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Le ombre di Leonardo

Come vide bene Jaspers, “in Leonardo l’arte divenne l’organon della filosofia, giacché in lui l’agire dell’artista, in quanto conoscitivo, venne realizzato e al tempo stesso assnto nella riflessione. È questo che distingue radicalmente Leonardo da grandi artisti metafisici come Michelangelo e Rembrandt (...) Poichè l’arte diviene per lui l’organon della filosofia, in misura minore di quelli si rapporta Leonardo alle costruzioni sistematico-concettuali e a una logica razionale, riconnettendosi invece a una concreta logica filosofica e a una cosciente plasmazione di vita”290. È stato notato come la filosofia del Rinascimento non

fosse, d’altro canto, tesa a fondare o promuovere i diversi saperi, quanto a nutrirsi di essi, attrarli in un agire pratico che inglobasse, quasi in senso sacerdotale, l’unità della molteplicità della loro manifestazione. In questo senso, l’approccio sperimentale del Vinci è del tutto emblematico e permette di focalizzare l’attenzione su come un’attenzione tecnica si potesse tradurre subito in attivazione pratica, oggetto sperimentale ed energia ergativa. Negli ultimi decenni, gli studi di Francesca Fiorani, Janis Bell, Claire Farago, Giulio Bora, Pascal Dubourg Glatigny, Michael Baxandall, Ernst Gombrich, Carlo Pedretti, tra i molti, ci hanno restituito uno spaccato di interpretazioni di ampio respiro volti a cogliere la componente ottica delle ricerche del Vinci, presupposto indispensabile del suo esercizio osservatore e sperimentale, e la parallela elaborazione di una tecnica pittorica adeguata a dargli corpo, a tradurne le intuizioni in prassi di bottega291.

L’intelligenza analitica ed empirica di Leonardo è dimostrata prima di tutto dall’attenzione con cui indaga e nomina le diverse sfumature luminose della realtà, cristallizzate in un vocabolario variegato e puntellato, che esplora la luce e le tenebre sotto diversi profili rendendo conto di un approccio innovativo: qualitativo, prima di tutto, volto ad identificare le tonalità dei lumi sulla superficie dei corpi o negli ambienti; e sotto il profilo più tradizionalmente prospettico, “quantitativo”, rivolto alla loro misurazione matematica. È un’attenzione che si dimostra prima di tutto nella terminologia con cui Leonardo

290 Jasper, Leonardo filosofo, p.100.

291 Lume e ombra sono al centro di una rigogliosa tradizione di studi, ancora estremamente viva. In

particolare sono imprescindibili i lavori di Janis Bell sulle ombre e i lumi spesso lette in rapporto al tema delicato della prospettiva. Si guardi Bell J. C., Leonardo’s "prospettiva delle ombre" : another branch of

non-linear perspective, in Fiorani F., Nova A., a cura di., Leonardo da Vinci and optics, Marsilio, Venezia

2013, pp.79-111. Bell J. C., Sfumato and acuity perspective, in Farago C., Leonardo da Vinci and the ethics of

style, Manchester 2008, pp.161-188. Si vedano poi gli studi aggiornati di Francesca Fiorani, rivolti a

diversi aspetti dell’adombrismo leonardesco, in Fiorani F., The genealogy of Leonardo’s shadows in a

drapery drawing, in “Art history” 2013, pp.267-273; eadem, The colors of Leonardo’s shadows, in

“Leonardo” XLI, 3, 2008, pp.271-278; eadem, The theory of shadows and arial perspective : Leonardo,

Desargues and Bosse, in Bohlmann C., Fink T., Weiss P., a cura di., Lichtgefüge des 17. Jahrhunderts,

München 2008, pp.191-206. Shearman J. K. G., Leonardo’s colour and chiaroscuro, in “Zeitschrift für Kunstgeschichte”, 25.1962, pp.13-47 Rimane pionieristico, anche in questo caso, lo studio di Rzepińska M, Light and shadow in the late writing of Leonardo da Vinci, in “Raccolta Vinciana”, 19.1962, pp.259-266. Si veda anche la panoramica offerta da Dubourg Glatigny P., Représenter l’ombre au XVIe

siècle : voir, savoir et dessiner, in Hochmann M., Jacquart D., a cura di., Lumière et vision dans les sciences et dans les arts, Publications de l’École Pratique des Hautes Études, Paris, Genève, 2010 pp.231-255.

definisce quasi poeticamente i diversi timbri luminosi, nominando alla maniera degli ottici lo specchio dei fenomeni.

I lumi, e più raramente la luce, (termine che assume sempre una connotazione sorgiva e attiva), si dividono in primo luogo sulla base della loro natura e della loro provenienza. Nel

Manoscritto E i corpi opachi sono illuminati da tre sorti di lumi: lumi particolari sono il sole, il lume di finestra o il fuoco. Il secondo tipo è universale, “come accade ne’ tempi nubolosi o di

nebbia simili, mentre il terzo tipo è composto, cioè quando il sole da sera o mattina è integralmente sotto l’orizzonte292. Una quarta categoria di lume, è quello che “passa per

cose trasparenti come vetri, cristalli o altri corpi diafani”293. Nel Manoscritto B.N. (p.2038

14b) si legge per che i corpi densi opachi sono “vestiti” di varie qualità di lumi e di ombre. Si dà un lume derivativo e un lume originale. Quello originale ha una valenza derivata dalla vampa del fuoco o dal lume del sole o dall’aria. Il lume derivativo è il lume riflesso, che sgorgando fuori dalla sua sorgente tocca altri oggetti e si percepisce come loro rivestimento. Nel Trattato, la stessa divisione è scandita da altri nomi: si ha un lume primitivo e un lume derivativo. La

riverberatione luminosa non appartiene alle parti in ombra né ai luoghi oscuri, o ai prati, ai

boschi verdeggianti, o soprattutto all’intrecciarsi dei rami che generano tante ombre da non poter generare riverbero di nessun tipo. Si percepisce nelle parole di Leonardo come nei suoi disegni, l’umidità della terra e delle fronte, che si impregna di ombra, quasi vi si infittisce dentro. I lustri invece sono quei colpi di luce che si percepiscono quando la qualità luminosa si riflette su uno specchio o su un corpo metallico producendo un effetto scintillante.

Si dà poi una tassonomia di spazi: la luce è osservata prima di tutto in rapporto allo spazio in cui si misura; i lumi sono constretti, quando illuminano una stanza passando attraverso le finestre, e sono invece liberi, quando all’aria aperta sono svincolati da una spazialità raccolta e circoscritta294.

Senza dubbio con più sottigliezza del suo seguitore, Leonardo offre anche un’intensa terminologia sciografica: la definizione dell’ombra è sempre dedotta dall’ottica antica. L’ombra raramente è privatione di luce, spesso è la sua diminutione, e le ombre si dividono in

ombre originali (attaccate al corpo) che si espandono in razzi ombrosi, e ombre derivative, da cui

derivano diversi effetti. Altrove si dice ombra primitiva quella appiccicata ai corpi, e derivativa quella che si spicca da essi295. Altrove la primitiva è detta congiunta mentre la derivativa è detta separata296. Ci sono tre nature di ombre non congiunte: derivative, dilatabile, colunnale297. Ci

sono ombre semplici, che non sono toccate in nessun modo da fonti luminose e che iniziano nella linia. “Ombra è lume diminutione mediante l’oppositione dell’opaco”, “ombra è suppliomento del razzo luminoso tagliato dall’opaco298. Ombra è pronuntiatione de’ corpi delle lor figure299.

292 Manoscritto E. 3b. 293 Manoscritto G. 3b. 294 Manoscritto B.N., 2038. 29a. 295 Manoscritto C 14b. 296 Manoscritto Br. M., 171 a. 297 Manoscritto E, 32a. 298 Manoscritto W. 19152b 299 Manoscritto W.19076a.

Le Tenebre sono invece privazione di luce300. La luce, di per sé, è una discacciatrice di tenebre301.

Sembra che nell’insieme di proposizioni leonardesche la parola tenebra indichi soprattutto il punto ultimo dell’oscurità, la potenza embrionale che precede lo sviluppo delle ombre, secondario e spaziale. Con la parola oscurezza si indica invece la qualità, il timbro di questi passaggi graduali. Delle ombre infatti si notano diverse qualità, che derivano o dai “tanti vari effetti quanti sono i vari luoghi dove esse percuotono” (Codex Atlanticus); ci sono poi “diverse oscurità”, e “oscurità naturali rispetto al corpo”: “infra li corpi di varie oscurità, privati d’un medesimo lume, tal proportione fia infra le loro ombre qual sia la proportione delle loro naturali oscurità e il medesimo ài ad intendere delli lor lumi”302. In un

esperimento sciografico del manoscritto W Leonardo individua ben cinque tipi di ombra, dalla massima oscurità fino alla minore. Si può cogliere la contezza pittorica di Leonardo già muovendo dalle sue considerazioni. Non mancano ovviamente alcune sottigliezze sempre rapportate alla dimensione visivo-pittorica, come accade in un passo del manoscritto B.N. 2038.22a., dove si intuisce come Leonardo consideri l’ombra in senso prettamente plastico, quasi materico: si legge che ombra è

“privatione di luce e sola oppositione de’ corpi densi opposti a razzi luminosi: ombra è di natura delle tenebre: lume è di natura della luce: l’una cela e l’altra dimostra: sono sempre in compagnia congiunti ai corpi, e l’ombra è di maggiore potentia che ‘l lume, iperò chè quella proibisce e priva interamente i corpi della luce, e la luce non può mai cacciare in tutto l’ombra de’ corpi cioè corpi densi”303.

Dai due schieramenti che vengono notati qui, l’uno di tenebra da cui deriva l’ombra e l’altro di luce, opposto, da cui deriva il lume, si coglie come Leonardo affidi un vero e proprio statuto ontologico della tenebra, quasi un’essenza, un nucleo della manifestazione visiva. Tra i due “schieramenti” si offre quindi una permeabilità continua, una continuità. Leonardo pensa del resto al passaggio dalla tenebra alla luce come un processo visivo che appaia come infinito, e che origini nella tenebra. “Quando la cosa posta gli dinanzi sarà troppo presta vista da’ razzi tristi mostrerà ombra grande e sproporzionata e mai terminata”. I razzi tristi sono quelli trasversali, non dritti. Le ombre possono essere mai

terminate304, i loro confini possono essere confusi e ignoti305. Anzi, come si legge nel Trattato,

dove non si comprendono bene i confini e i termini delle ombre non si conoscono se non con

confuso giuditio, non si devono realizzare come finite o veramente terminate, sì che la tua opera sia d’ingegnosa risolutione306. Nel Manoscritto B.N., scrive che le cose universali sono sempre più

potenti all’origine che alla fine. Come infatti la ghianda mantiene in sè quasi trattenuta tutta la potenza dell’albero che si svilupperà in seguito; “adunque le tenebre sono il primo grado de l’ombra e la luce è l’ultimo: adunque tu pittore farai l’ombra più scura appresso alla sua

300 Manoscritto C 14b. Manoscritto E 32b. 301 Manoscritto C.A. 116a

302 Manoscritto E. 15a

303 Manoscritto B.N. 2038 22a. 304 Cfr, Manoscritto C.A., 148b. 305 Manoscritto W. 19076a.

cagione e il fine fa che si converta in luce, cioè che paia senza fine”307. Janis Bell notava qui

una decisa presa di distanza dal pensiero di Leon Battista Alberti, “Leonardo’s theory of sfumato took issue with Alberti’s theory and with contemporary practice, arguing that there is no mid-line between light and shadow but only continuous gradations, that there are no linear boundaries at the edges of objects but only differences in color or in degrees of illumination, and that distant forms should be rendered with more indistinctness than those in the foreground”308. E liberare l’ombra dal contorno implicava, subito, affidarle una

risonanza di spazio, schiuderla alla permeabilità dell’ambiente, come si vede bene nella

Gioconda del Louvre.

In un altro passo Leonardo parla dell’oscurità come se questa avesse una forza calamitante autonoma: “l’oscurità fatta nella percussione dell’onbroso concorso avrà conformità col suo principio la quale sia nata e finita infra propinque e piane superfitie qualità e retta oppositione”; e “quindi dove diversi razzi ombrosi si uniscono e si mescolano insieme è ovviamente minor lume”309.

Leonardo è così sensibile al tema delle ombre che, nel Trattato, suggerisce una definizione di tenebra praticamente paradossale, che rende soprattutto conto del gusto pittorico con cui questi argomenti sono stati pensati e sondati empiricamente. Riprendendo l’idea della diffusione della luce nello spazio paragonandola all’inanellarsi concentrico che fanno le ondine di superficie causate da un sasso che cade nell’acqua piatta, “così [che] ogni corpo posto infra l’aria luminosa circularmente spargie e enpie le circustanti parti d’infinite sue similitudini e appare tutto per tutto in ogni parte”, il Vinci aggiunge che “...il medesimo fanno le tenebre, conciossiaché esse vestono della loro oscurità ciò che dentro ad esse si rinchiude”310. Questo vestire delle tenebre, questo manto “nero” che si distende sul visibile

in termini scientifici e misurabili, eppure sfuggenti e infiniti, rappresenta – si crede – la novità fondamentale che con Leonardo fa da fondamento ai successivi sviluppi pittorici italiani. La nozione di razzo ombroso, che era già di Ghiberti, riflette la medesima dinamica, come se il corpo opaco diffondesse a sua volta una qualità ombrosa riconoscibile: come se l’ombra avesse a sua volta una diffusività autonoma, osservabile nella sua estetica singolarità.

Da una parte Leonardo riconosce quindi che la luce debba scacciare le tenebre e che queste si configurino come una mera vacuità di apparenza, come si poteva apprendere da Aristotele, ma la sua sensibilità pittorica lo spinge a riconoscere e a dare a quelle ombre una reale potenza plastica, ontologizzandone l’efficacia strutturale. Si consideri che questo tema non avrebbe mancato di essere sviluppato dalla filosofia cinquecentesca, come vedremo in seguito, che culminerà (pur prescindendo da Leonardo) con la scansione terminologica di Francesco Patrizi inerente la valutazione qualitativa di ombra, oscurità e tenebra. Quanto spicca però chiaramente è la coesistenza di un approccio scientifico che si coagula in un’intensione estetica molto esplicita, il cui riflesso artistico, quindi, per quanto non ancora

307 Cfr. Manoscritto K.111b.

308 Bell J., Sfumato and acuity perspective, in Leonardo da Vinci and the ethics of style, 2008, 161-188 309 Manoscritto C.4a (12b), Richter 217.

elaborato, apriva le porte al riconoscimento dell’oscurità quale materiale visivo di altissimo pregio.