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Stelle, fuochi, candele

4. Pittura diafana

4.1. Stelle, fuochi, candele

Un’estetica della chiarezza, portata a sfociare necessariamente in una “pittura della luce” (Bellosi), ha quindi diverse conseguenze sul piano pittorico. In primo luogo sarà restia ai contrasti accesi e drammatici, perché l’ordine che cerca è armonico, come la musica, non sordo né sonoro219. Penserà poi che la natura vada imitata tanto dall’esterno dei suoi

fenomeni quanto all’interno del suo ordinamento proporzionato, e poiché aspira alla bellezza, il pittore di luce si terrà lontano dagli screzi, dalle circostanze creative che prevedano rigonfiamenti ombrosi. In generale, in Italia, la notte non viene rappresentata. La questione deve essere guardata con maggiore attenzione, perché costituisce la premessa essenziale per leggere, del notturno, i successivi rivolgimenti.

Se la notte è pensabile al crocevia di poièsi mimetica ed estetica diafana, quasi posta ad emblematizzare la complicata e contradditoria relazione tra i due, è chiaro come il punto focale sulla questione non vada misurato in termini iconici o narrativi, ma si debba invece problematizzare in termini di stile, forma. La domanda non sarà, perciò: quando l’arte rappresenta la notte, intendendo per questa una circostanza atmosferica o cronologica ambientata sotto il manto stellato dell’universo o al chiuso fioco di una dimora. Sarà piuttosto una domanda tecnica, rivolta all’artigiano: “come dare corpo e visibilità a qualcosa che sfugge dalla nostra percezione?” oppure: “in che modo coordinare, data una scena ‘narrativamente’ notturna, la condizione di invisibilità che la distingue ed una pittura che è chiamata a fingere quello che si vede?”220. Se anche nel De Pictura non mancano annotazioni

sull’impiego di lumi naturali e artificiali all’interno dell’immagine, il problema del notturno si deve porre, quindi, su un piano che non è meramente iconografico. Questo spiega perché il Quattrocento, soprattutto nei suoi esempi aurorali, sia di fatto molto distante da una delle grandi scoperte del secolo successivo: quell’oscurità che con Leonardo verrà assunto a vertice organico della figurazione del divenire. Anche in virtù di quanto scritto finora, ci sembra questo il punto focale della questione. Il Quattrocento conosce molte notti iconografiche, ma in nessun caso mostra la presenza di un’oscurità di fumo, per dirla con Alberti, di un diffusivo colore fosco pensabile, in particolare, come elemento plastico, come realizzazione “nera” o “tendente al nero” di quella “tenebra” che Alberti ipotizzava presente ma che non schiudeva a nessuna possibilità mimetica. Non si dava ancora il pensiero di un’oscurità pervasiva, spaziale. Riprendendo le riflessioni di Panofsky sulla prospettiva, non si davano ancora presupposti filosofici e concettuali adeguati per una nascita visibile del buio nell’immagine.

219 Bellosi L., Pittura di luce: Giovanni di Francesco e l’arte fiorentina di metà Quattrocento, catalogo

dell’esposizione (Firenze, Casa Buonarroti,16 maggio-20 agosto1990), Milano 1990.

Ciò nonostante, rimanendo su un piano iconico la tradizione cortese, così attenta alle più diverse forme di realtà, sapeva cogliere anche, a partire da Giotto, i dettagli della descrizione variegata e multiforme delle molteplici sorgenti luminose che i sensi potevano cogliere, dai lumi dei fuochi a quelli delle stelle221. Precorrendo tanto Leonardo quanto

Barbaro o Lomazzo anche Alberti del resto ci parlava molto precisamente di sole, luna, stelle, fuoco222, lampade223, candele224.

“Dico de’ lumi alcuno essere dalle stelle, come dal sole, dalla luna e da quell'altra bella stella Venere. Altri lumi sono dai fuochi. Ma tra questi si vede molta differenza. Il lume delle stelle fa l'ombra pari al corpo, ma il fuoco le fa maggiori. Rimane ombra dove i razzi de' lumi sono interrotti”,

La differenza dei lumi sembra quasi dipendere dal tipo di rapporto che questi instaurano con gli oggetti e con i corpi, oltre che dalla loro intensità e dalla loro lontananza. Anche la divisione delle fonti luminescenti è mutuata chiaramente dagli scrittori medievali, che a queste forme demandavano la massima attenzione proprio con il fine di rendere conto dell’universale manifestazione della luce. Alhazen, Bacone, Al Kindi, avevano proposto elenchi similari. Alhazen, in particolare, aveva redatto uno scritto matematico apposito, il

De crepuscolis, conosciuto in occidente grazie alla traduzione latina di Gherardo da Cremona,

nel quale osservava in particolare il cambiamento della luce dell’atmosfera durante le ore del tramonto. Il sole è ricordato da tutti gli studiosi (Alhazen, Bacone, Al Kindi), seguito dalla luna (Alhazen), dalle stelle (Bacone), dai fuochi e in generale le luci artificiali (Alhazen, Bacone, la candelae di Alkindi)225. Se la pittura è chiamata ad imitare tutto quanto la natura

mostra e rende visibile, ciò che cade sub aspectu, la posizione di Alberti è chiara e tende all’universale della rappresentazione: non manca, per esempio, la descrizione di un fuoco rosso colto in una stanza chiusa con tanto di effetti di riflesso. Sulla carta, non manca nulla perché si immagini un’evoluzione autonoma della figurazione a lume notturno anche nella pratica figurativa, già con il primo Quattrocento. Questo contrasta, però, con l’evidenza ineludibile della storia degli oggetti, assai raramente contraddistinti, nel momento in cui Alberti scrive, da scenari di lumi e di ombre.

E se, come notava giustamente Ackerman, “the rare instances in Quattrocento art of illumination by sources other than the sun were the cause of remarkable innovations in the representation of shadow and in color practice, perhaps because they forced the painter out

221 Su questo aspetto si rimanda a Bialostocki J., Il Quattrocento nell’Europa settentrionale, UTET,

Torino 2009.

222 “Lumina alia siderum ut solis et lunae et luciferae stellae, alia lampadum et ignis”. Alberti, cap.11. 223 Le lampade sono specificamente ricordate solo nell’edizione latina del testo.

224 Delle candele Alberti nel De Pictura non parla, ma ad esse, come ai lampadari, è dedicato un

breve passo del De re aedificatoria relativamente alla bellezza del Tempio. “Ci si chiede quale tra questi spettacoli è più bello: se un trivio animato dai giochi della gioventù... ovvero un tempio illuminato da una moltitudine di lampade. Io vorrei però che le lampade dei templi avessero quella solennità che alle piccole candele in uso oggigiorno manca affatto. Indubbiamente queste saranno piacevoli alla vista qualora vengono allineate secondo determinati disegni, se ad esempio le si dispone in fila seguendo la linea delle cornici”, Alberti, De re aedificatoria, ed. tradotta, pp.628.630, parlando del tempio.

of the mould of uniform modeling”226, allora si tratterà di tener ben presente come un certo

tipo di soluzione iconografica comportasse di per sé un’occasione di alterazione della norma, di intuitiva ricerca creativa.

Si parta per cenni da Giotto: già embrionale ma perfetta comprensione della diffusione della luce nello spazio chiuso (il famoso dettaglio con angolatura prospettica in ombra, 1305 circa, fig.10)227, già lumi artificiali e cieli aperti ma senza stelle (Arresto e del Cristo davanti a Caifa, Cappella degli Scrovegni), (fig.11): dove il lume della fiaccola era motore di

visibilità interna ma non fattore plastico dei corpi. Dopo Giotto, un cielo stellato si apriva sopra la Cattura di Cristo di Pietro Lorenzetti, nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi, cui si associa per precisione descrittiva e narrativa la sua Ultima Cena (1310-1319), con tanto di naturalistico fuoco in primo piano, nei pressi della servitù. Taddeo Gaddi, i cui noti Pastori annunciati dall’Angelo a lume divino (1328-1338), stagliati su uno sfondo un tempo blu, sono tra i più bei “notturni” del Trecento fiorentino, ma anche con la formella dell’armadio della Sacrestia di Santa Croce con Apparizione di San Francesco228. Un’opera

intensa come la Trasfigurazione di Cristo realizzata presso il Battistero di Padova da parte di Giusto de’ Menabuoi (1375-1378)229.

Da un punto di vista storico, centrale è stata l’esperienza dei fratelli Limbourg, al debutto del XV secolo (Pol Limbourg, Ego sum, 1411-1416, Trés Riches Heures du Duc de Berry, Musée Condée, Chantilly)230 (fig.12), o Jan Van Eyck (l’Arresto di Cristo, ma anche il Battesimo Très

Belles Heures de Notre-Dame, Libro d’ore di Torino, 1414-1430, distrutto, Biblioteca Nazionale di Torino231), e nella loro temperie internazionale, la Natività di Gentile da

Fabriano (Gentile da Fabriano, Natività, predella dell’Adorazione dei pastori, 1423, Galleria degli Uffizi, Firenze), fino agli incupimenti di Lorenzo Monaco (per esempio Annuncio ai

pastori della cimasa dell’Adorazione dei Magi agli Uffizi232), all’Arresto di Cristo di Carlo Crivelli

della predella del Polittico di San Silvestro di Massa Fermana (1468)233, o alle opere del

Sassetta, molto spesso, come nella bellissima Agonia del Getsemani del Detroit Institute of

226 Ackerman J. S., Renaissance color, op. cit., p.21.

227 Cfr. Bergdolt K., Roger Bacon and the human eye : religious painting and "Perspectiva" at the end of the 13th

century, in Lumen, pictura, Imago: op. cit., pp.83-100.

228 Su questi temi si rimanda al saggio di Howard D., Elsheimer’s Flight into Egypt and the Night Sky in

the Renaissance, in Zeitschrift fur Kunstgeschichte, 55. Bd., H.2 (1992), pp.212-224. Una panoramica

essenziale si trova, criticamente discussa, anche in Schuster P. K., Vitali C. a cura di., Die Nacht :

Bilder der Nacht in den Bayerischen Staatsgemäldesammlungen, catalogo dell’esposizione, Monaco, 11

gennaio 1998 – 07 febbraio 1999, Monaco 1998, pp.53-71.

229 Si guardi in generale Spiazzi A., Giusto de’ Menabuoi nel Battistero di Padova, Trieste 1989.

230 Alexander J. J. G., The Limbourg Brothers and Italian Art: A New Source, “Zeitschrift für

Kunstgeschichte”, 46. Bd., H. 4 (1983), pp. 425-435, p.428.

231 Cfr. Montgomery S., The first naturalistic drawings of the Moon: Jan Van Eyck and the Art of

Observation, “Journal for the History of Astronomy”, 1994, p.317-320.

232 Tartuferi A., Parenti D., Lorenzo Monaco : dalla tradizione giottesca al Rinascimento, Giunti, Firenze

2006, cat.41.

Arts Museum (1437-1444)234 (fig.13) o del profano Barhelemy Van Eyck (il noto Livre du coeur et d’amour esprit, 1460 circa, Codex Vindobonensis 2597, Nationalbibliothek, Vienna) o

Francesco Marmitta (Apparizione di Laura morta in sogno, da Rime e Trionfi di Petrarca, 1499, Landesbibliothek und Murhardsche der Stadt Kassel, Kassel235). Ma anche le molte opere

“atmosferiche” di Sano di Pietro, o Giovanni di Paolo, di cui spicca soprattutto la Fuga in

Egitto della Pinacoteca Nazionale di Siena.

234 Cfr., Israëls, M., a cura di., Sassetta: the Borgo San Sepolcro Altarpiece, 2 vols., Villa I Tatti, n.25,

Florence & Leiden, 2009, vol. 1, pp. 337-341; vol. 2, pp. 412-417; Cfr. De Marchi, A. Il polittico di

Sassetta per San Francesco a Sansepolcro perlustrato, “Prospettiva” 139-140, 2010, pp. 115-130.

235 Bacchi A., De Marchi A., a cura di., Francesco Marmitta, Umberto Allemandi & Co., Torino 1995,

in particolare il cap. I. Si veda anche Toesca P. Di un miniatore e pittore emiliano, Francesco Marmitta, “L’Arte”, L, 1948, pp.33-39.

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10. Giotto, Scorcio prospettico, Padova, Cappella degli Scrovegni, 1305 circa. 11. Giotto, Cristo davanti a Caifa, Padova, Cappella degli Scrovegni, 1305 circa. 12. Pol Limbourg, Ego sum, in Trés Riches Heures du Duc de Berry,

Chantilly, Musée Condée, 1411-1416

13. Sassetta, Agonia di Cristo nell’orto, Detroit, Institue of Arts, 1440 circa