• Non ci sono risultati.

I fondi de’ più scuri

Al contempo, però, tale miscellanea di elementi e di concezioni diverse, che vanno dall’ombra simbolica all’ombra dipinta, dall’oscurità degli spazi alla luce della biacca, dalle concezioni estetiche alle prime disarmonie poetiche notturne, acquista, nel pensiero vasariano, una profondità del tutto inedita per mezzo della più raffinata e profonda concezione della storia che nutre il suo pensiero. La moderna concezione storica che Vasari poteva dedurre dal suo contesto sociale, lo portava a pensare storicamente, ed era un novum, la specificità delle maniere e dei linguaggi figurativi, abbastanza da cogliere dei diversi elementi costituenti le arti origini e “fortuna critica” nel tempo secondo una visione “progressiva” e lineare425. In questo modo, si sostiene, quella tipicità (l’oscurità) non poteva

che essere guardata come termine di un processo vivo, e quindi singolarizzata come tema specifico dell’arte426. Si crede che la significazione dell’oscurità (e poi della notte) si raccolga

in questa fase soprattutto in virtù di tale premessa teorica.

collocati dalla parte delle finestre, come a sfruttare l’abbagliamento della luce per intensificare l’effetto dell’ombra nell’immagine. Così accade a Palazzo Te, ma anche presso Palazzo della Meridiana a Genova, con le Storie di Polifemo per mano di Luca Cambiaso.

424 È interessante notare come un autore del maturo Seicento come il teatino Matteo Zaccolini,

formatosi sullo studio di Leonardo, ripetesse ancora, per linee essenziali, quella che era l’opinione di Vasari e della corrente ideale classicistica. Come si legge nel Laurentan Ashburnam MS 1212, ff.64b-65, studiato da Janis Bell, a proposito della notte si legge che “...senza il temperamento del lume reflesso il detto spatio ombroso non sarebbe ombra ma si dimostrarebbe di dense tenebre, come di notte tempo, il che non essendo buona imitatione, farebbe maniera cruda, tagliente, et inutile alla vaghezza dello sguardo, essendo questa quella parte, che deve dal Pittore esser abborrita”. Bell J., Some Seventeenth-Century Appraisals of Caravaggio's Coloring, in “Artibus et Historiae”, Vol. 14, No. 27 (1993), pp. 103-129, p.127. Sulla fenomenologia artistica dell’ombra sul primo Seicento si può guardare Tordella P. G., Geometria dell’ombra e tempo poetico. Sui disegni del Guercino, in “Rivista d'arte: periodico internazionale di storia dell'arte medievale e moderna”, 2011, pp.131-153.

425 Blum G., Provvidenza e progresso : la teologia della storia nelle "Vite" vasariane ; con alcune considerazioni su

periodizzazione e paginatura nella Torrentiniana in Burzer K., Davis C., Feser S., Nova A., a cura di., Le Vite di Vasari : genesi, topoi, ricezione : atti del convegno, 13 - 17 febbraio 2008, Firenze,

Kunsthistorisches Institut, Max-Planck-Institut, Marsilio, Venezia 2010, pp.131-152.

426 Su questi temi si può vedere AA.VV., Il Vasari, storiografo e artista : atti del Congresso internazionale

Nova è recentemente tornato sull’argomento “storico” per sottolineare quale fosse la novità di un approccio storicistico come quello che si sviluppa, in generale, nell’entourage cui Giorgio appartiene427. È una questione che tocca solo in parte l’ipotesi della molteplicità

degli autori delle Vite, tendenza critica emersa negli ultimi anni428, ma che, come sottolinea

bene l’autore, porta a considerare il raggio di influenza culturale generale in cui si inserisce “il primo libro di storia dell’arte” della cultura occidentale. Allora “Vasari” sarà, come dire, il nome dietro cui si celano non tanto personalità diverse, ma intuizioni, ricerche ed aspirazioni di una cerchia intellettuale precisa e aggiornata429. Dopo gli studi di Frey, un più preciso spaccato di vita letteraria

e culturale ha messo del resto in evidenza come la vicinanza di Vasari a personalità come Borghini, Giambullari o Lenzoni o Bartoli avesse potuto avere conseguenze precise proprio in questa direzione di riscoperta della valenza storica del linguaggio e quindi, analogicamente, delle arti430. Nell’ottica di questi autori, le ricerche sull’origine del toscano e della lingua avevano una specifica vocazione civile, perché ammantava la corte medicea di un rinnovato prestigio intellettuale secondo una tendenza rivolta a “toscanizzare” la storia, a fare del toscano, come voleva Bembo, la lingua dell’Italia. È stato notato come la pubblicazione delle Vite in questo contesto fosse il parallelo artistico di un più preciso e diretto fine, perseguito dall’Accademia e riflesso di una determinata politica culturale, dal respiro ampio, ulteriormente spalancato dalla connotazione universalistica della seconda edizione431.

Analogicamente l’opera di Vasari può essere posta a riflesso di questa prospettiva culturale globale. Come sottolineava Frangenberg

“Vasari's text, in tracing the development of art from Cimabue and Giotto to the unsurpassed heights of Michelangelo's achievements, was suited to document or perpetuate the notion of Florentine cultural superiority no less effectively than the Florentine Academy's studies of Dante, Petrarch and Boccaccio. In light of this considerable propagandistic scope, Vasari's monumental collection of artists' lives must have seemed deficient in literary terms”432.

427 Nova A., “Vasari” versus Vasari :: la duplice attualità delle “Vite”, in “Mitteilungen des

Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, 55. Bd., H. 1 (2013), pp. 54-71. Sul tema in generale si può vedere Cochrane, Historians and Historiography in the Italian Renaissance, Chicago-Londra, 1981.

428 Dai lavori filologici di Kallab W., Vasaristudien, a cura di J. Von Schlosser, Vienna e Leizpig,

1908, pp.147-148, 270, pp.444-47, fino a proposte recenti, tra cui spiccano gli studi di Frangenberg T., Bartoli, Giambullari and the prefaces to Vasari’s lives (1550), in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, Vol. 65 (2002), pp. 244-258. In particolare sul tema si veda Hope C., Le Vite

vasariane: un esempio di autore multiplo in Santoni A., a cura di., L’autore multiplo, Pisa 2005.

429 Sul tema della società in cui Vasari si inserisce vedere Cecchi, in Giorgio Vasari. Principi, letterati e

artisti nelle carte di Giorgio Vasari. Pittura vasariana dal 1532 al 1554, cat. mostra, Arezzo, 26

settembre-29 novembre 1981 , Firenze 1981

430 Fiore F. P., Lamberini D., Cosimo Bartoli (1503 - 1572) : atti del convegno internazionale :

Mantova, 18-19 novembre-Firenze, 20 novembre 2009, Olschki, Firenze 2011

431 Burioni M., Rinascita dell’arte o rinascita dell’antichità? : storia, antropologia e critica d’arte nelle "Vite" del

Vasari, in Burzer K., Davis C., Feser S., Nova A., a cura di., Le Vite di Vasari : genesi, topoi, ricezione :

atti del convegno, 13 - 17 febbraio 2008, Firenze, Kunsthistorisches Institut, Max-Planck-Institut, Marsilio, Venezia 2010, pp.153-160. Wazbinski Z., L'idée de l'histoire dans la premiere et la seconde edition

des Vies de Vasari, in II Vasari storiografo e artista (Atti del Congresso Internazionale nel IV Centenario

della Morte), Arezzo-Florence, 1974, 1-26.

La messa a fuoco dell’oscurità in pittura è anche il frutto di questo processo “archeologico” sulla storia dell’arte, che spingeva Vasari a leggere il peso delle diverse novità pratiche degli artefici italiani per inserirle in un racconto crescente. Un elemento analogo è stato notato dal Nova a proposito della storia dei generi e del ritratto nelle Vite, come volendo esplicitare in che modo si dessero, nel panorama frastagliato dell’opera dell’aretino, intuizioni sparse che compongono con i loro rimandi interni, costruzioni temporali precise433. Questo aspetto è soprattutto vero nella seconda edizione delle Vite, la cui

strutturale e universale intenzione storica, la sua “visione globale” (dedotta da Borghini), non poteva che favorire anche l’interna più matura coscienza della tipicità di elementi stilistici precisi. Forse anche questo motivo giustifica meglio il fatto che la storia dell’ombra sia stata guardata con maggiore chiarezza e profondità in questa seconda edizione434.

L’episodio di Albertinelli, allora, si collocherà tra quelli che aprono la terza maniera del dipingere proprio in quanto erede storico di un’evoluzione seguibile e apprezzabile in tutte le sue difficoltà. Ecco la linea storica: l’oscurità era stata introdotta da Leonardo nonostante alcune sottili anticipazioni medievali, sarebbe stata compresa da Giorgione, e a Firenze avrebbe attecchito fin da subito in Fra Bartolomeo e, appunto in Mariotto, fino a cristallizzarsi alla stregua di una maniera oscura nel corso del secondo Cinquecento. La nozione di maniera oscura, per la precisione, è utilizzata una sola volta a proposito di Perin del Vaga e della sua Natività Baciadonne per Santa Maria della Consolazione, un dipinto che appare propriamente determinato da un gusto soffuso, plasmato di veli e di oscurezze che non tendono, però, alla tenebra notturna interpretando, piuttosto, la penombra di Leonardo in una chiave nebulosa piuttosto che drammaticamente tenebrosa435. Prima

ancora di averne una diffusione in altri artisti moderni, si comprende come l’episodio dell’Annunziata di San Zenobi diventi emblematico in uno scenario molto più vasto e complesso, che introduceva il motivo pittorico dell’ombra tra le ragioni specifiche di un’estetica aggiornata. Lo studio della fenomenologia dell’oscurità nell’arte, allora, solo in parte sfiora ed interseca il problema più polarizzato e meno vasto della notte. Apre però importanti spiragli di riflessione, che proveremo a seguire brevemente.

Nel momento in cui, da un punto di vista teorico, Vasari individua il momento originario di tale processo descrivendo la nascita dell’oscurità nella Vita di Leonardo, la notte si impone anche qui come ultimo estremo dell’oscurità, che pare però sedimentarsi concettualmente prescindendo del tutto da essa.

“È cosa mirabile che quello ingegno, che avendo desiderio di dare sommo rilievo alle cose che egli faceva, andava tanto con l’ombre scure a trovare i fondi de’ più scuri, che cercava neri che ombrassino e fussino più scuri degl’altri neri, per fare che ‘l chiaro, mediante quegli, fussi più lucido;

433 Nova A., Vasari e il ritratto, op. cit.; Nova A., “Vasari versus Vasari : la duplice attualità delle “Vite”,

in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 55. Bd., H. 1 (2013), pp. 54-71.

434 Cfr. Nova A., “Vasari” versus Vasari : la duplice attualità delle “Vite”, in “Mitteilungen des

Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, 55, 2013, pp. 54-71 che riprende anche il dibattito sull’autorialità delle Vite valorizzando l’idea

435 Vasari G., Vita di Perin del Vaga, 1568, Libro II, p.363. Su questo tema si veda il saggio di Wolk

L., The "Pala Baciadonne" by Perino del Vaga, in “Studies in the History of Art”, Vol. 18 (1985), pp. 29- 57.

et infine riusciva questo modo tanto tinto che, non vi rimanendo chiaro, avevon più forma di cose fatte per contrafare una notte che una finezza del lume del dì: ma tutto era per cercare di dare maggiore rilievo, di trovar il fine e la perfezzione de l’arte”436.

Si nota come, in questa descrizione, maniera oscura e notturno vengano a coincidere e a compenetrarsi, nella stessa maniera in cui, per esempio, vediamo un notturno spalancarsi alle spalle di San Giacomo Maggiore nel dipinto di Andrea Previtali della Palatina, dove il rilievo dato dalle tenebre permette lo sconfinamento dello spazio in funzione narrativa, persino immaginativa (anticipando il Fra Gregorio Belo di Lotto) (fig.45). Al di là di questa non scontata convergenza, Roland Le Mollé riconosceva quanto il barlume tenebroso diventasse sintagmatico di un determinato approccio visivo solo con l’avviarsi del XVI secolo, a seguito di “un oscuramento generale della pittura” dove “l’ombra invade i quadri; la luce non è più questa fonte radiosa che illumina generosamente le opere di Botticelli, Ghirlandaio, Fra Angelico, Signorelli, Filippino Lippi; diventa barlume nelle tenebre, chiarore incerto presso Leonardo da Vinci, certo, ma anche in Perin del Vaga, Bronzino, Allori, Beccafumi, Sogliani, Andrea del Sarto e persino in alcune tele di Vasari stesso”437.

45. Andrea Previtali, San Giacomo Maggiore che indica l’Arresto di Cristo, Galleria Palatina, Firenze, 1526 ca.

Seguendo le Vite vasariane, però, tale “shadow turn” può essere guardata nel suo status originario almeno fin dall’arte di Giotto, prendendo in considerazione – lo abbiamo detto – la sintesi di colorismo e luminismo che sta alla base dell’immagine dell’oscurità.

436 Vasari G., Vita di Leonardo da Vinci, 1568, Libro II, p.5.

437 Le Mollé R., Significato di luce e di lume nelle Vite del Vasari, in Barocchi P., a cura di., Il Vasari,

Perciò Giotto anticipò Leonardo perché “scoperse in parte qualcosa dello sfuggire e scortare delle figure”438, e sebbene l’aretino non si soffermi sulla sua comprensione delle

ombre, annota come “ridusse a una morbidezza la sua maniera, che prima era ruvida e scabrosa”439, mentre saranno soprattutto i suoi allievi a svilupparne le molte conseguenze

visuali.

Taddeo Gaddi scoprì un colorito “più fresco e più vivace che quel di Giotto”, ma ne seppe comprendere anche, senza portarla a termine, la propensione luministica, come si vede nella Resurrezione di Cristo in Santa Croce: “dove pare che e’ volesse tentare che lo splendore del Corpo glorificato facesse lume, che apparisce ancora in una città et in alcuni scogli di monti; ma non seguitò di farlo nelle figure e nel resto, dubitandosi forse di non lo potere condurre per la difficultà che e’ vi conosceva”440.

Lo splendore, termine con cui si indica la sorgente iconica della luce, in tutta la sua astrazione medievale, è chiamato a diffondersi in quanto lume nello spazio dell’immagine (qui auspicabilmente notturno), a farsi paesaggio e veduta di città, ma la “difficoltà” di un tale progetto costringe, anche qui, alla resa.

È un primo atteggiamento di riscoperta del tema della dialettica tra lume e spazio che si infrange contro la difficoltà che solo il moderno progressivamente aveva saputo vincere, e il lume, non solo il rilievo, già sembrava porsi come quel limite che la pittura sfiorava, come un confine di realtà ancora lontana, ma con Taddeo già pienamente comprensibile, se non nella pratica almeno nella teoria441.

In altre forme Stefano Fiorentino aveva immaginato di poter dipingere le trasparenze delle vesti nella Trasfigurazione del chiostro di Santo Spirito a Firenze dove “lavorò di sua mano, ... la Trasfigurazione di Cristo con Mosè et Elia e i tre Discepoli: dove Stefano imaginandosi lo splendore che abbagliò quegli, figurandogli in straordinarie attitudini cercò avviluppargli di panni, e nuove pieghe facendo tentava ricercare sotto lo ignudo della figura”442. Aggiungendo nell’edizione del 1568 che tale aspetto “non era stato considerato

neanche da Giotto stesso”443, Vasari si accorgeva di come il trapasso graduale fatto di veli

sottili di lume costituisse quindi una tappa ulteriore verso più sottili e sofisticate immagini di lumi e di corpi.

Una svolta più reale si coglie nell’edizione del 1568 quando Vasari aggiunge una breve frase alla Vita di Spinello Aretino, in cui sottolinea il suo uso inedito dei lumi e delle ombre per dare rilievo ai corpi: “anzi usò Parri i colori sodi nel far le mestiche e le tinte, mettendogli con molta discrezione dove gli parea che meglio stessono, cioè i chiari nel più alto luogo, i mezzani nelle bande, e nella fine de’ contorni gli scuri.”444.

Ma è soprattutto nella Vita di Giottino che Vasari interpreta la svolta virtuosa della concezione dell’oscurità mettendola in rapporto alla dinamica tecnica che abbiamo prima

438 Vasari G., Vite, Proemio della seconda parte, 1550, p.229. 439 Ibidem.

440 Vasari G., Vita di Taddeo, in Vite 1550, p.183.

441 Per uno studio sulla luce nell’arte medievale si rimanda a Hills P., The Light of Early Renaissance

Painting, New Heaven, London, 1987.

442 Vasari G., Vita di Stefano pittor fiorentino, in Vite 1550, I. p.150 443 Vasari G., Vita di Stefano pittor fiorentino, in Vite 1568, I. p.148. 444 Vasari G., Vita di Spinello Aretino, in Vite, 1568, I.290.

osservato. Così se la morbidezza e lo sfuggire furono sentiti da Giotto, se Taddeo tentò di fare sì che lo splendore illuminasse il “paesaggio” e Stefano inventò l’idea del corpo visibile sotto i panni trasparenti, pensando quasi un lume di velame sottile ed epidermico, a Giottino (che nelle attribuzioni di Santa Croce, però, è in realtà Maso di Banco), toccò per la prima volta l’oscurità e la stranezza. Già nell’edizione del 1550 si legge che “chi usa di porre in opera cose oscure et inusitate, et in quelle mostrando la difficultà del fare, nelle ombre del colore fa conoscere la chiarezza dell’ingegno; e chi lavora le dolci e le dilicate, e pensando quelle rendersi più facili agli occhi nella dilettazione, fa il medesimo e tira agevolissimamente a sé gli animi della maggior parte degli uomini”445. Non è indifferente che Vasari stesse parlando

di un confronto tra maestri, come consolidando la portata sfidante della cosa446. L’edizione

del 1568 aggiunge un dettaglio molto fine: “altri poi dipingendo unitamente e con abagliare i colori, ribattendo a’ suoi luoghi i lumi e l’ombre delle figure, meritano grandissima lode e mostrano con bella destrezza d’animo i discorsi dell’intelletto, come con dolce maniera mostrò sempre nell’opere sue Tommaso...”447. I colori abagliati, come abbiamo già visto,

hanno un ché di appannato, nebuloso, unito e sfumato. E il chiaro e l’oscuro, qui, ben lungi dal rappresentare i meri analogici della luce e dell’ombra, sono anche categorie precise, che Vasari mutua dai testi scritti dai suoi amici accademici e che applica ampiamente anche in altri passi448. Si può anche considerare come il vivaio letterario delle Accademie fiorentine

avesse favorito l’enucleazione di categorie retoriche e letterarie, non separabili, peraltro, dalla riscoperta di Dante, che coglievano assai bene il problema linguistico dell’oscurità. Il parlare oscuro sarà anzi già considerato da Carlo Lenzoni, non senza sfumature indirette legate alla gravità dell’enunciato e alla meraviglia (e quindi con dirette convergenze con il tema – appunto iconografico – della Notte e delle sue tenebre), come uno dei punti più intensi del recupero letterario di Dante per essere indagato direttamente nello studio di Pietro Vettori su Demetrio Falereo, che associava l’allegoria all’oscurità dando ad essa peculiare rilevanza espressiva449. Questi spunti brevissimi, su cui in parte torneremo nei prossimi capitoli,

fanno intendere meglio con quale coscienza una terminologia dello sfumato e dell’“abbagliamento” potesse connettersi con uno sguardo stereoscopico sui diversi fronti

445 Vasari G., Vita di Giottino, in Vite, 1550, pp.187-188.

446 “Quando l’arte della pittura è presa in gara et esercitata dagli èmoli con grandissimo studio e

quando gli artefici lavorano a concorrenza, senza dubbio truovano ogni giorno gli ingegni buoni nuove vie e nuove maniere per satisfare a’ gusti et alle volontà di chi gli vede gareggiare nella arte”. Vasari G., Vita di Giottino, Vite, 1550, pp.187-188.

447 Vasari G., Vita di Giottino, in Vite, 1568, vol.I, p.189.

448 Per queste si può prendere a riferimento, per esempio, lo scritto della Lingua fiorentina, di Carlo

Lenzoni. Cfr. Davis M. D., Carlo Lenzoni’s "In difesa della lingua fiorentina, e di Dante" and the literary and

artistic world of Cosimo Bartoli and the Accademia Fiorentina, in Fiore F. P., Lamberini D., Cosimo Bartoli (1503 - 1572) : atti del convegno internazionale : Mantova, 18-19 novembre-Firenze, 20 novembre

2009, Olschki, Firenze 2011, pp.261-282. Lenzoni C., In difesa della lingua fiorentina et di Dante, con le

regole da far bella et numerosa la prosa, in Firenze 1556; a p.51 per esempio Lenzoni applica una

differenza tra il parlare chiaro e “proprio” di Aristotele e la scelta di parole inusitate, “fuori dell’uso comune” (non oscure, in quel caso) per generare ammirazione. Le categorie del chiaro e dello scuro compaiono più precisamente delineate a p.177.

449 Vettori P., Petri Victorij Commentarij in librum Demetrii Phalerei de elocutione positis ante singulas

declarationes Græcis vocibus auctoris: ijsdemque ad verbum Latine expressis. Additus est rerum et verborum

dell’umanesimo coevo, facendo dell’arte figurativa un prolungamento di quella parlata, ma aprendo soprattutto ad un’osmosi caratterizzante tra la funzione emozionale della parola e quella della prassi figurativa450.

Così se è vero che gli impliciti criteri vasariani “si definiscono per rimandi interni, applicazioni locali, richiami a distanza e formano una struttura coerente, che però deve essere pazientemente ricomposta con un esame attento del testo”451, il vertice di queste

anticipazioni premoderne, quasi un seme che attendeva di germogliare, si trova esplicitata nell’ekphrasis del Sogno di Costantino di Piero della Francesca ad Arezzo, che Vasari interpreta soprattutto facendo attenzione al tema dell’oscurità. Qui per la prima volta, nel suo scritto, oscurità e notte coincidono, e, soprattutto, alla prima e alla seconda viene affidato il compito di anticipare la resa moderna della figurazione e quindi aprire, di fatto, al suo rinnovamento:

“sopra ogn’altra considerazione e di ingegno e di arte è lo avere dipinto la notte et uno Angelo in iscorto, che venendo a capo a lo ingiù a portare il segno della vittoria a Gostantino che dorme in un padiglione guardato da un cameriere e da alcuni armati oscurati dalle tenebre della notte, con la