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4. Pittura diafana

4.4. Nero meditativo

Abbiamo raccolto abbastanza informazioni per poter circoscrivere alcuni temi iniziali, di cui vedremo, in seguito, gli sviluppi. Sembra di poter affermare che la tradizione precedente il Cinquecento, per quanto avesse teorizzato, almeno in potenza, una condizione ottica relativa all’oscurità e alla tenebra, non abbia maturato le categorie estetiche adeguate per poterne sviluppare la pregnanza visiva. Vedremo come starà a Leonardo cogliere la centralità dell’ombra abbastanza da metterne a fuoco un’inedita evidenza plastica. Il Quattrocento vede, invece, esplorazioni maculari a partire dai canoni tardo-gotici, ancora giotteschi, capaci di accogliere la vibrante presenza dei lumi artificiali, ma non di mettere al centro un’ombra e un’oscurità che dovevano ancora restare a margine. Il nero abietto delle tenebre non faccia parte, ancora, dell’immagine.

Si deve notare, però, come il Quattrocento conoscerà un diverso orientamento oscuro, che non si esprimeva tanto nella corretta o meno rappresentazione della notte, ma nell’impiego iniziale ed espressivo dei fondi neri, tanto nei ritratti (Petrus Christus, Antonello da Messina, tra i principali), quanto soprattutto nelle immagini di stampo religioso250. Questo

punto, che si dovrà riprendere in seguito, solo parzialmente si allontana dal nostro discorso. Se infatti una mimetica della notte era ancora impensabile, la scelta di fondi scuri per incorniciare l’Imago Christi, in Italia settentrionale, soprattutto con Antonello da Messina tra Milano e Venezia (in particolare con i suoi Flagellati e i suoi Ecce Homo)251 (fig.21),

rappresenta il più originale impiego della nerezza nell’immagine, laddove la sua carica eversiva abiectissima potesse essere funzionale, coerentemente, oltre che a fare staccare visualmente l’immagine dal piano di fondo e quindi inverarne la presenza in funzione appunto ottico-mimetica, anche a segnare, nelle immagini dei Cristi passi, l’indirizzo di una condizione interiore da mantenere meditando su di esse. Alcuni dipinti anticipavano, sembra, questa strada: la tavoletta dei Museo Vaticani con Crocifissione Madonna e San

Giovanni Evangelista di Andrea di Bonaiuto, datata al 1370, si mostra per esempio corredata

da un fondo nero252 (fig.55), così come la tavola con Crocifissione con Madonna e San Giovanni

New York, dipinto intorno al 1515 a Ghent da Simon Bening. Tracce bibliografiche da individuare. Tra i molti. Le Bideau-Vincent S., Peintures flamande & hollandaise (XV – XVIII secolo) : collection des

musées de Châteauroux, Somogy, Éditions d’Art, Paris 2001, pp.27-28. Una visione generale si può

avere scorciando il lavoro di Faggin G. T., La pittura ad Anversa nel Cinquecento, Marchi & Bertolli 1968. Imprescindibile lo studio di Panofsky E., Early Netherlandish Painters, Harvard Univ. Press, Cambridge 1958. Nell’esposizione Illuminating the Renaissance, sono deducibili le molte notti dei Paesi nordici: si ricordano le Orazioni nell’orto del Vienna Master of Burgundy del Prayer book of Charles

the Bold, 1469-71, realizzato tra Ghent e Anversa, o del Madrid Hours of William Lord Hastings, 1470s,

Ghent. O le scene della Natività dell’Emerson-White Hours, 1480-82 (Valenciennes, Bruges, Ghent); o la scena di tragica festa cortese nella Jean Froissart Chronique, 1470-75. Si consulti la straordinaria varietà di opere in Kren T., a cura di., Illuminating the Renaissance : the triumph of Flemish Manuscript

Painting in Europe, Getty Publications, Los Angeles 2003. Vedi anche i dati riassuntivi in Ainsworth

M. W., cit., p.195.

250 Questo argomento nodale sarà ripreso nel corso del V Capitolo, in particolare paragrafo V.3.1. 251 Cfr. Thiébaut D., Le Christ à la colonne d'Antonello de Messine, Paris 1993.

252 Sebbene la critica non sia stata concorde nell’ascriverne il tono grave del nero all’originale,

degli Uffizi realizzata da Nicolò di Pietro Gerini di inizio Quattrocento253. Altri fondi neri si

trovano in immagini dalla patente connotazione mnemotecnica: la paletta dell’Uomo dei

dolori con Vergine San Giovanni e gli strumenti della Passione di Roberto Oderisi dell’Harvard Art

Museum di Cambridge, datato al 1354, sembra farne un impiego comodamente astrattizzante254. Altamente interessante è anche il fondo scuro che Paolo Uccello affida al

suo Portacroce della Pinacoteca Stuard, fondamentale anche per la circostanza iconografica “penitenziale” in cui si iscrive255 (fig.56).

Questa strada “meditativa” costituirà, nelle sue rielaborazioni belliniane e leonardesche, un importante presupposto per la nascita di una pittura dell’oscurità plastica. Resta però che la notte, almeno nel senso illusivo che le imitazioni naturali ricercavano, si situi ancora in un’alterità concettuale, nell’angolo dell’invisibile, attendendo che qualcuno la chiamasse e le chiedesse di manifestarsi.

Scholz Collection sembrerebbe ribadire la medesima intuizioni figurativa “scura”.non sono mancati studiosi che ne hanno supportato l’origine (D’Achiardi P., I quadri primitivi della Pinacoteca Vaticana

provenienti dalla Biblioteca Vaticana e dal Museo Cristiano, Danesi, Roma 1929)

253 Cfr. catalogo web del Museo degli Uffizi: https://www.uffizi.it/magazine/crocifissione; cfr.

Tartuferi A., scheda n. AA.VV., Acquisizioni e donazioni 2001-2011. Arte dal medioevo al XXI secolo, Roma 2014, p. 177.

254 L’opera di Oderisi è citata e discussa dal punto di vista iconografico in Barcham W. Puglisi C. R.,

Art and faith in the Venetian world : venerating Christ as the Man of Sorrows, Harvey Miller Publishers,

London, Turnhout 2019, pp.63-64.

255 Si pensi all’affresco di Nicolò di Pietro Gerini con Cristo portacroce presso la Cappella della

20. Piero della Francesca, Stigmati di San Francesco, predella del Polittico dell’Annunciazione, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, 1460-1470

II. Grazia dell’insensibile

Mutando, si riposa

(Eraclito)

1. La forma dell’ombra

Mettendo a tema la continua e oscillante circolarità tra l’irrigidirsi di una norma classica e l’esigenza continua di trasformarla e superarla, in Norma e forma Ernst Gombrich poneva in primo piano il tema di come un’eccezione, uno scarto alla norma potesse via via costituirsi come ingrediente privilegiato per una nuova formazione stilistica, potesse diventare a sua volta norma di una processualità figurativa inedita, muovendo dal principio di esclusione che ne aveva determinato i caratteri. “Forse si segnerebbero maggiori progressi nello studio degli stili – scriveva l’autore – se si ponesse l’attenzione su tali principi d’esclusione e sulle pecche che ciascun particolare stile vuole evitare, anziché continuare a cercare la struttura o l’essenza comune di tutte le opere create in un certo periodo”256. Si trattava, quindi, di

comprendere le ragioni di un’aporia consapevole per vedere i motivi di una sua riappropriazione in sede stilistica.

Pare che l’immagine della tenebra costituisse infatti un “indicibile” (parafrasando Giordano Bruno) della figurazione primo-rinascimentale, dal momento che a partire da determinati assunti, in essa si cristallizzava un emisfero concettuale legato all’assenza di percezione che ne rendeva delicata se non impensabile la comprensione figurativa. Nella muta testimonianza degli oggetti ci sembra poi di aver rilevato le ragioni dell’incapacità quattrocentesca di figurare le tenebre nella ancora disattesa messa in pratica di una pittura dell’ombra considerata, soprattutto, nel suo senso plastico e spaziale, osservata cioè nell’intensificazione morfologica che le tinte scure potevano generare in un’immagine. Già Masaccio, in realtà, aveva meditato sull’idea di uno spazio che fosse penetrabile da parte dell’ombra, (la sagoma ombrosa di San Pietro proiettata nella scatola prospettica della Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine257), ma quest’ultimo aspetto, senza dubbio

centrale ed emblematico, non era ancora abbastanza radicale: quanto ci interessa osservare non tocca, lo abbiamo detto, la componente iconica dell’immagine-ombra, ma piuttosto la qualità plastica dell’oscurità, la sua generale connotazione pittorica, che attendeva ad essere messa a fuoco e guardata in tutta la sua evidenza. La posizione filosofica e stilistica che proprio in questo senso, è criticamente riconosciuta a Leonardo, costituisce una svolta fondamentale nel modo di concepire la stessa pratica artistica proprio perché schiude le

256 Gombrich E., Norma e forma : studi sull’arte del Rinascimento, Einaudi, Torino 1973 (prima ed.1966). 257 Cfr. Stoichita, Breve storia dell’ombra, op. cit.; vedere soprattutto Freedman L., Masaccio’s St. Peter

porte della mimesis alla qualità espressiva ed estetica dell’ombra guardata nella sua ontologica transitorietà, e, in particolare, messa al centro definitivo della pratica visiva moderna (Vasari).

Si sostiene qui che sia questa componente ad aprire la strada alla scoperta pittorica della notte. La delicata sintesi tra la proporzionata prospettiva dei lumi e la disarmante cecità delle tenebre notturne si è data infatti per la prima volta nel pensiero di Leonardo, conducendo alle massime conseguenze i presupposti albertiani e aprendo la stagione cinquecentesca della riflessione sciografica (Raffaello, Giulio, Lotto, Correggio, etc.). Per quanto non direttamente espressa in pittura, la notte descritta e immaginata da Leonardo coglie l’equilibrio precario di esigenza mimetica e contraddizione percettiva, sciogliendo le spigolature che si erano mostrate nella logica dell’Alberti e aprendo, così, all’idea stessa di fare della notte uno dei fulcri dell’esperienza pittorica.

Sono molti gli argomenti che situano gli scritti di Leonardo tra i momenti cardinali della riflessione sulla dialettica dei lumi all’inizio dell’età moderna, ma la centralità del suo notturno si esprime chiaramente nella notissima definizione che lui ne restituisce a penna, presente nel Trattato.

“Quella cosa che è priva interamente di luce è tutta tenebre: essendo la notte in simile condizione, se tu vi vorrai figurare un'istoria, farai che, essendovi un gran fuoco quella cosa che è più propinqua a detto fuoco più si tinga nel suo colore, perché quella che è più vicina all'obietto, più partecipa della sua natura; e facendo il fuoco pendere in color rosso, farai tutte le cose illuminate da quello anch'esse rosseggiare, e quelle che son più lontane da detto fuoco, più sieno tinte del color nero della notte. Le figure che son fatte innanzi al fuoco appariscano scure nella chiarezza d'esso fuoco, perché quella parte d'essa cosa che vedi è tinta dall'oscurità della notte e non dalla chiarezza del fuoco: e quelle che si trovano dai lati, sieno mezze scure e mezze rosseggianti: e quelle che si possono vedere dopo i termini delle fiamme, saranno tutte illuminate di rosseggiante lume in campo nero. In quanto agli atti, farai le figure che sono appresso farsi scudo con le mani e con i mantelli a riparo del soverchio calore, e, volte col viso in contraria parte, mostrar di fuggire: quelle più lontane, farai gran parte di loro farsi con le mani riparo agli occhi offesi dal soverchio splendore”258.

Volendo, si può dire che il “primo notturno” della storia dell’arte non fosse pittorico, ma poetico, descritto dall’ekphrasis di una scena immaginaria, e dipinto da parole che compenetrano il geometrismo matematico brunelleschiano, con una polarizzata dialettica di lumi e di ombre. Dopo Piero, Leonardo tenta la convivenza di prospettiva ed ombra, ma a differenza del suo predecessore ne può pensare l’efficacia cromatica a partire dall’effetto vacuo del nero dal momento che dispone di un più elaborato concetto pittorico di oscurità, guardato nella sua attinenza empirica e sulla scorta della trattatistica medievale. Avremo modo in seguito di tornare sull’idea pionieristica di fare della notte il soggetto della

258 Si è consultata l’edizione aggiornata del Trattato con testo bilingue e commento, curata da

Farago C., The fabrication of Leonardo da Vinci’s "Trattato della pittura" : with a scholarly edition of the "editio

princeps" (1651) and an annotated English translation, Brill, Leiden Boston 2018. Per i manoscritti di

leonardo sono stati consultate le opere curate da Richter J. P., Leonardo da Vinci, The literary works of

rappresentazione. Quanto qui però ci interessa è annotare come il sistema ottico perspettico di matrice medievale, che Leonardo mutua come Alberti da Pecham, Bacone ed Alhazen, con la sua dispiegata competenza matematico-geometrica, si pieghi creativamente a narrazioni evocative che si nutrano dell’aporia fisiologica dell’immagine notturna suffragandone l’inevitabile condizione alterativa e antinomica ma, al contempo, accogliendone la bizzarria estetica entro i confini dell’arte: aprendo, insomma, ad un’estetica dell’oscurità, per quanto colta in uno stato germinale, ancora di fatto potenziale. A proposito della definizione riportata, da una parte Leonardo è estremamente preciso nell’indicare i termini e le condizioni della pittura della notte. Seguendo il procedimento albertiano immagina prima di tutto uno spazio entro cui collocare la storia; poiché la notte è priva di luce, però, il suo spazio è invisibile, ed è tutto tenebra né appare un ambiente in cui immettere personaggi e narrazioni. Di fronte a questa vacuità impensabile, Leonardo inserisce quindi un fuoco che funga da portatore di luce – la sua virtù recondita259 – e renda

visibile il racconto. Questo comporta una palese (e inevitabile) sostituzione prospettica, perché l’organizzazione dello spazio non dipenderà più dalle regole della costruzione geometrica di uno scenario in cui ambientare la storia – secondo la modalità classica brunelleschiana –, ma deriverà dalla precisione con cui è calcolato l’irradiamento della luce nel vuoto della tenebra, con la conseguente valorizzazione degli effetti di qualità luministica che sono generati dal rapporto della luce e dei corpi. Ne deriva, cioè, una prospettiva di luce-lume, il cui inevitabile protagonismo determina tanto una rinnovata attenzione pittorica agli effetti luminosi assunti come singolarità morfologiche da osservare e descrivere, quanto, chiaramente, il concetto di una pittura che raccolga tra i suoi scopi la descrizione di circostanze (ambientali, percettive, emozionali) connotate da una patente marginalità esperienziale.

Si nota come la notte dipinta non preveda una precisa circostanza cronologica: non si tratterà, infatti, di rendere conto dell’immagine celeste, di osservare le stelle o le comete: la

notte è mera tenebra, pura vacuità di percezione. Michelangelo aveva scritto che persino una

lucciola (sonetto 103)260 oppure un vermiciattolo (sonetto 101) poteva farla scomparire

(poteva farle guerra) con un flebile bagliore di lume, data la sua strana impalpabilità261. E

Leonardo non cerca un pretesto iconografico adeguato, anche tra i più bizzarri, per motivarne la ricerca.

Quasi per provocazione, anzi, colloca i suoi personaggi intorno al fuoco e li fa reagire in modi incomprensibili, del tutto ingiustificati dalla storia, come quelle figure “che sono appresso farsi scudo con le mani e con i mantelli a riparo del soverchio calore, e, volte col viso in contraria parte, mostrar di fuggire”: con quanta ironia questi uomini fuggono impauriti da un fuoco, si coprono gli occhi dallo splendore? Quasi Leonardo ci fa assaporare la strana consonanza tra “aspetto” alterato della fisionomia prospettica e l’alterazione emozionale che ne consegue, riflessa da queste figure ammanierate e bislacche, con le loro buffe reazioni alla fiamma. Ma questo prova, in ultimo, che il problema della notte, per

259 C.A. 116a Richter 128.

260 Buonarroti M., Rime, ed. a cura di Ettore Barelli, Fabbri Editori, Milano, 2001, sonetto 101,

Perché Febo non torce e non distende.

Leonardo, non ha una valenza iconica, ma tecnica: il punto è la morfologia pittorica e non la semplice adesione al dato naturale o imitativo della narrazione, e l’analisi stereoscopica degli effetti di luce e di ombra precede la “sceneggiatura” dell’immagine.

Resta ancora vivida la contraddizione innescata da Alberti tra una logica proporzionale e quindi bella, armonica, e la percezione ottica di una instabilità vibrante e quindi, potenzialmente, disarmonica e “fuggitiva”, “soverchia”. In Leonardo si pongono i presupposti principali per poter osservare e discutere questa difficoltosa dialettica, le cui tracce si raccolgono nei suoi appunti manoscritti e nel prodotto editoriale messo insieme dal Melzi, che sarà pubblicato in Francia solo nel 1651 (Parigi, Langlois)262.

Al contempo Leonardo costruisce quella che ci sembra essere la premessa fondamentale per risolvere questo contrasto aprendo a larga parte delle future concezioni sciografiche, tanto espresse da studiosi e trattatisti (da Barbaro a Accolti, attraverso Lomazzo), quanto elaborate pittoricamente e idealizzate dagli scrittori d’arte (da Vasari, per esempio, ma anche da Scannelli). Nelle istruzioni per figurare la notte Leonardo sviluppa infatti un dialogo di colori e di luci entro cui la qualità propriamente scura delle tinte interagisce attivamente con i volumi delle figure, rivendicando una qualità cromatica inedita e mettendo in luce uno dei punti più difficili e interessanti della sua poetica. Le sue figure notturne “appariscano scure nella chiarezza d'esso fuoco”, “sieno mezze scure e mezze rosseggianti”, “e quelle che son più lontane da detto fuoco, più sieno tinte del color nero della notte”263, quasi che

l’ombra avesse assorbito una funzione cromatica decisiva (nel Trattato le ombre sono colorate) insieme ad una altrettanto patente funzione prospettica (si darà infatti una prospettiva delle ombre264) e alla conseguente “spazializzazione” dell’oscurità. Si

comprende qui quanto sia parziale la posizione critica (per esempio Corrain) che tematizza in assoluto la contraddizione tra prospettiva e notte. In fondo, solo una concezione geometrica, solida e misurabile (brunelleschiana), poteva garantire alla luce la possibilità di espandersi negli spazi, avallando di converso l’idea di una spazialità dell’ombra, e quindi della notte. Anzi, rispetto alla tradizione nordica, ottica in quanto descrittiva265, sembra

proprio qui lo snodo che ha favorito alla base la coltura italiana del notturno, laddove fosse maggiormente pensabile la qualità “espansiva”, “di profondità”, prospettica dell’oscuro.

262 Per una storia e un’introduzione aggiornata al Trattato di Leonardo si rimanda all’edizione curata

da Farago C., a cura di., The fabrication of Leonardo da Vinci’s op. cit., 2018, vol.1.

263 Per un panorama generale si veda Bora, G., Fiorio T.; Marani P. C., Shell J., I leonardeschi : l'eredità

di Leonardo in Lombardia, Skira, Milano 1998

264 Il San Giovanni Battista, come si vedrà, è stato collocato cronologicamente tra il 1506 e il 1510,

ma Correggio già stava sperimentando il lume di torcia, guardando in questo caso ai pittori tedeschi, intorno al 1510, nella Giuditta con la testa di Oloferne del Musée des Beaux-Arts de Strasbourgs. Si pensi anche alla pittura nordica, in quegli anni particolarmente incline, sempre su ispirazione goticizzante, a candele e lumi artificiali, come abbiamo scritto. Sul tema correggesco di rimanda a Spagnolo M., Correggio : geografia e storia della fortuna ; (1528 - 1657), Silvana, Cinisello Balsamo 2005 (fig.26)

265 Si nota anche come la posizione di Svetlana Alpers, tesa a intellettualizzare la cultura italiana,

risponda solo in parte alla realtà, dal momento che le istanze intellettuali italiane muovevano, almeno quanto quelle fiamminghe, da presupposti empirici molto saldi, che ne costituivano il tessuto visuale originario. Cfr. Alpers S., The art of describing : Dutch art in the seventeenth century, Chicago 1983.

22. Bernardino Luini, Sacra Famiglia, Bergamo, Accademia Carrara

23. Vincenzo Foppa, San Gerolamo penitente, Bergamo, Accademia Carrara, 1480 circa. 24. Ambrogio Bergognone, Cristo morto con Angeli, Milano, Castello Sforzesco, 1488 ca.

Si deve dire che, a rigore, la notte di Leonardo non è accompagnata da esplicite sperimentazioni pittoriche. Pur non mancando, a margine, pittori interessati ad un precoce sperimentalismo ombroso, tra Ducato di Milano e Repubblica di Venezia, la notte del Vinci non troverà subito importanti riflessi a lume artificiale, a meno che non li si cerchi a Roma (Raffaello), o tra Venezia (Giorgione) e l’Emilia (Correggio) (fig.26). Talvolta persistono infatti residui iconografici e stilistici più antichi anche per artisti fortemente improntati da un gusto di tendenza leonardesca: nella pregevole Natività realizzata da Bernardino Luini e conservata presso l’Accademia Carrara di Bergamo (fig.22), per esempio, uno sfondo

stellato lontanamente tardo-gotico ricorda, con la sua minuzia preziosa, più le volte trapunte di Gentile da Fabriano o di Sassetta, a metà tra una “notte negativa” e una “notte positiva”266, che le profonde abissalità del Vinci. D’altro canto, si colgono accenni tedeschi

a lume polarizzato in Defendente Ferrari (Natività di Palazzo Madama a Torino; predella del polittico di San Gerolamo sempre in Palazzo Mafama), o nell’ispirazione espressionista di Correggio (che guarda a Cranach ed Altdorfer, Giuditta con testa di Oloferne di Strasburgo, 1510) o nell’umidità terrosa di Vincenzo Foppa (il “pre-caravaggesco” San

Gerolamo dell’Accademia Carrara di Bergamo, anni ’80 del secolo XIV, fig.23), espressioni

che lasciano trapelare l’iniziale radicamento di una sensibilità nuova, mentre solo nei decenni successivi i “leonardeschi” attivi a Milano esploreranno, di tale inedita tendenza, alcune peculiarità specifiche, tra i fondi spirituali di Giampietrino (il Portacroce della National Gallery) o quelli ovattati di Marco d’Oggiono (Madonna con Bambino Pinacoteca di Brera) (fig.28). Dipinti, questi, che procedono dalle idee iconografiche di parte delle immagini post-medievali lombardo-venete, focalizzandosi, e non è un caso, soprattutto su tematiche di aspetto religioso che saranno poi il movente principale per la diramazione storica del