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Lux, adumbratio, tenebrae

Proprio lo sviluppo di questa sensibilità sempre più raffinata faceva da sfondo ad altre acquisizioni che sono, rispetto ad essa, decisamente parallele. Dal punto di vista filosofico non si può non cogliere la sempre più vivida presenza dei simboli tellurici e notturni nelle riflessioni cosmologiche. Non solo in Giordano Bruno, che dedicava alle ombre un trattato

Marchetti A., a cura di., La notte : invenzioni e studi sul nero, Edizioni Pendragon, 2004, pp.132-153. Sul tema notturno nella tradizione letteraria si ricordano alcuni testi di sicura importanza: Getto G.,

Interpretazione del Tasso, Ed. Scietifiche Italiane1966 (prima ed. 1951), p.102; Ardissino E., l’aspra tragedia”. Poesia e sacro in Torquato Tasso, Olschki, Firenze 1996, pp.47-48; cfr. Consolo R., Appunti sul motivo notturno nella letteratura cortigiana della Napoli aragonese, in”Giornale storico della Letteratura

italiana”, CLVI, 496, 1979, pp.524-533. Sul notturno virgiliano, imprescindibile per la comprensione della cultura rinascimentale, si veda Lennox P. G., Virgil's Night-Episode Re-Examined

(Aeneid IX, 176-449), in “Hermes”, 105. Bd., H. 3 (1977), pp. 331-342. Osmun G. F., Night Scenes in Aeneid, in “Vergilius”, n.8 (1962), pp. 27-33.

Per questi temi ringrazio il Dott. Matteo Navone, oggi Ricercatore presso l’Università degli Studi di Genova, alla cui tesi di laurea si rimanda, Navone M., “Era la notte” : il motivo notturno nell’opera poetica

di Torquato Tasso, relatore Prof. Alberto Beniscelli, Università degli Studi di Genova, anno

accademico 2004/2005.

610 Si allude al collezionismo di Isabella d’Este che chiedeva a Taddeo Albani “una pittura de una

nocte molto bella et singulare” nell’autunno del 1510, sperando nel suo acquisto a Venezia di quella che era una pensata, evidentemente, come una novità di Giorgione. Albani le rispose che il pittore fece una notte per Taddeo Contarini “non molto perfetta”, e quindi non del tutto terminata; aggiunse poi che Victorio Beacharo possedeva anch’esso una nocte, “de meglior desegno e meglio finita”, ma che nessuna delle due opere era in vendita, fatte entrambe “per volerle godere per loro”. Sul dibattito resta fondamentale Tietze H., Tietze-Conrat E., The Allendale Nativity in the National

Gallery, in “The Art Bulletin” 31 (1949), pp.13-14. che chiariva come a quell’altezza cronologica

Nocte non fosse un vocabolo che valesse per sinonimo di Natività, smentendo la tesi che la nocte fosse una notte di Natale, identificata da alcuni con la Natività Allendale (Pignatti, Zampetti). Il dibattito è ripreso da Nova A., Giorgione’s "Inferno with Aeneas and Anchises" for Taddeo Contarini, in Ciammitti L., Ostrow S., Settis S., a cura di., Dosso’s fate : painting and court culture in Renaissance Italy, Getty Research Institute for the History of Art and the Humanities, Calif., Los Angeles 1998, pp.41-62, pp.50-52.

611 Sull’aspetto, qui sfiorato, di una notte del sogno, si rimanda al libro di Francesco Gandolfo, Il

dolce tempo : Mistica, Ermetismo e Sogno nel Cinquecento, prefazione di Eugenio Battisti, Bulzoni editore,

dedicato alla conoscenza dell’uomo (de Umbris Idearum), ed indicava la Notte come il terzo

Indicibile, dopo l’Orco e l’Abisso, che spalancava le porte della conoscenza, in una visione

che, come notava acutamente Patrizia Castelli, immaginava la Notte come oggetto di contemplazione (“licet contemplanda”) e non solo612. Non solo, si diceva, nella filosofia

ermetica neoplatonica del mistico che chiuse il Rinascimento613. Ma anche nelle aperture

estetiche, altrettanto neoplatoniche, di Tasso o di Patrizi. Così mentre Johannes Kepler poteva parlare del nero appellandolo “tenebra materiata”614, il Patrizi decideva di

stravolgere le concezioni filosofiche aristoteliche rivendicando proprio alle tenebre una qualità attiva ontologicamente riconoscibile e, quindi rilevante anche dal punto di vista estetico. Si può accentare questo aspetto, che sembra molto significativo sotto il profilo generale. Patrizi è il primo che prende le distanze dall’idea aristotelica dell’oscurità come “privazione di luce” per considerare lo specchio negativo del visibile come espresso da enti specifici. L’idea sarà ripresa (praticamente plagiata) da Athanasius Kircher nell’Ars Magna

Lucis et Umbrae che copia i passi di Patrizi alla lettera, condividendo l’idea di una emissione,

da parte dei corpi opaci, di una sorta di tenebra concretamente visibile615.

“Non sunt ergo tenebra, et obscuratio, umbra, umbratioque simplices, lucis et luminis privationes, sed vera sunt entia, qualia dicunt positiva et si pertinacius privationes contendantur esse: non minus harum quoque privationes erunt radij, lumen, splendor ac nitor”616.

Dal punto di vista storico non è una novità vera e propria: l’idea di una notte che abitasse i recessi della terra, ovvero gli spazi opachi, si trovava già in Seneca nelle Quaestiones

Naturales; nelle Epistolae Morales di questo compariva inoltre la nozione di una tenebra visibile.

Come ricorda Edgeworth R. J., l’idea di una luce nera (atro lumine), era presente nel Settimo Libro dell’Eneide; così come lo Zohar ci parlava dell’oscurità come di un fuoco nero, all’interno di una tradizione che conduceva fino al Paradise Lost di John Milton617. A ben

vedere, l’impressione di una emissione delle tenebre dai corpi opachi era già presente

612 Castelli P., Estetica del Rinascimento, op. cit.

613 Si veda il capitolo dedicato al Bruno in Vannini M., Storia della mistica occidentale, Lettere, Firenze

2015.

614 Keplero J., Ad Vitellionem paralipomena, quibus astronomiae pars optica traditur, apud Marnium et

haeredes Aubrii, Francofurti, 1604; il linguaggio di Keplero è di forte suggestione: “Si obiicias tenebras esse privationem, non posse ergo fieri posituum quippiam, et qualitatem activam, radiantem scilicet, et pingentem parietes: obiiciam et ego frigus, quod est mera privatio, et tamen in materiam fit activa qualitas”, p.12. Per questi temi vedere Chen-Morris R., Measuring shadows :

Kepler’s optics of invisibility, The Pennsylvania State University Press, 2016

615 “Nec vero tenebrae, et obscuritas, et umbra, et umbratio, sunt res vere minus constantes, quia

lucis eiusque specierum ac prolium dicantur privationes. Nam si simplices essent privationes, agendi vim, aut actionem haberent nullam Actionem autem in diaphanum habent manifestam. Id enim se ipsis replent, non minus quam lucis proles. Perque ipsum, se se longius propagant; inque brevius se se retrahunt, obscurius et clarius faciunt”. Patrizi F., Francisci Patricii nova de universis philosophia. In qua

aristotelica methodo non per motum, sed per lucem, & lumina, ad primam causam ascenditur, Ferrariae : Apud

Benedictum Mammarellum, Anno 1591, I, Panaugia, Liber IV, p.13.

616 Ibidem.

617 Queste ultime citazioni sono tratte da Edgeworth R. J., Milton's "Darkness Visible" and "Aeneid" 7,

finanche in Leonardo, ed era suggerita poi da Gerolamo Cardano, contestato subito da Scaligero anche su questo punto618. Nelle pagine di Patrizi, però, tale idea coglie una

sfumatura di maggiore rilievo, poiché l’estetica della luce proposta dal filosofo di Cherso è tale da fare corrispondere, neo-platonicamente, il Bene e il Bello con essa. Panaugia, infatti, il tutto-luce, è l’Uno. E nulla può costituirne la negazione619. In questo modo, Patrizi deve

sostenere che la tenebra, per quanto nera, sia comunque una forma della luce e non la sua opposizione: piuttosto il suo grado minimo, un lumen minus, ma comunque una forma del lume, ovvero della luce. In questo modo Patrizi “salva” l’Uno, e veicola intuitivamente l’idea di una sostanziale bellezza della tenebra, della qual cosa possiamo legittimamente trarre conseguenze indirette: di fatto, un’estetica contemplativa dell’oscurità come forma, minimale finché si vuole, della luce stessa. Anche Torquato Tasso, nel Minturno, giunse a fare della luce il fulcro della sua visione estetica: ma, se la luce sarà visibile (e quindi naturale, al fondo falsa), essa sarà “bella” in una scala che dal sole si porta ai lumi fiochi delle selve notturne:

“Non è dunque uno il genere della bellezza, o univoco, come dicono i filosofi e com’estimò il Nifo; ma come lo splendore de le lucciole e de’ funghi putridi, che suol di notte apparire, è diverso dal lume de le stelle o da la luce del sole, così ancor la bellezza de le cose terrene è assai dissomigliante da quella che si contempla ne le forme eterne e divine. E se ciò è vero, quel che per sé è bello non piacerà a’ sensi perché non potranno essi darne giudizio”620.

Se invece sarà invisibile, cioè autentica, si coglierà meglio (e qui c’è il silenzio Ficino) nella tenebra del Sancta Sanctorum, nel silenzio contemplativo, che accomunava mistici, letterati, e pure filosofi, se è vero come scrive il Clovio, che El Greco amava ritirarsi in stanze buie per contemplare la luce interiore621.

Tutto questo non esula, in ultimo, dal problema figurativo, perché mostra come il tardo Cinquecento avesse maturato una concezione dell’oscurità che si era fatta densa di possibilità estetiche positive. In un certo senso, questo costituiva il più radicale punto di arrivo delle estetiche rinascimentali. La svolta era addirittura terminologica, perché Patrizi, e

618 Abbiamo già citato l’Exercitatio LXXI in Scaligero G. C., Exotericarum exercitationum liber XV: De

subtilitate ad Hieronymum Cardanum, 1557,

619 Per il tema estetico in Patrizi da Cherso, studiato anche per quanto riguarda la luce, vedere

Castelli P., Estetica e gusto nell’opera del Patrizi e nella trattatistica d’arte del Cinquecento, in Castelli P., a cura di., Francesco Patrizi: filosofo platonico nel crepuscolo del Rinascimento, Leo S. Olschki editore, Firenze 2002, pp.103-113. Ryan E. E., The Panaugia of Francesco Patrizi : from the Light of experience to the Firs Light, in Castelli P., a cura di., Francesco Patrizi : filosofo platonico nel crepuscolo del Rinascimento, Leo S. Olschki editore, Firenze 2002, pp.181-195. Schiffler L., Idee estetico-poetiche di Francesco Patrizi, in castelli P., a cura di., Francesco Patrizi: filosofo platonico nel crepuscolo del Rinascimento, Leo S. Olschki editore, Firenze 2002, pp.87-102.

620 Tasso T., Dialogo del Minturno.

621 Citato in Di Stefano, Arte e Idea, op. cit., p.56; con rimando a Gizzi C., Federico Zuccari

nell’interludio platonico del Manierismo, in Federico Zuccari e Dante, a cura di Corrado Gizzi, cit., p. 15.;

Riconosciamo l’ispirazione platonica di El Greco, che possedeva proprio l’opera del Patrizi nella sua libreria toledana. Piace ricordare Maestro Echkart, quando nei Sermoni tedeschi insegnava che la

luce, nella sua dimensione più alta, divina, è tanto sottile che l’uomo non potrebbe vederla nemmeno

dopo di lui Kircher, nel momento in cui codificava una sorta di entità per la tenebra, ne definiva anche lo specchio qualitativa, chiarendo finalmente il profluvio di parole che precedentemente, tra Ghiberti, Leonardo, e altri, avevamo trovato confuso:

A corpore e contra opaco proles aliae proveniunt. Ac primo emicant tenebrae, radijs respondentes lucis. A tenebris obscuratio, respondens lumini. Ab obscuratione umbra opposita splendori. Ab umbra, umbratio nitori contraposita ortum habet622.

lux, lumen, splendor, nitor, (adumbratio), umbratio, umbra, obscuritas, tenebrae

L’adumbratio costituisce una sorta di centro diffuso di chiaro e di scuro. Interessante, invece, come si riesca a percepire con più chiarezza la connotazione fluida dell’oscurità (obscuritas), che non corrisponde propriamente alla tenebra (tenebrae) ma, come il lume rispetto alla luce, mantiene una qualità estensiva, quasi spaziale, traducendo una sorta di percepibilità epidermica non estrema. Si avverte questo gusto nuovo per le sfumature di sensibilità, che fa da sfondo alle culture figurative internazionali di quegli anni. Si erano date, quindi, premesse poetiche, letterarie, figurative, tecniche, etc., per avviare una nuova fase della fenomenologia pittorica della notte dipinta.

Si attenda ora alla sua esplorazione orizzontale.

II PARTE

Introduzione alla seconda parte

1. centro e periferia

Nel racconto della fortuna storica della pittura a lume di notte, si avverte una decisa consequenzialità tra la germinante esplorazione di stilemi luministici lungo l’arco del secondo Cinquecento in molti centri dell’Italia settentrionale e il momento della loro feconda diffusione a Roma tra la fine del secolo e i primi decenni del Seicento. Tale duplicità sembra configurarsi in forme piuttosto complesse e frastagliate, ma si possono stabilire due assi principali per tentarne, almeno sommariamente, una lettura storica incrociata.

In primo luogo si noterà come, muovendo da premesse figurative prevalentemente nord- italiane (Leonardo, Pippi, Correggio, Savoldo, Lotto, Tiziano, Tintoretto su tutti), si sviluppino a partire dagli anni ’60 del XVI secolo sperimentalismi in notturna molto marcati, morfologicamente indipendenti gli uni dagli altri, che segnano un momento epocale nella storia che stiamo narrando, tanto rendendo conto di uno scenario multiforme ma coerente di espressioni parallele, quanto iscrivendosi in una più generale temperie estetica, propensa, rispetto alla moda artistica precedente, ad assumere tinte e coloriture oscure a segno della propria modernità. Le strade del “luminismo” pittorico rappresentato dai pittori che fanno capo soprattutto alle scuole di Tiziano e Tintoretto, di Correggio e di Parmigianino, di Pordenone o di Giulio Romano, assecondano in modi variegati e singolari una comune, ancorché proteiforme tendenza ad assumere nella dialettica perseguita di lumi e di ombre, prescindendo da specifiche iconografie, l’elemento comune di larga parte delle elaborazioni formali del maturo Cinquecento.

Luca Cambiaso a Genova, Antonio Campi e Gian Paolo Lomazzo a Milano, Cremona e Lodi, Carlo Urbino tra Crema e Milano, Girolamo Mazzola Bedoli a Parma, Pietro Maria

Bagnadore e Tommaso Bona a Brescia, Giovanni Paolo Cavagna a Bergamo, Jacopo, Francesco e Leandro Bassano tra Venezia e la cittadina natale, e poi, su scorta tintorettiana e tizianesca, Jacopo Palma il Giovane, Alessandro Maganza e bottega a Vicenza, Felice Brusasorzi e Paolo Farinati a Verona, Lorenzo Costa il Giovane e Teodoro Ghisi a Mantova, fino a Ludovico Carracci e bottega a Bologna, Domenico Monio e il Bastianino o poi Scarsellino a Ferrara, ma anche artisti come Pompeo Cesura tra Roma e l’Abruzzo, o il toscaneggiante Santafede a Napoli. Non è del tutto senza significato che Luigi Lanzi avesse riconosciuto l’origine dell’arte “tenebrosa” a Firenze, al chiudersi del Cinquecento, nella pittura di Ludovico Cardi e di Gregorio Pagani, di cui riconosceva tanto l’apertura verso maniere meno artificiali rispetto ai manierismi passati, quanto uan propensione, comune a quel tempo, verso tinte cupe, quasi vedendo in essi lo specchio umbratile di un intero emisfero pittorico e culturale, di quella “setta dei tenebrosi” – dirà – che si sarebbe diffusa per tutto lo stato Veneto e specie in Lombardia623.

Non si tratta ora, è chiaro, di praticare una ricerca repertoriale che renda conto della presenza più o meno diffusa di immagini “finte di notte”, ma di cogliere, piuttosto, i momenti più esposti ad un’inclinazione di stile capace di fare del dialogo della luce e dell’ombra uno degli elementi “parlanti” della ricerca figurativa, accentuandone l’evidenza poetica e, quindi, portando tale dialettica, molto spesso, verso quegli estremi di chiaro e di scuro, di notti atre e di splendori brillanti di cui, lo abbiamo visto, un’intera cultura teorica e pratica aveva preparato i più puntuali presupposti estetici e concettuali. Tra le embrionali proposte pittoriche di fine Quattrocento e l’apogeo tenebroso del primo Seicento, si dà quindi una frastagliata ramificazione di idee visive il cui culmine figurativo appare delineato chiaramente, in termini qualitativi e quantitativi, intorno agli ultimi decenni del Cinquecento in alcune aree dell’Italia settentrionale e, poi, a Roma, al debutto di quella che Choné aveva chiamato “età d’oro della notte”.

I casi espliciti di notturnismo figurativo, almeno in un primo momento, sono evidenti e si concentrano in precise realtà culturali. Tra quelli più emblematici uno è senza dubbio relativo all’opera in piccolo formato di Luca Cambiaso a Genova, elaborata in particolare intorno agli anni ‘70, il quale per la prima volta, anche in relazione ad altre parallele sperimentazioni (Campi, Palma, Carracci), fa dei notturni a lume di candela l’oggetto di una produzione continuativa e organizzata, tanto uniforme da sfiorare la continuità di genere, realizzando dipinti finti di notte abbastanza fortunati da inserirsi fecondamente nelle strade del collezionismo mediterraneo, tra Genova, Napoli Roma e la Spagna.

Di non minore rilievo il caso veneto della bottega dei Bassano, avviata da Jacopo Bassano e proseguita nell’attività di Francesco e di Leandro Bassano, protesa, già con gli anni ’70 e soprattutto con il nono decennio, alla produzione di piccoli oggetti devozionali spesso connotati da lumi di fuoco, e realizzati tanto su pietra quanto su tela, in favore, anch’essi di

623 Lanzi L., Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, opera

un mercato internazionale definito da un importante baricentro nella Spagna degli Asburgo624.

Anche Antonio Campi, su cui torneremo in seguito, pare riflettere una tendenza similare facendo da indirizzo a molta pittura eccentrica cremonese e non tra Cinque e Seicento (Gatti, Malosso, Cattapane, ma anche Costa o Carracci, etc.), ed instaurando su temi diversificati un’impostazione di stile abbastanza radicale negli scuri delle tenebre da diventare, nelle letture storiografiche più fortunate, la premessa forse più feconda, insieme a quella veneziana, per la comprensione storica del tenebrismo seicentesco e caravaggesco. Altre circostanze artistiche, del resto, definiscono come queste un risvolto ramificato e reticolare, fondato su assonanze visuali oltre che culturali: le pietre nere di Verona dopo gli anni ’80 del Cinquecento, per esempio, o i piccoli dipinti devozionali di Jacopo Palma il Giovane a partire dagli anni ’80 del XVI secolo, o i “tenebrismi” carracceschi di un Garbieri o di un Tiarini a Bologna, per non parlare di larga parte della produzione di un Caccia, di un Talpino, di uno Zucco. Forme e tipologie, si è detto, molto diverse, proteiformi, che aprono panorami vasti e complessi, ma che si inseriscono all’interno di coordinate figurative di ampio respiro, costruite nel tempo e gradualmente, come ultimo residuo (lo vedrà bene Scannelli) di una tradizione avviata fin dagli inizi del secolo. Questi notturnismi di fine Cinquecento rappresentano, in un certo senso, l’apice di una dimensione estetica coltivata ai margini di un più evidente purismo classico, un “anti- rinascimento” tenebroso la cui fioritura autunnale nell’ambito dell’umanesimo al crepuscolo di Montaigne, di Tasso, o di Patrizi, attendeva ad esprimersi nei diversi spazi e ambiti del sapere pratico e poetico.

Se tali esperienze sparse “di periferia” si addenseranno soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60 (Cambiaso, Campi, Mazzola Bedoli), esse diventeranno in un secondo tempo “esperienze di centro” tra gli anni ’80 del Cinquecento e i primissimi anni del Seicento, quando verrà sviluppandosi anche a Roma, lentamente e per mezzo di committenze mirate e sofisticati sapori collezionistici, un gusto per la pittura chiaroscurata e tonale settentrionale che, prima con l’apprezzamento dell’opera correggesca poi con la crescente penetrazione di forme pittoriche veneziane (a partire con le piccole opere bassanesche), apriva la soglia di una sensibilità rinnovata sopra e al di là della prestigiosa ma affaticata cultura di maniera625. L’intensificazione romana di attenzioni inedite per la pittura di forti

contrasti luministici anticipava di almeno due decenni, quindi, la svolta del Merisi, che si inserisce fecondamente (e con la sua imponente carica eversiva) entro questo temperato processo trasformativo, il quale avrà come protagonisti tanto i toscani riformati (prima il Naldini626, negli anni ’80, poi tra XVI e XVII secolo Pomarancio, Vanni, Passignano e

624 Molto utile per una panoramica collezionistica con catalogo repertoriale il libro di Ruiz Manero

J. M., Los Bassano en España, Fundación Universitaria Española, Seminario de Arte e Iconografia, Madrid 2011.

625 Sulla fortuna dell’opera di Correggio nella Roma della tarda maniera si rimanda allo studio di

Spagnolo M., Correggio : geografia e storia della fortuna ; (1528 - 1657), Cinisello Balsamo, Silvana 2005. Per la fortuna dei Bassano si rimanda al terzo paragrafo del capitolo VI di questo studio.

626 Zuccari A., I toscani a Roma : committenza e "riforma" pittorica da Gregorio XIII a Clemente VIII, in

Ciarpi, etc.) quanto i veneti (a partire con le precoci committenze a Francesco Bassano per il Gesù e per San Luigi dei Francesi), oltre ai fiamminghi e ai tedeschi di varia provenienza (da Gherardo ad Elsheimer a Lastman).

Nel cosmopolitismo “globale” di questa Roma internazionale, sarà soprattutto la maestosa evoluzione del grande collezionismo aristocratico a rimettere al centro la possibilità di una coesistenza in spazi unitari, visivamente connotati come “atipiche incrostazioni musive”, (Donatella Sparti) di oggetti figurativi appartenenti a tradizioni di periferia.

Che nel collezionismo romano si desse - lo sottolinea Spezzaferro - una precisa coscienza della storicità (quasi post-vasariana) dei linguaggi figurativi, talvolta resa visibile all’interno della collezione e che cogliesse di conseguenza indirettamente anche i termini di un’evoluzione di “genere”, è un elemento di grande interesse627. Nella fattispecie del nostro

lavoro, non si può non considerare, infatti, quanta parte avrebbero avuto situazioni collezionistiche come quelle romane del primo Seicento peril consolidarsi di un gusto per il dipinto a lume notturno, ormai particolarmente visibile e pensabile, in virtù di una già