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I colori ombrosi di Francisco de Hollanda

All’interno di questo stratificato panorama italiano ed europeo, un’eccezione è rappresentata dal trattato della Pintura Antigua di Francisco de Hollanda, redatto a Lisbona nel 1548. Tale libro, considerato “il solo trattato d’arte neoplatonico del Rinascimento”350 è

anche il primo scritto teorico che affronta la delicata questione dell’ombra esulando dalla sua funzione tecnica e prospettica ma intendendola, precisamente, nella sua valenza pittorica ed espressiva351.

Redatta in un Portogallo che Francisco percepiva come del tutto alieno da qualsiasi più seria aspirazione intellettuale o liberale, la Pintura esprime il punto di vista che il nostro miniatore aveva appreso a pensare durante il suo soggiorno a Roma, dove si era recato nel 1537 sotto la protezione del cardinale Infante Don Alfonso per documentare monumenti e fortezze italiane352. Pienamente integrato nella corte papale, a Roma Francisco aveva stretto

amicizia con alcuni degli esponenti più in vista dell’élite intellettuale, tra cui spiccano Vittoria Colonna, Michelangelo Buonarroti, Lattanzio Gambara, Giulio Clovio, Paolo Giovio, o, tra gli altri, Sebastiano del Piombo353. Le concezioni ermetiche e platoniche che

Francisco dimostra di conoscere nei suoi scritti sono senza dubbio il più fertile retaggio di quelle conoscenze, così come lo è l’esigenza profonda di consolidare l’ideale artistico dando ad esso un fondamento filosofico di ispirazione universale. Gemma periferica dell’umanesimo spirituale cinquecentesco, l’idealismo che si esplicita nella Pintura costruisce una concezione di pittura che sia chiamata a riflettere al suo interno l’ordine gerarchico della realtà. La tecnica pittorica che ne deriva risponde a questo impegno, e conduce a configurare la pittura a partire dall’invenzione, che corrisponde all’idea, necessariamente prioritaria perché più interna all’uomo e più vicina all’Idea divina, il disegno che dall’idea consegue, chiaro retaggio michelangiolesco, e primo nesso tra il “pensiero e l’opera visibile

350 Di Stefano E., Arte e Idea : Francisco de Hollanda e l’estetica del Cinquecento, Supplimenta di

Aesthetica, Palermo 2004, p.14.

351 L’opera è oggi leggibile in italiano in una nuova edizione Hollanda F. de., I trattati d’arte, a cura di

Francesca Modroni, sillabe, Livorno 2003, su cui si sono basate le citazioni che seguono. La fortuna critica di Francisco de Hollanda sta crescendo soprattutto di recente, dopo una faticosa riscoperta lungo il XX secolo. Prima di tutto, come è ovvio, in Portogallo: Deswarte-Rosa S., Ideias e imagens em

Portugal na época dos descobrimentos : Francisco de Holanda e a teoria da arte, Difei, Lisbona 1992. Più

recente: Berbara M. L., Nascentes morimur : Francisco de Holanda as artist, reader and writer, in Damm H., Thimann M., and Zittel C., a cura di., The artist as reader on education and non-education of early modern

artists, Brill, Leiden 2013; Berbara M., Francisco de Hollanda e a “teoria artística” michelangiana, “IFCH”

2006, pp.55-70. Su Francisco de Hollanda in generale, Parada López de Corselas M. Schiaffino E.,

Francisco de Holanda (1517-1584) en su quinto centenario : Viaje por la vanguardia del Renaciemnto, Madrid

Biblioteca Nacional de España, Madrid 2017.

352 Panofsky, per esempio, non la cita. L’opera di Francisco de Hollanda mostra per la prima volta

l’adeguazione del pensiero ermetico platonico all’operazione artistica, unicum della tradizione speculativa del XVI secolo, almeno fino alla assimilabile opera di Lomazzo, dal respiro completamente diverso ma altrettanto ispirata ad idee di natura ficiniane. Non ci sembra che sia stata proposta, invece, una lettura dell’approccio tecnico di Hollanda alla pittura.

353 Per alcuni stralci biografici si può vedere la nota introduttiva redatta da Grazia Modroni in

e contemplativa”354. La proporzione e la simmetria verranno subito dopo, perché la pittura

regola in una concordia unanime le “cose perfette e le cose imperfette” del mondo, rendendo conto dell’universalità che tutto avvolge; sarà intrisa infine di decoro e decenza, perché la pittura è come una lampada che illumina uno spazio oscuro, ed è “ragionevole”, “nutrimento del grande pensiero”355.

Se si guarda alla Pintura antigua “sub specie umbris”, sono almeno tre gli elementi che spiccano per rilievo storico. In prima istanza, la giustificazione teologica dell’impiego pittorico del lume e dell’ombra sulla base della mitologia biblica e dei canoni ermetici platonici di scuola ficiniana. In secondo luogo la moderna consapevolezza tecnica della qualità estetica di un chiaroscuro marcato e profondo, dedotta da Leonardo, e chiarita nel corso di un capitolo appositamente dedicato alle ombre; e in terzo luogo la caratterizzazione emozionale e poetica demandata all’utilizzo di coloriture scure di base, con quanto poteva derivarne nella fortuna pittorica di quegli anni.

Quanto più direttamente ci interessa dipende dal fatto che Francisco è portato a dedicare alla luce e all’ombra due capitoli specifici, rivelando un’attenzione prima presente (ma in sede empirica) solo in Leonardo, e ora attualizzata nello spazio sistematizzato della comprensione figurale356. L’Hollanda ha appena finito di descrivere e commentare il

rapporto dell’arte con il sacro e con l’invisibile quando ammette di non avere nemmeno iniziato a definire e discutere gli aspetti più complessi e incerti della sua arte357. I difficilia

comprendono la luce, lo splendore, l’ombra, il colore, e il decoro, la prospettiva, ma anche la scultura o l’architettura. Si capisce come il capovolgimento dell’estetica geometrica di Leon Battista Alberti – che del resto Hollanda cita e conosce358 – comportasse un diverso ordine

qualitativo dei lumi e la costruzione dello spazio, come da insegnamento michelangiolesco, sarà perciò del tutto secondaria rispetto al Disegno, e alla Luce, intesi come strumenti archetipici di quella “contemplazione attiva” che è la pittura moderna.

Il fatto che all’ombra venga dedicato un capitolo apposito che ne interroghi modalità ed efficacia svincolandola concettualmente dalla luce da cui fisicamente dipende e dalla prospettiva che la aveva tradizionalmente compresa, è quindi un elemento teorico di grande rilievo, sicuro riflesso di un’attenzione pittorica che si era espressa chiaramente nelle inventive soluzioni raffaellesche della Roma papale, e soprattutto nelle opere di Sebastiano del Piombo:

354 Tra le definizioni della pittura che offre Francisco de Hollanda nel secondo capitolo, solo

l’ultima inerisce la pratica concreta dell’artista, mentre le prime concezioni dell’arte figurativa riguardano in particolare il suo rapporto con il “continente interiore” dell’uomo, con il suo intimo creativo.

355 Hollanda F. de., Pittura antica, Libro I, capitolo II, p.24.

356 Deswarte-Rosa S., Ideias e imagens em Portugal na época dos descobrimentos,

357 “Giacché fin qui la mia piccola barca con fatica ha navigato per rotte molto rischiose e

pericolose, e vedo che comincia a apparrle il porto e l’insenatura, in cui sperava di gettare l’ancora, e riposare alla fine del suo viaggio, le è d’obbligo attraversare alcuni passaggi pericolosi molto incerti e duri, che essa sa e vede giacere molto occultamente sotto le onde, per cui tutte le altre tormente che si è lasciata dietro, in confronto a questa, le sembrano minori”. Hollanda F. de., p.76.

358 Stichini Vilela J., Francisco de Holanda : Vida, Pensamento e Obra, Instituo de Cultura e Língua

“Ma in questa ombra e nell’audacia con cui si deve dare si impiega grande conoscenza e sapere, perché questa deve sempre essere uguale; e non deve perdonare ad alcuna perfezione ad alcuna perfezione che abbia al di sotto di sé, così come sono solite fare le nuvole nel chiaro giorno sulle opere della città e sopra il lavoro dei campi, che, per dove passa la loro ombra, nulla perdona e tutto copre”359.

Sembra di avvertire in queste parole un diretto retaggio leonardesco. Elisabetta Di Stefano sottolinea come alcuni temi del trattato, in effetti, potevano essere stati presi dai manoscritti di Leonardo, del resto conosciuti e studiati in Roma. Più nello specifico, Francisco poteva avere avuto accesso alle idee del Vinci tramite autori come Paolo Giovio, Guglielmo della Porta, Benvenuto Cellini o lo stesso Claudio Tolomei360, che avevano

avuto contatti con il Vinci o con la sua opera. Si può aggiungere che secondo Vasari, che scrive negli anni ’40 l’edizione che andrà in stampa per Torrentino, i manoscritti di Leonardo, dopo essere passati per Firenze, erano approdati a Roma per poi scomparire dalla sua attenzione. Non è escluso che un contatto con quegli appunti misteriosi potesse esserci stato. Ad ogni modo le posizioni di Hollanda riflettono le idee estetiche di un’intera cerchia di pensiero. Spicca soprattutto la coerenza con cui Francisco si è impegnato a restituire uno specchietto di differenze qualitative di ombre che vanno dall’intensità forte generata dal contrasto ravvicinato con la luce, che avvicina l’ombra alla notte, fino al loro possibile svanimento verso il nulla: “A volte l’ombra si richiede forte ed a volte più blanda, e altre del tutto sminuita e persa: in altri momenti (come quando nasce qualche improvvisa luce da un raggio) si vuole maggiore l’ombra per lasciare che la luce diventi più chiara e più determinata ed assoluta”361. Inoltre, dato il peso demandato all’impiego plastico di lumi e di

ombre pensate in uno scambio e in una reciprocità che si avvalora reciprocamente (ancora

comparatio), Francisco ci lascia anche una puntuale definizione della notte:

“Alcuni ombreggiano molto le loro opere e altri poco, e gli uni e gli altri non sbagliano; ma ritengo più valenti e veritieri pittori quelli che ombreggiano più forte con soavità e discrezione. Ma le ombre della notte sono meno scure in confronto ai chiari, che sono allora anch’essi ombre”362.

Qui viene colta l’uniformità paradossale che un’atmosfera notturna offre allo sguardo, perché con il digradare e il diminuire dei lumi, anch’essi ombrosi nella notte, l’immagine restituirà un’immagine di minori contrasti. La Pintura antigua si concludeva con uno schema di consigli da dare al pittore: insieme alla sproporzione e alla bruttezza, tra le altre cose, sono da evitare le ombre date timidamente, mentre è considerata una virtù l’arditezza nel darle363,

359 De Hollanda F., Pintura, op. cit., cap.36, p.75. 360 Di Stefano E., Arte e Idea, op. cit., p.78. 361 De Hollanda F. de., op. cit., cap.37, p.76 362 ivi., p.77.

soprattutto con il fine del rilievo, secondo l’ispirazione che aveva messo Leonardo al secondo posto tra i migliore pittori esistiti364.

Che non si tratti però soltanto di rilievo si capisce quando l’Hollanda, sulla scorta degli ideali ficiniani, considera i colori tristi e gravi, ombrosi, come privilegiati “per un effetto di grande armonia e consonanza” se soccorsi con due o tre colori vivissimi. L’ideale malinconico e solitario proposto da Marsilio, tipico degli animi “sublimi”, sofferenti e filosofici, favoriva qui una essenziale riscoperta di quelle visioni di sogno e di notte che erano la corolla di un atteggiamento contemplativo amante del negativo dell’esperienza in quanto propedeutico all’approfondimento della realtà.

I colori tristi e ombrosi adeguatamente predisposti facevano risaltare le poche tinte allegre che dovevano essere distribuite con parsimonia sulla tela “oscurata”. Un esempio emblematico di questo atteggiamento si può trovare, a Viterbo, nella Flagellazione di Cristo conservata presso il Museo Civico della città365 (fig.35): qui il corpo candido e perlaceo di

Cristo attira lo sguardo contemplante dell’osservatore, e spicca con il suo calore di lumi diffusi sulla base grigia e scura dell’antro, mentre i flagellanti , irradiati da una luce laterale che si localizza su di loro facendo brillare le tinte verdi e blu delle vesti, e restituendo una nuova sofisticata forma di concordia discorde animata da un’uniformità graduale che, nonostante lo scuro attenua i contrasti, li ammorbidisce nell’ombra, assecondando un’intonazione grave ma equilibrata.

D’altro canto è soprattutto una visione teologica dell’operazione artistica che sostiene e legittima il rinnovato atteggiamento luministico dell’Hollanda. Si tratta di un punto magistrale e fondante, ma la cui discussione ci porterebbe al di fuori del discorso intrapreso. Basti dire che Francisco, animato dall’esigenza di idealizzare in senso platonico e quindi di spiritualizzare l’atto iconico, conoscitore dei recenti risvolti della cultura italiana (Ficino, Cusano) introduce la sua opera con l’immagine del Fiat Lux delle origini, ponendo l’arte sotto l’alto patronato della Divinità366 (fig.34).

“Dio volle dipingere tutto ciò che vediamo sull’oscurità e sulle tenebre che coprivano il grande quadro del mondo, cominciò subito con il chiaro, e perciò il chiaro, che è stata la prima stesura di Dio, è più nobile dello scuro, e la buona pittura si deve cominciare col chiaro piuttosto che con lo scuro e non con lo scuro, come fanno tutti, perché la luce viene prima dell’ombra”367.

Il punto focale del discorso è estremamente chiaro, dal momento che pensa l’arte come analogia dell’azione creatrice divina, e così facendo tende a sovra-significare l’azione

364 “La seconda palma la do a Leonardo da Vinci, che fu il primo che fece arditamente le ombre”. Il

primo posto va a Michelangelo. Raffaello è al terzo, “che ebbe infinita grazia e buona aria”. Quarto Tiziano, nel ritrarre dal vivo. Etc. Olanda F. de., Dialoghi romani o della pittura antica, in Hollanda F., d’., Modroni G., a cura di., I trattati d’arte, Sillabe, Livorno 2003, p. 162.

365 Scheda n.44, in Strinati C., Lindemann B. W., Contini R., a cura di., Sebastiano del Piombo 1485-

1547, catalogo dell’esposizione, Motta, Milano 2008.

366 Deswarte-Rosa S., Ideias e imagens em Portugal na época dos descobrimentos : Francisco de Holanda e a

teoria da arte, Difel, Lisbona 1992.

pittorica valorizzando gli elementi archetipici con cui il mondo è stato fabbricato dalle mani del Signore. In questo senso, l’attenzione nuovissima per la luce (“Si faccia la luce e fu fatta la biacca”) e le ombre fino al nero-tenebra, ha una precisa giustificazione filosofica e importanti conseguenze teoriche, e quindi pratiche. Non diversamente accadrà con Lomazzo, che muovendo da una definizione sincretistica della luce (il lume di Agrippa di Nettesheim368), ne riconosceva il valore sacrale e spirituale favorendo una comprensione

più profonda dei temi della luminosità, abbastanza da farne una dei protagonisti (peraltro tipicamente leonardeschi) del suo Trattato e dell’Idea.

Sembra peraltro, proprio per l’intreccio di questi punti di vista, che lo scritto di Hollanda apra importanti spiragli di interpretazione anche sull’impiego della pratica pittorica di Sebastiano, soprattutto per quanto concerne l’arte su pietra, spiegando la superiore nobiltà della luce sull’ombra in senso filosofico e tecnico. Altri pittori, dice Francisco, sostengono la superiorità dell’ombra sulla luce, perché in pittura agiscono, secondo lui, privilegiando la prima e dando a quella la priorità: per esempio nel disegno, che si realizza a partire da una superficie chiara su cui si tratteggiano le linee e i profili.

“Ma io ho una volta sperimentato, scrive invece il portoghese, di dipingere su una tavola grigia senza fare ombra, solo con il chiaro; e dove non dipingevo con il chiaro, dov’è la vera pittura, restava l’ombra di per se stessa, senza che io la facessi. E da allora in poi ho lodato più la luce che l’ombra, come l’elemento più nobile e principale”369.

Il caso esemplare è però sempre quello dei ritratti: questi per esempio sono dipinti di solo rilievo e solo con il chiaro possono essere dimostrate le profilature dei volti: “e poco varrebbe ritrarre dal vero in penombra un volto, poiché non vedremmo di esso che la posizione, ma con la candela della chiarezza subito essa si scoprirà e si farà intendere, e essa si deve dipingere solo là dove batterà la luce”370.

Si comprende, anche alla luce di questi intrecci, una ragione spirituale che muove l’esplorazione figurativa: questi vasti dipinti tristi e gravi sono, infatti, spesso dipinti di Pietà, come quella di San Francesco di Viterbo realizzata da Sebastiano su disegno di Michelangelo intorno al 1511 (fig.66). Si può ricordare, per concludere, come anche in altri campi del sapere si fosse resa evidente una sensibilità per gli sfumati e per i toni gravi della rappresentazione (letteraria, filosofica, poetica). Appartiene a quegli anni, per esempio, un breve trattato dedicato alle ombre, redatto dal filosofo Celio Calcagnini371, ricco di citazioni

368 Lomazzo G. P., Scritti d’arte, a cura di Roberto Palo Ciardi, 2 voll., II vol., Libro IV. 369 De Hollanda F. de., Pittura antica, p.76.

370 De Hollanda F. de., Pittura antica, p.76.

371 Calcagnini C., Ne Quis se a sua umbra vinci sinat vel de profectu, Caelii Calcagnini commentatio

ad Franciscum cognomento Episcopum, in Caelii Calcagnini Ferrariensis Protonotarii Apostolici Opera Aliquot, Basilea, 1543, pp.325-337. Ora disponibile anche in italiano, Calcagnini C., L' ombra,

o Sul cammino della virtù a cura di Nicola Gardini, Pacini Fazzi, Lucca 2017; sul tema vedere anche

Gardini N., Shadows, memory and self-improvement : the Renaissance in Celio Calcagnini’s "De profectu", in McLaughlin M., Rowland I. D., Tarantino E., a cura di., Authority, innovation and early modern epistemology, Cambridge, pp.37-55.

classiche su un tema che, evidentemente, doveva essere riccamente discusso nelle cerchie di Michelangelo e della Colonna372. Degli stessi anni, inoltre, era l’elaborazione poetica

dell’opera “notturna” per eccellenza del Rinascimento devozionale, quelle Lagrime di San

Pietro di Luigi Tansillo che proprio delle ombre e delle atmosfere tetre farà la circostanza

precisa dell’esperienza religiosa. Tutta una cultura sta scoprendo la profondità sfumata dell’oscurità, sta cercando in essa uno scopo visivo ed emozionale. Sul fronte pittorico, dopo Leonardo, se ne riconosceva tristezza, certo, ma soprattutto nobiltà. Lo si è detto, dalla pratica empirica si era ormai passati in uno scenario estetico, filosofico.

34. Sebastiano del Piombo, Flagellazione, Viterbo, Musei Civici 35. Francisco de Hollanda Fiat Lux, De aetatibus mundi imagines

372 L’inclusione storica di questo dialogo è proposta nel bellissimo libro di Bisello L., Sotto il manto

III. Oscurità moderna

“Avevo un dipinto per le mani, un giardino di notte. Predominava il nero, con piante verdi che emrgevano dall’oscurità. Improvvisamente iniziarono a muoversi e udii un vento (David Lynch)

1. La virtù dell’ombra

Sembra che l’ombra con le sue sfuggenti e indefinite oscurità fosse diventata, dopo Leonardo, uno dei vertici più interessanti dell’autocoscienza figurativa degli artisti del maturo Cinquecento. La cesura segnata dall’opera complessiva di Giorgio Vasari rappresenta, da questo punto di vista, un momento nevralgico per comprenderne la singolarità poetica e la riuscita caratterizzazione ideale nell’ambito della canonizzazione vasariana delle forme e dei modi artistici del suo tempo. Di questo aspetto si coglie tutta la pregnanza già nelle rappresentazioni ad affresco delle due case di Vasari, l’una ad Arezzo (dipinta intorno al 1548) e l’altra a Firenze (con affreschi del 1571 circa), entrambe splendidamente decorate ed investite di una inevitabile funzione auto-rappresentativa. Nel momento in cui Vasari espone in uno spazio simbolico le grandi narrazioni che avevano costituito l’esempio ideale per la nascita della prima storia dell’arte del Rinascimento373, si

comprende come i temi visivi e iconografici dell’ombra e della notte avessero acquisito ormai, all’interno di una retorica celebrativa studiata ed elaborata insieme all’amico Vincenzo Borghini, una inedita vitalità espressiva e narrativa, che addensava tanto elementi di origine classica (pliniana) quanto la coscienza pratica dell’artefice del maturo Cinquecento. In contesti simili, la presenza di tre diverse tipologie rappresentative a lume artificiale, comprova da una parte l’ormai riuscita assimilazione del nostro soggetto all’interno di un orientamento pittorico dalla fisionomia ideologica conclamata ed esplicita, dall’altra la sua complessa sovra-significazione, in senso simbolico, ma anche in virtù della qualità pittorica che ad esso è legata. Il nostro lavoro, muovendo dalle premesse finora date, si interesserà soprattutto del secondo punto, ma non può prescindere dal guardarne, per punti essenziali, la più evidente connotazione simbolica. Ad Arezzo, l’ombra è messa a

373 Le case affrescate di Vasari sono state di recente al centro di rinnovati interessi storiografici,

soprattutto concentrati sul valore ideale delle scelte iconografiche. Tra i lavori più significativi sul tema, si vedano Cecchi A., Decorations and collections in Vasari’s house in Arezzo and Florence, in Wellington Gatha M., a cura di., Giorgio Vasari and the birth of the museum, Farnham Ashgate, 2014 pp.21-30; Jacobs F. H., Vasari's Vision of the History of Painting: Frescoes in the Casa Vasari, Florence, in The Art Bulletin, Vol. 66, No. 3 (Sep., 1984), pp. 399-416; Heikamp D., A Florence la maison de

Vasari, in “L'Oeil”, cxxxvii, pp.2-9. Anche Stoichita ha discusso di recente le modalità celebrative e