitico della pittura, chiamata ad imitare mimeticamente

l’apparenza dei lumi, la loro natura fluida, il loro dipendere dalle circostanze della loro

percezione: in un certo senso, il loro essere in relazione con il percettore.

Tale questione è esplicita prima di tutto nel concetto di comparazione (lat. comparatio) che Alberti applica indistintamente ai diversi concetti geometrici ed ottici che tratta, ma che sembra avere soprattutto sul piano dell’efficacia della luce la sua più alta funzione. Lo scrittore dice infatti che “grande, picciolo, lungo, brieve, alto, basso, largo, stretto, chiaro, oscuro, luminoso, tenebroso, e ogni simile cosa, quale perché può essere e non essere agiunta alle cose, però quelle sogliono i filosafi appellarle accidenti, sono sì fatte che ogni loro cognizione si fa per comperazione”176. La regola della comparazione implica

evidentemente che la qualità o la quantità accidentale di un evento o di un oggetto dipendono dal rapporto del guardante con la cosa percepita e dal rapporto di questa con gli altri effetti che ricadono intorno ad essa. Questa regola era stata intesa da Alhazen che la discuteva a proposito dello spazio e a proposito della luce nel suo De Aspectibus. Centrato sul tema luministico, però, ha conseguenze estremamente rilevanti anche sul fronte pittorico, perché favorisce l’idea di una sostanziale relatività della percezione luminosa in dipendenza tanto dello spazio della sua diffusione, dalla sua lontananza dallo spettatore, ma anche dalla condizione di visibilità in cui viene a trovarsi chi osserva.

174 Witelo, Vitellonis Thuringopoloni opticæ libri decem, in Opticæ Thesaurus, editore Friedrich Risner,

Basilea, 1572, libro II, p.61.

175 Ghiberti L., Commentario III, p.49. Ghiberti lo accenta nel III Commentario: “Ma nota che

Aristotele ed Alfacem dice che gli è differenza infra luce, e lume e splendore cioè raggio ombroso. La luce è quella forma e qualità infinita nel corpo lucido e luminoso, e non è di quello ma il lume è di quella qualità la quale dipende dalla luce e moltiplicasi per lo mezzo, per cagione dell’illuminare, quello per forma di piramide illuminativa. Il raggio è quella linea che è detta innanzi. Splendore è un’incidenza e riflessione di raggi costretti a uno per il quale il lume [è] fatto molto eccellente congiuntivo del viso, ma l’ombra è per contrario”. Ghiberti L., Commentario III, pp.50-51.

Implica la possibilità, cioè, che i lumi non siano degli assoluti dell’immagine, e che abbiano poi una valenza spaziale determinante che li libera da una sola e unitaria funzionalità plastica relativa, come accadeva con Cennino, ai corpi, ma che ne comprovi invece un esplicito e derivato dinamismo spaziale, la loro diffusività.

“Per questa ragione nella pittura paiono cose splendidissime ove sia quivi buona proporzione di bianco a nero, simile a quella sia nelle cose dal luminoso all'ombroso. Così queste cose tutte si conoscono per comperazione. In sé tiene questa forza la comperazione, che subito dimostra in le cose qual sia più, qual meno o equale. Onde si dice grande quello che sia maggiore che questo picciolo, e grandissimo quello che sia maggiore che questo grande; lucido qual sia più chiaro che questo oscuro, lucidissimo quale sia più chiaro che questo chiaro”177.

Fare dipendere la conoscenza dei fenomeni dalla cognizione della comparazione, o meglio fare dipendere da ciò una tecnica mimetica, ovvero dall’idea che la percezione si offra nella relazione tra elementi diversificati, implica che l’opera d’arte sia chiamata a regolare il flusso delle apparenze del mondo accettandone lo strutturale cangiantismo. Si comprende da qui quanto fosse in gioco anche in proposito alla possibilità di dare immagine ai temi visuali che la cultura precedente non aveva affatto considerato, se non raramente, tra Tre e Quattrocento. Di tale apertura la notte è un implicito.

Un referente pittorico parallelo di questo tipo di comparazione, su cui non pare sia stato particolarmente indagato, sembra potersi vedere nelle molte opere quattrocentesche in cui ad una visione tersa e cristallina di un paesaggio o di una scenografia si accompagna, talvolta, in ambientazioni cittadine o di palazzo, la presenza di finestre aperte scure, completamente annerite, che rispecchiano la consapevolezza (condotta ai suoi estremi) di un impegno a rendere non l’illuminazione della stanza in sé, ma la percezione che se ne ricava in condizioni variabili. I lavori pittorici della Bottega del 1473 nelle piccole Storie di San

Bernardino della Pinacoteca di Perugia sono molto interessanti per come, soprattutto nel

pensiero degli spazi architettonici (in particolare nella parte superiore della Guarigione del

cieco, o nel dettaglio del panno rosso nel San Bernardino appare di notte a Giovan Antonio Tornaro), dimostrano una ricerca sul rapporto luministico-cromatico di questo tipo178,

perfezionata e mutuata da esempi più antichi, come alcune opere di Pietro Lorenzetti, tra cui per esempio le tavole con San Nicola che dà la dote alle fanciulle povere e con la Consacrazione

di San Nicola, o nel San Nicola che resuscita un Bambino, della tavola di San Nicola un tempo in San Procolo a Firenze179, dove i piani di lumi e di ombre sono scanditi da superfici atte a

177 La traduzione in latino suona in questo modo: “Hac ratione in pictura tersissimae ac

fulgentissimae quidem superficies apparent, cum illic albi ad nigrum eadem quae est in rebus ipsis luminati ad umbrosum proportio sit. Itaque comparationibus haec omnia discuntur. Inest enim in comparandis rebus vis, ut quid plus, quid minus, quidve aequale adsit, intelligamus. Ex quo magnum esse dicimus quod sit hoc parvo maius, maximum quod sit hoc magno maius, lucidum quod sit obscuro clarius, lucidissimum quod sit hoc claro lucidius. Fit quidem comparatio ad res imprimis notissimas” Alberti, De Pictura, Liber I, cap.18.

178 Si veda la Resurrezione di Tabita e la guarigione dello storpio della Cappella Brancacci a Firenze. 179 Sull’opera cfr. Frugoni C., Ambrogio Lorenzetti, in Frugoni C., a cura di., Pietro e Ambrogio Lorenzetti,

ricevere i diversi toni, generando un complesso spazio multi-dimensionale avvalorato da lontananze di scuri, aperture di chiari, nerezza delle finestre; non diversamente aveva fatto Domenico Veneziano nell’Annunciazione della predella della Pala di Santa Lucia dei Magnioli agli Uffizi, o il Maestro dell’Osservanza, in particolare nelle opere che provengono dalla

Pala di Sant’Antonio Abate di Sant’Agostino di Siena (1440; si guardino le scene con Incontro tra Antonio e Paolo, l’Elemosina di Antonio, oppure Antonio e l’eremita). Si trovano altri esempi

con Piero della Francesca nella sezione alta dell’Annunciazione dell’abside di San Francesco ad Arezzo, con Beato Angelico che segna l’ombra dell’atrio dell’Imposizione del nome al

Battista del Museo di San Marco, e nel Chiostro degli Aranci della Badia fiorentina con il Miracolo del corvo (attribuito a Giovanni di Consalvo), in cui l’ombrosità della scena

costituisce un interessante picco di modernità masaccesca (figg.6-9)

Pagina precedente: 6. Maestro dell’Osservanza, Elemosina di Sant’Antonio, dalla Pala di Sant’Antonio Abate,

Washington, National Gallery of Art, 1440. 7-9. Anonimo, San Bernardino da Siena risana Solomea e aggressione di Giovanni Antonio Tornaro,

Perugia, Pinacoteca Nazionale 8. Giovanni di Consalvo, Miracolo del corvo, Firenze, Badia fiorentina, 1436-1439.