• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2: LA VIOLENZA DI GENERE: UN QUADRO GENERALE

2.11 Violenza: soggetti istituzionali e non

Le donne che subiscono violenza si trovano a dover chiedere aiuto rivolgendosi ai soggetti istituzionali e non.

Affrontare il tema della violenza alle donne dal punto di vista del ruolo delle istituzioni rappresenta in sé una novità storica, il risultato di una rivolu- zione epistemologica, e cioè una rivoluzione nel nostro modo di guardare il mondo e di conoscerlo. Studiare il ruolo, concreto e simbolico delle istituzioni divenne centrale nell’analisi della violenza.140

La scelta dell’istituzione è a discrezione della vittima. Si può, quindi, dedurre il ruolo fondamentale che esse svolgono.

Analizzare le pratiche e le rappresentazioni delle istituzioni riguardo la violenza è cruciale: da una parte per mettere in luce i fattori culturali che le sottendono, fattori che condizionano la percezione quantitativa del fenomeno, la disponibilità ad intervenire e l’attuazione di interventi efficaci e risolutivi;

140 P. Romito, op. cit., pp.9-11

89

dall’altra per capire l’esperienza delle vittime, fortemente influenzata dal con- testo sociale e istituzionale.141

Vediamo in sintesi quali sono e quali funzioni svolgono.

2.11.1 Centri antiviolenza

Le case rifugio e i centri antiviolenza142 rappresentano un osservatorio pri- vilegiato sul problema della violenza contro le donne che da sempre ha messo al primo posto il punto di vista, i vissuti e le percezioni delle donne e che, a partire da questo, ha elaborato strumenti e strategie di intervento.143

I centri antiviolenza sono luoghi di allestimento delle risorse. Svol- gono un ruolo centrale nella prevenzione, promozione di una cultura libera da stereotipi e dalla violenza basata sul genere. I servizi offerti sono: ascolto telefonico, consulenze con operatrici esperte nella valutazione del rischio, consulenze legali, ospitalità in case rifugio, supporto ai bambini vittime di violenza assistita.

Quindi, hanno accolto e accolgono donne violate, cercano di aiutare le donne a rimettere insieme i pezzi di vita lacerati, favoriscono occasioni di ripensamento di un mondo che rischia di perdere ogni orizzonte di senso.144

2.11.2 Forze dell’ordine

Le forze dell’ordine hanno un ruolo centrale nella risposta alle vittime: possono intervenire in emergenza giungendo in casa, oppure possono rice- vere la donna nella propria sede.

Rappresentano l’unica autorità pubblica facilmente accessibile in caso di emergenza. Si tratta di un’istituzione in cui le donne si rivolgono frequentemente. Ma allo stesso modo riconoscono di non poter fare molto, di non poter risolvere la situazione e di non poter fornire un aiuto imme- diato alla donna.145

141 Ivi, p.169

142 Ad oggi sono presenti oltre 150 Centri Antiviolenza sul territorio nazionale. Essi assolvono a mol- teplici funzioni, mantenendosi sempre soggetti politici attivi di sfida contro il potere maschile domi- nante all’interno della società. ( M. Monzani, A. Giacometti, op. cit., p.51)

143 P. Romito, op. cit., p.67 144 G. Lusuardi, op. cit., p.58 145 P. Romito, op. cit., pp.169-173

90

Il compito fondamentale è garantire la sicurezza e attivare tutti i passaggi necessari a dar seguito all’azione penale di chi ha commesso un reato e tutelare le vittime. Hanno l’obbligo di procedere all’arresto in fla- granza e accompagnare le donne che hanno bisogno di strutture di acco- glienza.

I poliziotti tendono a considerare la violenza familiare un “fatto pri- vato” e sono riluttanti ad intervenire in situazioni che considerano “affari di famiglia”. Viene così sottoscritta l’idea di famiglia patriarcale in cui la violenza del marito è considerata lecita e, in nome dell’unità e conserva- zione della famiglia, si preferisce non intervenire per interrompere la vio- lenza e sanzionare l’aggressore. Molto spesso, i poliziotti, descrivono i loro interventi come “interventi da psicologi” basati sulla mediazione fami- liare146 e su strategie psicologiche in cui l’intervento viene attuato in modo sistemico: gli agenti tranquillizzano i coniugi, ascoltano, fanno sfogare e parlare entrambe le parti, e poi riappacificano; espongono le procedure le- gali, quali la facoltà della donna di presentare querela entro 90 giorni dall’accaduto.147

Un caso particolare è il “fenomeno degli ex”: di fronte a continue richieste di aiuto, per reiterare aggressioni, minacce e persecuzioni da parte di ex partner, i poliziotti rispondono di “non poter fare nulla” e “di sperare che la persona si stufi.” Ai poliziotti è stato assegnato di mantenere una posizione superpartes necessaria per l’obiettività e la globalità della cono- scenza del caso.148

146 È una pratica all’intersezione del campo giuridico, psicologico e del lavoro sociale. Si tratta di una pratica basata su un postulato molto semplice: è meglio evitare che un conflitto si aggravi o che si estenda, perciò è necessario che una terza persona, il mediatore, possa aiutare le parti coinvolte a tro- vare una soluzione. Ma in pratica le cose sono un po' più complicate, soprattutto se si tenta di appli- care questo postulato “generoso” a situazioni di violenza e per la sicurezza delle donne. “Il mediatore familiare e penale ha una formazione relativa all’individuazione della violenza…la prudenza è d’ob- bligo nello svelare la violenza poiché la vittima può essere in pericolo nel periodo che segue la media- zione.” Ivette Alain afferma che “anche se ha dimostrato la sua efficacia, la mediazione, può essere controindicata in certi casi, particolarmente dove c’è violenza coniugale. Marianne Lassner, invece, afferma che “il ricorso alla mediazione può permettere eventualmente di ritrovare un dialogo tra i ge- nitori a proposito di “una modalità diversa dalla dominazione attraverso la violenza.” Il ricorso alla mediazione è spesso un mezzo, perlomeno, di fare, di prendere coscienza a queste madri, spesso in buona fede e convinte di proteggere i figli da un padre che non corrisponde o non corrisponde più a quello che avrebbero voluto che fosse. (G. Cresson, Mediazione Familiare e violenza domestica, in

Violenze alle donne e risposte delle istituzioni, a cura di P. Romito, Milano, Franco Angeli, 2007,

pp.127-128)

147 P. Romito, op. cit., pp.170-173 148 Ivi, p.174

91

Essenziale è, anche, verificare sempre la condizione dei bambini, se presenti, perché vittime di violenza assistita.

2.11.3 Presidi sanitari, personale medico o infermieristico

Le vittime di violenza entrano in contatto con i presidi sanitari ma non dichia- rano espressamente la propria condizione per vari motivi: per paura o il non aver riconosciuto che si sta vivendo una violenza.

Sarebbe, quindi, necessario che i professionisti della sanità imparassero a identificare certi indizi di violenza. Ma, da un lato, non sono preparati a suf- ficienza e, d’altro canto, spesso temono di offendere le pazienti, ponendo do- mande troppo dirette. Solo i medici sensibilizzati a questo tipo di problemi sanno fare una diagnosi.149

Il personale medico e infermieristico può diventare il primo nodo di connessione con la rete di aiuto. La violenza è un problema di salute pubblica di assoluta pertinenza sanitaria e diagnosticarne gli effetti, per offrire una ri- sposta competente, è un obiettivo essenziale.

Tre sono i compiti fondamentali: 1. Prestare le cure sanitarie;

2. Certificare le conseguenze di un abuso;

3. Connettere la donna con altri nodi e cooperare con altri profes- sionisti per un’efficace assistenza.

Si tratta di un concreto problema di salute pubblica e i professionisti della sanità hanno un ruolo fondamentale nelle cure e nell’aiuto alle vittime, ma anche nella prevenzione della violenza sulle donne.

2.11.4 Servizio sociale e assistente sociale

Questo tipo di servizio lo tratteremo più avanti nello specifico ma bisogna pre- mettere che il servizio sociale è un luogo chiave per attivare connessioni utili con altri servizi e istituzioni per promuovere l’integrità degli interventi.

149 M. F. Hirigoyen, op. cit., p.210

92

Le assistenti sociali sono tenute a mettere in atto, nel breve tempo pos- sibile, gli interventi necessari per tutelare un minore in caso di rischio o pre- giudizio.

Devono quindi poter contare su un’approfondita formazione in merito alle di- namiche della violenza di genere in famiglia.

A grandi linee è importante sottolineare in questo contesto che l’affian- camento alla donna deve essere visto come un’azione di tutela e non come una sorta di intrusione e giudizio nei suoi confronti. La donna può riconoscere nel ruolo dell’assistente sociale un importante sostegno.

2.11.5 Tribunali e consulenze legali

I procedimenti legali possono essere estremamente faticosi per la donna. Il rischio di vittimizzazione secondaria è molto alto: ad esempio: • Tempi lunghi dei procedimenti;

• Il contatto con un luogo cui le donne associano vissuti di giudizio e vergogna;

• Difficoltà nel comprendere il linguaggio giuridico

Un ruolo fondamentale è svolto dall’avvocato il cui compito avviene in tre fasi:

1. Riconoscimento del maltrattamento come reato; 2. Attivazione o implementazione della rete antiviolenza; 3. Affiancamento della donna nell’iter giudiziario. In tutti i casi la priorità rimane la sicurezza.

2.11.6 La scuola

Infine, non per minore importanza, troviamo la scuola che è considerata il nodo fondamentale nella rete di aiuto, ed ha un ruolo decisivo nella lotta alla violenza di genere.

93

Nel Piano Nazionale di educazione al rispetto150 ispirato all’art 3 della costituzione la scuola è la protagonista di quel compito di “rimuovere gli osta- coli” che la Repubblica assegna a sé stessa.

La violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti diseguali tra i sessi che hanno portato alla dominazione maschile sulle donne e alla di- scriminazione nei loro confronti, ed è un ostacolo fondamentale al raggiungi- mento della piena uguaglianza.

Da ciò discende l’impegno di contrastarla e prevenirla in cui si colloca il ruolo cruciale del sistema educativo.

La scuola rappresenta l’istituzione chiamata a cambiare la cultura che giustifica e sostiene la violenza contro le donne, a combattere le disuguaglianze e discriminazioni che ne sono all’origine, e a promuovere lo sviluppo in ragazzi e ragazze di competenze relazionali fondate sul rispetto delle differenze, sulla cultura della parità e sulla mediazione non violenta dei conflitti.

L’educazione al rispetto contribuisce, quindi, alla prevenzione della violenza maschile contro le donne, incoraggiando, da un lato il superamento dei ruoli fissi e stereotipi di genere e, dall’altro, una visione delle differenze come ricchezza e non come fondamento di una gerarchia tra uomini e donne. Non si tratta, quindi, di abolire le differenze tra uomini e donne ma di combat- tere le disuguaglianze.

Il ruolo della scuola rimane centrale anche dopo che la protezione è stata avviata. La collaborazione e lo scambio di informazioni con il servizio sociale e con gli altri attori della rete è fondamentale perché la scuola può con- tribuire a sostenere i suoi allievi anche oltre la fase dell’emersione del problema e nella costruzione del benessere.