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Trasparenze di giorno

4. Pittura diafana

4.2. Trasparenze di giorno

Di questo materiale, estremamente variegato in quanto a iconografie e modalità artistiche, non si riescono a riconoscere stilemi ricorrenti da un punto di vista morfologico nella ricerca di attenzioni notturne. Non sono mancati però, da parte degli storici dell’arte, i primi tentativi nel categorizzare la cosa. Se le parole “luminismo” o “tenebrismo” sono relativamente inappropriate, soprattutto perché problematizzano motivi formali più avanzati sotto il profilo cronologico (Adolfo Venturi parlava di “luminismo” a partire da Andrea del Sarto), fu Panofsky a tentar di rendere conto per primo di diverse varianti nella realizzazione storica dell’immagine della notte.

Lo storico chiamava “notturni negativi” i dipinti connotati da un cromatismo languido e discendente, caratterizzato da tinte grigie e quindi elaborati per “sottrazione”, rinunciando a dare colore alla notte e preferendo impiegare una tecnica de-saturante per onorare l’ottica privativa delle tenebre “irrappresentabili”. Era il caso, per esempio, dell’Ego Sum di Pol Limbourg, a cui si possono aggiungere molte opere di tradizione tardo-gotica o quattrocentesca: “pictures giving the effect of night by virtue of having no color at all”236.

Un simile espediente lo abbiamo visto, per esempio, nella Trasfigurazione di Giusto a Padova, o nei lavori scuri di Lorenzo Monaco. Appartengono a questo orientamento gli studi geometrici di Paolo Uccello, che non mancano affatto di essere sensibili al notturno, sebbene non giungano mai a coglierne l’elementare drasticità (sfiorata soprattutto nel Cristo

portacroce della Pinacoteca Stuard) eppure anche per Paolo abbiamo un “primo notturno

italiano”, ovvero la Natività di Cristo di San Martino a Bologna (1437)237. Né sarebbero

mancate invenzioni negative “notturne-diurne” anche successive, se si assume a riferimento l’Ecce Homo di Bramantino conservato il Thyssen Bornemisza di Madrid, distinto da un cielo perlaceo con tanto di luna (1490)238. Se guardiamo per esempio ad un pittore molto

236 Panofsky E., Early Netherlandish painting : its origins and character, voll.2, Harvard University Press,

Cambridge 1953, vol.1.

237 Sicari D., Paolo Ucello : pittore della luna, in “Strenna storica bolognese”, 52.2002, pp.377-388. Si

veda anche il Miracolo dell’ostia profanata (Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, 1465) con piccola luna alta nel cielo, o la bellissima Adorazione del Bambino, con un paesaggio lacustre accarezzato dal turchese della notte fioca (Staatliche Kunsthalle Karlsruhe, anni ’30 del XV)

238 Vedere scheda n.7 e n.8 del catalogo dell’esposizione curata da Natale M., Bramantino : l’arte

nuova del Rinascimento lombardo, (catalogo della mostra. Lugano, Museo Cantonale d’Arte, 28.09.2014 -

vicino tanto alla sensibilità albertiana quanto a quella fiamminga, Filippo Lippi, e in particolare la sua Natività degli Uffizi, o anche l’Adorazione del Bambino di Palazzo Medici a Firenze, la cosa si fa ancora più esplicita (fig.14). Da una parte Lippi asseconda l’esigenza mimetica mutuata dai fiamminghi e dalla tradizione cortese per declinare il paesaggio di sfondo in una luce aurorale, soffusa, che suggerisce il momento in cui il sole nasce. Dall’altra, non potendosi spingere, come avverrà nel secolo dopo, ad una sfolgorante rappresentazione della luce e dell’oscurità, si limiterà appunto ad indicarci la penombra dell’alba senza rinunciare alla minuzia dei particolari e alla loro puntuale definizione. Così la pittura traduceva il vero (la storia sacra della Natività), senza cadere nella trappola della notte come tenebra assoluta, e quindi senza sacrificare il nitore, la claritas diffusiva dei dettagli di natura, preziosi e sottili: il torrente che scorre nella boscaglia, i fiori e le pietre del suolo, e la luce sacra del Dio che è icastica, astratta, non illumina, ma arricchisce, ma adorna, ribadisce l’alterità di tale luce. In questa sintesi: una ricerca nuova che accoglie la narrazione ma non comporta un radicale stravolgimento dell’immaginario estetico: non ci sono “le ultime tenebre della notte”239.

14. Filippo Lippi, Natività, Firenze, Palazzo Medici, 1460 ca.

(Certosa di Pavia) sia intrisa di un chiaroscuro addensato che “corregge” il chiarismo del dipinto quattrocentesco.

239 Biscottini P., Filippo Lippi : la Natività, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2010. Non molto

diversamente agisce un suo allievo, Benvenuto di Giovanni del Guasta, quando realizza la composita Adorazione del Bambino della Pinacoteca di Volterra, che si concentra sul profluvio irrinunciabile di dettagli, segnando con un margine di ombra i gradini rocciosi ella grotta, le ombre dell’alberello secco sulla sinistra, i corpi illuminati degli astanti; vedere Paolocci A., La Pinacoteca di

Panofsky parlava poi di un notturno positivo, “giving the effect of night by virtue of having colors different from those of day”240: le luci artificiali favorivano quindi varianti

cromatiche che facevano della notte uno spazio dell’alterità visiva. Era il caso, continuava lo storico, del Sogno di Costantino di Piero della Francesca in San Francesco ad Arezzo241,

dove la luce perpendicolare dell’angelo trasformava volumi e colori sotto un cielo nitido di stelle. Ma era anche il caso, per fare un esempio extra-italiano, della Cattura di Cristo del Trittico di Dreux Budé al Louvre dipinto dal Maestro D’Ypres intorno al 1460 (figg.16-17). In casi di questo tipo, ad essere valorizzato era un aspetto che sarebbe stato al centro della valorizzazione notturna successiva, ovvero l’ideale impiego eclatante delle luci e dei colori volte a suggerire una rimarcata distanza del notturno rispetto alle estetiche diurne. Con l’affresco di Piero, però, si inizia già ad intravedere come una determinata dialettica luce- ombra potesse di per sé favorire l’elaborazione di un linguaggio narrativo improntato all’epifania del sacro. Sono i primi passaggi, pur dentro un’estetica della claritas prospettica, che manifestano una polarizzazione simbolizzata della luce dentro lo spazio circoscritto e matematico dell’immagine.

Si può dire ancora qualcosa: tra le categorie “parziali” di Panofsky se ne può ricavare una terza, caratterizzata dai dipinti che, pur ambientati di notte, non si dimostrano affatto interessati alla rappresentazione o all’allusione del notturno se non per tramite di elementi estrinseci alla forma stilistica del quadro: lumi artificiali in primis. Uno dei casi più espliciti a questo riguardo è il dipinto con Stigmatizzazione di San Francesco (1486-87) realizzato da Bartolomeo della Gatta e conservato alla Pinacoteca civica di Arezzo (fig.18). Della Gatta conosceva gli esempi di pochi decenni precedenti di San Francesco in Arezzo, ma sceglie di

240 Vedere Panofsky, Nederlandish,op. cit. pp.232-236.

241 Piero, sul piano teorico, non valorizza la luce quanto il De Pictura ribadendo le antiche notazioni

classiche: “dare i colori commo nelle cose si dimostrano, chiari et uscuri secondo che i lumi li derivano”. Il colorare dipende dall’osservazione empirica luce che, aristotelicamente, rende i colori più o meno manifesti. Piero della Francesca, De prospectiva pingendi, nuova edizione a cura di Chiara Ghizzi, Ca’Foscari, Venezia 2016. Si rimanda a Calvesi M., Piero della Francesca, Fabbri Editore, Milano 1998; Maetzke A.M., Bertelli C., a cura di., Piero della Francesca: la Leggenda della Vera Croce in

San Francesco ad Arezzo, Skira, Milano 2001; il tema notturno empirico del notturno di Arezzo è

citato in Valerio V., Piero della Francesca’s Sky in The Dream of Constantine, in Corsini E. M., The

Inspiration of Astronomical Phenomena, VI ASP Conference Series, Vol. 44, Astronomical Society of the

Pacific, 2011, che medita sul cielo riconoscibile che si alza sopra la tenda di Costantino; un cielo riconoscibile, studiato “secondo natura”, che interessa per la novità dell’attenzione “fiamminga” ai dati naturali. La critica ha soprattutto notato la vicinanza dell’opera di Piero alla cultura fiamminga. Il Sogno mostra assonanze con l’opera di Jean Fouquet, ricco di appunti notturni (Libro d’ore di

Chantilly) ma soprattutto, come è stato spesso ripetuto, con il Coeur d’amour espris di Barthélemy

d’Eyck presso la corte di Borgogna, pressoché parallelo al Sogno. Una traccia essenziale che comprende le esperienze quattrocentesche si trova in Gußner H., Der Mond ist aufgegangen: Malen im

Dunkeln - Malen des Dunkels, in Schuster P. K., Vitali C., Die Nacht, op. cit., 1998, cit., pp.12-52. Cfr.

Howard D., Elsheimer’s Flight into Egypt and the Night Sky in the Renaissance, in Zeitschrift fur Kunstgeschichte, 55. Bd., H.2 (1992), pp.212-224, p.217. Kemp M., New light on old theories : Piero’s

studies of the transmission of light, in Dalai Emiliani M., CURZI W., a cura di., Piero della Francesca tra arte e scienza, atti del convegno internazionale di studi, Arezzo, 8-11 ottobre 1992, Marsilio, Venezia

ambientare la sua scena in una fresca campagna illuminata da una luce diffusa e aperta242. I

raggi che sono emessi dal Serafino sono ancora quelli dorati della tradizione medievale. Le ombre di Francesco e di Fra Leone sono nette, sbattono a terra trasversalmente come a voler suggerire la radicalità dell’illuminazione improvvisa, che però è esterna, e comunque non è proviene dal Serafino243. Una civetta bianca ci ricorda che è notte. Se anche questa fosse il

segno che indica una simbologia sottesa all’immagine, non si può non ricordare che la civetta, animale notturno, è lì per indicare a noi l’avvenuta stigmatizzazione nel cuore della notte sul monte della Verna. La sua presenza ben evidente, sopra le spalle di Francesco appare quasi un’indicazione cronologica e un suggerimento di atmosfera. L’idea di sopperire con i dettagli del racconto all’assenza stilistica della notte è, del resto, una trovata iconografica di grande interesse. Come scrive Corrain a proposito di molti notturni dell’età medievale, “la problematica di tale rappresentazione si esplicita tramite la messa in scena di indizi atti a creare un suggerimento della notte e non una ‘naturalistica’ rappresentazione notturna”244. Al Museo di Belle Arti di Digione è conservata una tavola (1420) di Robert

Campin in cui la scena è raccontata con un sole che sorge sullo sfondo: è l’alba, ma Giuseppe ha bisogno della candela per illuminare il Bambino, sebbene il dipinto mostri un pieno giorno; al Museo del Prado è conservato il Trittico dell’Adorazione dei Magi di Hans Memling la cui anta sinistra rappresenta una simile Natività “con candela” e cielo diurno. Come se la candela stesse lì tanto ad indicare simbolicamente la fede di Giuseppe, tutta umana, quanto però anche a segnare la circostanza notturna dell’evento che non è però ribadita dall’uso drammatico dei colori, o dalla scelta di tinte nere o oscure. E si potrebbe continuare a lungo, svalicando il confine del Quattrocento: basterà confrontare alcuni Cristi

in agonia nel Getsemani del secondo XV secolo con i dipinti fiamminghi già ricordati. Si pensi

semplicemente al Botticelli della Cattedrale di Granada, o al Perugino degli Uffizi. Scendendo di qualità, si pensi al Maestro di Marradi, con il suo Bacio di Giuda (1510) degli Uffizi, all’Anonimo con Amore e Psiche del Museo di Castelvecchio di Verona, in cui in una stanza chiusa Psiche ha una candela, ma la stanza è illuminata a giorno. La Collezione

Borromeo dell’Isola Bella conserva una Derisione di Cristo dipinta da Bernardino Zenale che

presenta una torcia alzata sulla sinistra sulla scena, animata da un fuoco ormai scurito, che non è mai stato il motore luminoso agente della scena245 (fig.19).

242 Martelli C., Bartolomeo della Gatta : pittore e miniatore tra Arezzo, Roma e Urbino, Firenze 2013 243 Bartolomeo della Gatta usa questa strategia per dipingere l’ombra anche in altri quadri, come

nell’Annunciazione del Musée du Petit Palais di Avignon anche se non coerentemente (Maria non ha ombra) o nel San Lorenzo in Santa Flora e Lucilla di Arezzo altri e libro, dove in entrambi i casi l’ombra è una proiezione molto rigida e ben contornata, matematicamente intesa come una sagoma dai confini definiti e minuziosi, sempre presente alla destra e dietro i personaggi principali. Nelle

Stigmate, è un’ombra che si allunga sul suolo con un forte contrasto chiaroscurale, inedito negli altri

casi, precisamente definito a terra, più sfumato e aperto sotto l’avambraccio reclinato di Leone, rettangolare all’altezza delle radici dell’albero sulla sinistra, e soltanto abbozzato nelle rupi rocciose del paesaggio fiammingo che si spalanca sullo sfondo, macchie di selva ben dettagliate, vedute nitide di increspature terree e silvestre, abitate dai daini, dalle sterpaglie, da alberi lunghi e dritti.

244 Corrain L., Semiotica dell’invisibile, Progetto Leonardo, Bologna 1996, p.6.

245 Gregori M., a cura di., Pittura tra Adda e Serio : Lodi, Treviglio, Caravaggio, Crema, Cariplo, Cassa di

16. Piero della Francesca, Sogno di Costantino, Arezzo, chiesa di San Francesco, 1466 circa

17. Maître de Dreux Budé, Arresto di Cristo, parte sinistra del trittico di Dreux Budé, Parigi, Musée du Louvre, 1450 ca.

18. Bartolomeo della Gatta, San Francesco riceve le stimmate, Arezzo, Pinacoteca Civica, 1486-87, 19. Bernardino Zenale, Derisione di Cristo, Isola Bella, Collezione Borromeo