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Dal “Compendio” la sfida per un culto “in Spirito e verità”

Nel documento Dispensa 2016-17 (pagine 127-130)

L’INIZIO DI UN INCONTRO NELLA “CARITAS IN VERITATE”?

1. Dal “Compendio” la sfida per un culto “in Spirito e verità”

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (= CDSC) – che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha pubblicato nell'aprile del 2004 – costituisce un'opera eccezionale di tessitura di testi magisteriali sulle problematiche sociali. L'intento degli estensori è chiaramente formulato al n. 8:

«Questo documento intende presentare in maniera complessiva e sistematica, anche se in forma sintetica, l'insegnamento sociale, che è frutto della sapiente riflessione magisteriale ed espressione del costante impegno della Chiesa nella fedeltà alla Grazia della salvezza di Cristo e nell'amorevole sollecitudine per le sorti dell'umanità».

Sulla stessa linea si pone l’obiettivo principale, così descritto al n. 10:

«Il documento si propone come uno strumento per il discernimento morale e pastorale dei complessi eventi che caratterizzano i nostri tempi; come una guida per ispirare, a livello individuale e collettivo, comportamenti e scelte tali da permettere di guardare al futuro con fiducia e speranza; come un sussidio per i fedeli sull'insegnamento della morale sociale».

Proprio per queste sue caratteristiche di sistematicità, sinteticità e strumentalità il CDSC si preoccupa di usare un linguaggio chiaro e di connettere, per quanto possibile gli innumerevoli testi di varia autorità magisteriale che cita. In particolare si preoccupa di disporre un imponente Indice analitico che occupa le pp. 349-505, ovvero quasi un terzo dell'intero volume.

Dal punto di vista dei cultori della liturgia e della teologia liturgica si tratta di un testo di grande interesse. Esso infatti consente, come pochi altri, di prendere visione di quale

sia la comprensione della liturgia, e quindi della sua importanza, in coloro che con significativa autorità magisteriale – e a partire dalle «parole immutabili del Vangelo» – intendono offrire ai cristiani «principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti per l'azione» storica concreta nel mondo (CDSC 11).

Il risultato di questa presa di visione non è però consolante. Basti solo un piccolo esempio: se qualcuno cerca nello sterminato indice analitico voci come

liturgia, sacramento, eucaristia, celebrazione, escatologia, ecc. resta amaramente deluso.

Certo non mancano aspetti interessanti, specialmente là dove si delineano gli elementi radicali di identità del cristiano (cf. CDSC, nn. 41-44) e del laico in particolare (cf. CDSC, nn. 541-546), oppure dove si accenna al riposo festivo (cf. CDSC, nn. 284-286). Ma è sufficiente poi andare all'unica citazione che il CDSC fa di SC al n. 519 (comprese le note) per sentirsi sconfortati.

Chi poi legge il n. 539 – uno dei rari riferimenti al rapporto tra Eucaristia e dottrina sociale – rimane sicuramente senza parole. Non mancano neppure sentieri accennati e non percorsi che sarebbero stati assai fecondi sul piano liturgico, come ad es. i nn. 52-58 dedicati a Chiesa, Regno di Dio e rinnovamento dei rapporti sociali e Cieli

nuovi e terra nuova. Ne emerge un duplice dato di fatto: se da una parte il CDSC vuol

fondare l’esistere e l’agire cristiano sui sacramenti e sulla divinizzazione da essi operata, dall’altra si rivela rinunciatario nel valorizzare il significato sociale e cosmologico dei sacramenti e principalmente dell’Eucaristia.

Diverse appaiono le prospettive della Lettera enciclica Caritas in veritate. Qui il discorso si presenta all’insegna di un orizzonte ampio e variegato; ed è in questo contesto che la dimensione spirituale traspare secondo diverse accentuazioni, come verrà evidenziato più oltre.

Da queste constatazioni scaturisce l'opportunità di un'indagine più accurata; un esame cioè di quanto sia presente la dimensione liturgica nel CDSC, non tanto per fare l'elenco delle cose soddisfacenti o delle occasioni perdute, quanto piuttosto per riflettere su quella che si potrebbe ritenere un'ulteriore prova di un fenomeno che sembra riemergere dopo l'esaltazione dell'unità del sapere teologico: l'incomunicabilità ordinaria e crescente tra i vari saperi teologici. Anche in questo caso ci troviamo senza dubbio nel contesto di una dialettica che richiede tempo per essere declinata soprattutto a partire da un corretto concetto di culto cristiano qual è stato rilanciato con la Sacrosanctum Concilium e dalla successiva riforma liturgica. 2. Il “Compendio”: tra progetto e disattese

La pubblicazione del Compendio, attesa da tempo, ha richiesto circa cinque anni di lavoro, iniziati sotto la guida del Cardinale vietnamita Fraçois-Xavier Nguyen Van Thuan, e completati sotto la presidenza del Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. La Presentazione del

Compendio porta la data del 2 aprile 2004; la Lettera del Cardinale Segretario di Stato,

con cui si apre il Compendio, è stata firmata il successivo 29 giugno.

Numerose sono le considerazioni che sollecitavano l’elaborazione dell’opera. La più urgente era quella di avere tra mano una sintesi di quanto è stato predisposto da parte del Magistero in tempi recenti a proposito della dottrina sociale, in modo da poter disporre di una silloge per una sua più facile e immediata recezione e valorizzazione.

Una parte delle attese è stata completata: i 583 paragrafi in cui è distribuita la materia parlano nella loro eloquente ampiezza. Il lettore infatti si trova di fronte a 12 capitoli organizzati in questa forma:

 L’Introduzione cerca di delineare un umanesimo integrale e solidale, capace di svolgere un autentico servizio per la piena verità dell’uomo, nel segno della solidarietà, del rispetto e dell’amore. Da tale impostazione dipendono le tre parti in cui è distribuita l’opera.

 La prima parte, in quattro capitoli, presenta il disegno d’amore di Dio per l’umanità; è un progetto che evidenzia l’azione liberante di Dio nella storia, compiuta in pienezza attraverso il Cristo, per ricollocare la persona umana al centro del progetto di Dio: una missione affidata alla Chiesa (cap. I). In questo contesto di evangelizzazione si colloca lo specifico di tale missione in rapporto alla dottrina sociale, alla sua natura e a quanto

 La seconda parte, in sette capitoli, tocca i grandi temi già puntualizzati dalla Gaudium et

spes: a) la famiglia, cellula vitale della società, protagonista della vita sociale ma anche

destinataria delle attenzioni della stessa società (cap. V); b) il lavoro umano, la sua dignità, il diritto ad esso unitamente ai diritti dei lavoratori e la solidarietà tra di loro, alla luce delle prospettive delle res novae (cap. VI); c) la vita economica, accostata secondo prospettive di attualità per rispondere alle nuove esigenze, determinate anche qui dalle res novae, secondo un’etica corretta, al servizio dell’uomo (cap. VII); d) la comunità politica, con il suo fondamento e con la illustrazione del ruolo dell’autorità in ordine al sistema democratico, al servizio della società, alla collaborazione con le comunità religiose (cap. VIII); e) la comunità internazionale, con le sue regole fondamentali in vista dell’organizzazione e della cooperazione per lo sviluppo (cap. IX); f) la salvaguardia dell’ambiente, con la evidenziazione di una comune responsabilità in vista del superamento della crisi nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente (cap. X); g) la promozione della pace, frutto della giustizia e della carità, missione distintiva della Chiesa (cap. XI).

 La terza parte è costituita da un solo capitolo, il XII: il contenuto si concentra sull’azione ecclesiale in ambito sociale, e quindi sull’impegno dei fedeli laici nel servizio alla persona umana, alla cultura, all’economia, alla politica.

 La Conclusione è un invito a continuare nella costruzione della civiltà dell’amore: a questo tende la missione e l’aiuto della Chiesa, qualora si abbia il coraggio di ripartire sempre dalla fede in Cristo, costantemente sorretti da salda speranza.

L’ammirazione per questa poderosa sintesi non esenta tuttavia dal porre alcune domande che l’educatore formula, e che nel caso specifico si meraviglia non siano state considerate nel percorso redazionale del Compendio. Va comunque precisato che la presente riflessione non si muove da un precostituito atteggiamento critico di fronte ad un documento ufficiale, ma solo dal desiderio di offrire una pagina formativa a livello ecclesiale, proprio a partire dai valori e dai limiti del Compendio.

Se ci si è mossi in questa linea è perché abbiamo constatato il limite di una proposta, qual è quella contenuta nel Compendio, che non ha avuto il coraggio di un confronto con la dimensione cultuale e con i valori di sintesi che essa racchiude, nonostante alcune formidabili sottolineature e buone intenzioni qua e là emergenti. 3. Una schizofrenia tra

lex vivendi

e

lex orandi

?

Chi legge con attenzione il Compendio resta impressionato dai numerosi riferimenti, diretti e indiretti, all’ambito cultuale. Senza dubbio, un Indice analitico fatto con criterio “sistematico” – e non con il solo ricorso all’automatismo della

soluzione informatica – avrebbe evidenziato alcune ricchezze presenti nell’opera, insieme ad evidenti lacune; e da tale evidenza sarebbe emersa l’urgenza di un più attento confronto con alcuni ambiti come quello biblico e patristico e, in questo caso, soprattutto con quello liturgico.

Qui sottopongo all’attenzione dell’educatore alcune considerazioni generali che, se tenute presenti, possono permettere anche alla dottrina sociale della Chiesa di essere non una teoria soltanto, ma una dimensione che proprio nel culto trova una sintesi – oltre che un radicale fondamento – per un’azione ancora più incisiva e dunque formativa.

Se non ci si colloca in questa prospettiva di “sintesi” anche il magistero ecclesiale può continuare a correre il rischio di prolungare autentiche schizofrenie tra un documento e l’altro, e soprattutto tra ciò che è codificato nei documenti e ciò che il fedele è invitato a esprimere nel culto. Pertanto, se la lex orandi è l’espressione simbolica di un incontro tra lex credendi e lex vivendi, in quale misura è doveroso declinare un più forte incontro tra culto e dimensione sociale? È solo un auspicio di “liturgisti” o forse è la mano tesa che i liturgisti porgono a chi vede ancora la liturgia come una cerimonia o poco più? Se il Compendio racchiude alcuni riferimenti alla liturgia, perché questi risultano così parziali? Perché questi non si aprono a conseguenze educative? Forse perché si delega ciò a un orizzonte più ampio e organico? Ma se esso resta ipotetico come sarà possibile un doveroso confronto?

Nel documento Dispensa 2016-17 (pagine 127-130)

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