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Quale correlazione tra il concetto-realtà di Chiesa e quello di liturgia? Tutto dipende dal fatto che la Chiesa è il popolo santo, chiamato da Dio ad un

Nel documento Dispensa 2016-17 (pagine 61-63)

LA CHIESA NASCE DALLA LITURGIA

1. Quale correlazione tra il concetto-realtà di Chiesa e quello di liturgia? Tutto dipende dal fatto che la Chiesa è il popolo santo, chiamato da Dio ad un

culto “in Spirito e verità”. Soffermarsi sul concetto di culto considerato solo come momento rituale fine a se stesso è snaturare la realtà liturgica. Il culto infatti costituisce il momento simbolico, attuato secondo ritmi e modalità particolari, in cui e attraverso cui la comunità di fede si rapporta con il Dio Trinità Ss.ma. Un rapporto, però, che non si muove in prima istanza dalla communitas, ma da una chiamata speciale di Dio stesso.

Questa è la logica che si deduce dalla prima grande celebrazione di Es 19-20 e 24; è Dio che chiama il suo popolo. Ed è in questa ottica che il CCC introducendo la seconda parte, quella propriamente liturgica, si presenta con un titolo programmatico: “La liturgia, opera della santa Trinità” (CCC 1077). E nell’esplicitare questo il CCC fa emergere l’azione preveniente di Dio che chiama il suo popolo, e insieme la risposta del popolo che aderisce per essere “proprietà particolare, sacerdozio regale, popolo santo…”.

Le due realtà “Chiesa e liturgia” costituiscono un binomio unico: non può esistere l’una senza l’altra. Ed è in questa ottica che vanno comprese tutte le esplicitazioni e i corollari successivi che la SC evidenzia nel prosieguo del cap. I dove, appunto, si delinea la “natura della liturgia e la sua importanza nella vita della Chiesa”.

2. «… paschali nascitur de mysterio»

La lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II (17 aprile 2003) in ordine all’Eucaristia ma vista nell’ottica del «suo rapporto con la Chiesa» (titolo) può costituire allo stato attuale il documento più recente che aiuta a cogliere questo peculiare e unico rapporto tra la Chiesa e la liturgia, e principalmente con il vertice dell’esperienza liturgica costituito dall’Eucaristia che il Missale Romanum definisce «sacramentum sacramentorum» (Praenotanda, n. 368) perché – come afferma san Tommaso nella Summa – «… in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza» (S. Th. III, 83, a. 4 c).

Il n. 3 dell’Enciclica si apre con l’affermazione: «Dal mistero pasquale nasce la Chiesa. Proprio per questo l’Eucaristia, che del mistero pasquale è il sacramento per eccellenza, si pone al centro della vita ecclesiale». Da qui allora le parole di apertura che danno il senso a tutta la riflessione: «La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità […] racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa…» (n. 1). E fa ricordare la strofa dell’inno proprio della solennità del S. Cuore (composto nel 1765, sotto il pontificato di Clemente XIII) quando la Chiesa canta: «Ex Corde scisso Ecclesia, Christo iugata, nascitur…». Si comprende come nel mistero della liturgia la Chiesa ritrovi il segreto e l’esplicitazione del proprio mistero. «Se con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste – si legge ancora nel n. 5 dell’Enciclica – la Chiesa viene alla luce e si incammina per le strade del mondo, un momento decisivo della sua formazione è certamente l’istituzione dell’Eucaristia nel

Cenacolo». Ed ecco perché l’Eucaristia «è quanto di più prezioso la Chiesa possa avere nel suo cammino nella storia» (n. 9).

In questa ottica la liturgia fa comprendere al fedele che la realtà e la centralità della Pasqua non è un appuntamento del calendario secondo una combinazione astronomica e culturale, ma prima di tutto e principalmente la ripresentazione sacramentale del mistero di quella Pasqua di passione e di gloria da cui scaturisce continuamente la linfa vitale che nutre e alimenta le tante attese della comunità ecclesiale. Ed è un appuntamento non legato ad un giorno, ma a quel “giorno” costituito dallo scorrere del tempo – anno, settimana, giorno – che segna la vita dell’umanità, fino al “giorno ultimo” quando l’umanità intera contemplerà il volto di Dio (cf GS 22, 38-39 e 45).

Quanto qui accennato è solo un riflesso di ciò che il fedele sperimenta attraverso il linguaggio della liturgia la quale attraverso il libro liturgico, e particolarmente mediante l’eucologia presente nel Missale Romanum, è ricca di espressioni. Il contesto della preghiera, infatti, costituisce il locus attraverso cui l’assemblea ritrova se stessa in atteggiamento orante per fare esperienza del mistero della Pasqua e per domandare che tale esperienza possa trasformarsi in vita, fino al compimento ultimo.

Per cogliere, pertanto, questo intimo rapporto tra Chiesa e liturgia è necessario accostare la lex orandi. Considerando la ricchezza del Missale Romanum, i testi più comunemente usati evidenziano quanto segue:

– le “collette” aprono sul mistero della celebrazione, facendo sperimentare alla Chiesa che celebra l’azione della Trinità in sé e in ordine a ciò che l’assemblea domanda di poter vivere nel contesto dell’actio cui partecipa;

– le “orazioni sulle offerte” evidenziano il senso del momento sacrificale che realizza l’incontro tra l’oblazione di Cristo sulla Croce e quella del fedele che nei santi segni simbolizza l’incontro tra la vita di Cristo e la propria, per l’azione dello Spirito Santo; – i “prefazi” nella loro ampia varietà hanno la capacità di dare alla comunità orante motivi

sempre nuovi (oltre un centinaio!) non solo per dire grazie alla Trinità, ma anche perché la Chiesa si ritrovi costantemente in atteggiamento di lode per la gloria di Dio, in una dossologia perenne;

– le “preghiere eucaristiche” mettono a disposizione la ricchezza tematica loro propria per dare alla Chiesa il ritmo di una preghiera (la prex per eccellenza) che affonda le sue origini nella berakâ ebraica, si sviluppa nel tempo attraverso la tradizione delle varie Chiese, per esprimersi oggi nelle forme codificate nel Missale Romanum: testi che si muovono dalla lode per passare all’epiclesi di consacrazione e al racconto dell’istituzione, all’anamnesi e di nuovo all’epiclesi di comunione, alle intercessioni per la Chiesa (vivi e defunti) in comunione con tutti i santi, per una dossologia che si chiude con l’Amen più importante di tutta l’azione liturgica;

– le “orazioni dopo la comunione” ripresentano la Chiesa che dopo aver partecipato ai santi misteri domanda di realizzare nella vita quanto sperimentato nell’azione liturgica, sempre in vista del compimento ultimo nell’eskaton.

Ecco come si muove, in sintesi, il linguaggio della liturgia espressione di una comunità orante. Ma tutto questo è comprensibile solo alla luce di una Parola che costituisce il fondamento di ogni azione liturgica. L’ascolto della voce di Dio, già

prefigurato nella grande celebrazione dell’Esodo, trova mirabili esplicitazioni sia nell’episodio della Sinagoga di Nazaret (cf Lc 4, 16-21) che in quello di Emmaus (cf Lc 14, 13-35), senza dimenticare numerosi altri passaggi il cui il Signore Gesù chiama all’ascolto operante.

Nella sinagoga emerge l’hodie: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi…», dove il sémeron peplérōtai denota l’attuazione “sacramentale” di una Parola che nel contesto cultuale (sémeron) raggiunge la sua pienezza (plérōma) realizzando ciò che annuncia. Nell’episodio di Emmaus abbiamo l’ermeneutica del rapporto tra i due Testamenti («… cominciando da Mosè e da tutti i profeti, “spiegò” loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui…»). Ma la comprensione piena avviene solo al momento dello spezzare il pane quando «si aprirono i loro occhi e lo riconobbero». Gli occhi della comunità di fede si aprono al momento dello spezzare il pane, perché l’Eucaristia costituisce la chiave ermeneutica definitiva di tutto quel dierméneusen che Gesù stesso aveva compiuto durante il cammino spiegando la Legge e i Profeti.

Da questo paradigma si comprende la dialettica costante tra liturgia della Parola e liturgia del Sacramento che caratterizza – oggi in particolare – l’azione liturgica. Ecclesia de Eucharistia, quindi, a cominciare dalla liturgia della Parola, dal momento che – come ricorda SC 56 – «… la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto…». Ecco perché ogni fedele è invitato alla mensa della Parola, anche se non può partecipare in pienezza alla seconda mensa; d’altra parte si compie una “comunione” con Cristo già nella celebrazione della sua Parola, dal momento che «Cristo è presente nella sua parola perché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura…» (SC 7), e quando si accoglie tutto «ciò che riguarda quella Parola che nella celebrazione, sotto l’azione dello Spirito Santo, si fa sacramento» (Lezionario, Premessa, n. 41).

Nel documento Dispensa 2016-17 (pagine 61-63)

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