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Prospettive “liturgiche” per un’educazione alla dimensione sociale

Nel documento Dispensa 2016-17 (pagine 130-133)

L’INIZIO DI UN INCONTRO NELLA “CARITAS IN VERITATE”?

4. Prospettive “liturgiche” per un’educazione alla dimensione sociale

La presente riflessione intende attivarsi con responsabilità perché da una dialettica costruttiva (e con un auspicabile e atteso atteggiamento di reciprocità) possano delinearsi prospettive educative e formative che coinvolgano la persona nella sua totalità, senza inutili separazioni di ambiti, pur nel rispetto delle competenze e delle logiche specifiche.

A distanza di quasi cinque decenni dal Vaticano II si constata di tanto in tanto come il concetto di liturgia non sia stato acquisito nella mens di chi è chiamato ad elaborare linee formative. Se poi ci si accosta alla ricchezza prospettica di Optatam

totius 16 allora le attese si fanno ancora più urgenti. Il Compendio è un esempio

eloquente di come la realtà liturgico-sacramentale non sia ritenuta tale da offrire una sintesi costruttiva nell’intimo della persona. I vari riferimenti al culto che il testo offre appaiono più sulla lunghezza d’onda del locus theologicus che non come la prospettiva della dottrina sociale quale locus liturgicus che se da una parte rinvia a quella liturgia della vita di cui parla Paolo in Rm 12,1, dall’altra invita a considerare la dimensione cultuale per quello che effettivamente è: l’espressione simbolica di una vita di fede chiamata ad operare nel sociale.

Accostata da questo versante del sociale, la liturgia offre all’educatore alcuni indici per un confronto ma soprattutto per una visione non parcellizzata della vita di fede nei più diversi contesti della riflessione e dell’azione dell’uomo. Documenti esemplari non sono mancati in questi anni del dopo Concilio; ci aspettavamo che

uno strumento come il CDSC, che tocca un aspetto essenziale dell’agire della persona nel mondo, si collocasse sulla stessa lunghezza d’onda. Le nostre sollecitazioni si rafforzano anche dal fatto che “commenti” al Compendio non si sono accorti di questi limiti; anche il Dizionario della Dottrina Sociale della Chiesa – edito nel 2005 dallo stesso Pontificio Consiglio, che ha elaborato il Compendio, come un «sussidio per studiare tematicamente le principali nozioni che riguardano la dottrina sociale della Chiesa» (Premessa, p. 17) – non ha preso in considerazione tale dimensione. L’unica eccezione fa riferimento al tema della riconciliazione e del matrimonio, mentre nel contesto della “voce” pastorale sociale si legge:

«La pastorale sociale ha una duplice finalità: illuminare le coscienze e stimolare l’impegno sociale di tutti i fedeli. Tale duplice compito deve pervadere [...] l’attività ecclesiale nei diversi profili in cui si attua la missione sacerdotale, profetica e regale dei discepoli del Signore. La sinergia delle dimensioni dell’annuncio della Parola, della

celebrazione liturgica, della testimonianza della carità, nelle varie forme dell’esperienza di

comunione, deve educare la comunità ecclesiale a tradurre le istanze del vangelo nell’ambiente familiare e in quello culturale, civile, economico e politico [...]» (p. 590).

Queste parole programmatiche sono stupende; ci auguriamo possano costituire la traccia per un programma di azione che richiede, per completezza, almeno queste attenzioni, in vista di un’autentica “sinergia”:

 Le considerazioni teologiche circa la dottrina sociale, pur facendo qualche riferimento al culto non considerano la dimensione liturgica e specificamente la teologia sacramentaria come parte integrante di una visione in cui il sociale trova un essenziale punto di riferimento anche nell’ambito cultuale. Ma chi celebra è tutto l’uomo, e la liturgia lo evidenzia con dovizia di linguaggi.

 La dimensione biblica di tanto in tanto emerge, e talora con notevole spessore, soprattutto per fondare le prospettive su cui si basa l’educazione al sociale da parte della Chiesa. Ma la dimensione biblica ha la sua attualizzazione nella liturgia: è qui che «l’annuncio accade» (Cei, Comunicazione e missione, n. 43); è nella dinamica dei tempi e dei ritmi del culto (anno liturgico, sacramenti, sacramentali, pii esercizi...) che la Parola illumina e alimenta l’impegno nel sociale mentre fa aprire gli occhi sul senso dello “spezzare il pane”.

 Se l’insegnamento della dottrina sociale è radicato nella rivelazione e sappiamo che questa continua ad attuarsi nel tempo della Chiesa, allora più stretto dovrebbe emergere il rapporto tra il senso e il ruolo dei sacramenti e la vita nel sociale. In questa linea i contenuti di vari libri liturgici (a cominciare dal Lezionario e dal Messale) possono risultare emblematici in ordine ad una “mentalizzazione” salvifica.

 Chi conosce il senso teologico della celebrazione sa che essa racchiude, pur negli orizzonti del suo linguaggio simbolico, un rapporto unico tra le realtà intramondane, la persona e il tempo; è un rapporto con tutto il creato, sempre coinvolto a livello simbolico nel suo linguaggio. Educare a questa realtà è elaborare una mens che aiuta a superare ogni forma di dicotomia o, peggio ancora, di schizofrenia.

 Una maggior conoscenza del linguaggio liturgico permette di constatare le costanti occasioni in cui l’azione liturgica rinvia, soprattutto nei testi eucologici, all’impegno nel sociale; basti osservare quanto emerge nelle collette e soprattutto nelle orazioni dopo la

comunione: esse offrono un autentico programma di azione... È in questa linea che va

accostata la ricchezza presente nel Messale e tuttora in buona parte sconosciuta. Il confronto poi con il Benedizionale garantisce numerosi altri elementi educativi in ordine ad una sintesi.

 C’è uno spazio peculiarissimo, inoltre, in cui la liturgia offre occasioni uniche per educare al sociale, e questo è costituito dall’omelia e dalla predicazione. Tale ministero, che si attua all’interno di un sacramento, ha una sua valenza di efficacia sacramentale qualora esso sia compiuto con quella competenza che esso richiede. In questa ottica non è fuori luogo evidenziare l’esemplarità di santi che brillano per il loro impegno nel sociale (è un’ampia gamma di paradigmi quella offerta dal Messale, dalla Liturgia delle

Ore e dal Martirologio).

 La rilettura attenta dei nn. 9 e 10 della Sacrosanctum concilium offre elementi per una visione della liturgia come sintesi di tutta l’attività della Chiesa: il suo ruolo simbolico costituisce il locus per un incontro tra tutto ciò che chiama in causa l’attività della persona umana. Se «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10; ma sulla stessa linea sono anche LG 11, UR 15, CD 30, PO 5) allora riemerge in tutta la sua capacità veritativa e operativa la sintesi che il Sinodo straordinario dei vescovi elaborò nel 1985: «La Chiesa, nella Parola di Dio, celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo»; è in questa vita della Chiesa che la dimensione sociale ritrova il suo stretto e fondante rapporto con la dimensione liturgico-sacramentale.

 C’è poi un aspetto spesso trascurato, ma non di poco valore: il ruolo sociale racchiuso nella pietà popolare. Il relativo Direttorio pubblicato nel 2002 è un esempio eloquente di come si possano, attraverso l’elemento della pietà popolare, toccare aspetti che ad un primo sguardo sembrano non aver rapporti con il culto (cf l’Indice analitico del

Direttorio alle “voci”: carità, confraternite, cultura, famiglia, festa, immagini,

inculturazione, lavoro, vita).

 Anche la dimensione del rapporto tra l’uomo e il creato trova nel linguaggio simbolico della liturgia la sua espressione più forte. Si pensi anzitutto all’arte e all’architettura (con il grande ricorso alla natura e ai suoi elementi, sempre nell’ottica di una visione d’insieme del creato che ha l’uomo al centro...) fino allo specifico linguaggio liturgico in cui gli elementi naturali trovano il loro spazio e soprattutto il loro senso simbolico contribuendo anch’essi all’anakephalaiosis definitiva in Cristo Alfa e Omega.

 La comprensione del senso sociale della preghiera, sulla linea di documentazioni patristiche e di scrittori ecclesiastici antichi, recenti e contemporanei, va recuperata in vista di quell’educazione al dialogo con Dio quale spazio per dialogare con i fratelli, con le istituzioni sociali e con le realtà creaturali.

 Un accostamento al mistero della storia considerato dal versante della vocazione divina dell’uomo e della società umana, nell’ottica della divinizzazione della persona e della trasformazione di tutta la realtà creata nei cieli nuovi e terra nuova, rimane sempre come quadro di riferimento e di confronto per una sintesi organica e onnicomprensiva.

Dall’insieme si evince, senza correre il rischio di unilateralità, che la liturgia ha la capacità di plasmare il progetto sociale. In essa infatti il fedele è educato ad agire nel quotidiano; invitato a guardare la persona come oggetto unico dell’amore di Dio;

formato ad una visione che considera il sociale come l’aspetto di un tutto organico; plasmato da un’esperienza che nella sua ripetitività permette di entrare sempre più in

una realtà che è allo stesso tempo umana e divina insieme; sorretto nel proprio impegno attraverso l’esperienza diretta di Gesù Cristo; illuminato da una Parola che attende di essere attuata anche nel sociale; nutrito da simboli che rinviano al lavoro di ogni giorno perché tale impegno sia assunto in un progetto di salvezza;

salvaguardato da una visione-realtà soprannaturale che permette di saper andare oltre

gli inevitabili limiti; trasfigurato nella misura in cui l’impegno nel sociale si fa arduo e talora umanamente impossibile; nella liturgia correttamente intesa si trovano le basi di una “mistica” del lavoro e del vivere sociale. È quanto si legge nel n. 542 del CDSC:

«L’identità del fedele laico nasce e trae alimento dai sacramenti: dal Battesimo, dalla Cresima e dall’Eucaristia. Il Battesimo conforma a Cristo [...]. La Cresima o Confermazione configura a Cristo, inviato per vivificare il creato e ogni essere con l’effusione del suo Spirito. L’Eucaristia rende il credente partecipe dell’unico e perfetto sacrificio che Cristo ha offerto al Padre [...]. Il fedele laico è discepolo di Cristo a partire dai sacramenti e in forza di essi, in virtù cioè di quanto Dio ha operato in lui imprimendogli l’immagine stessa del Figlio [...]. Da questo dono divino di grazia [...] nasce il triplice munus (dono e compito), che qualifica il laico come profeta sacerdote e re, secondo la sua indole secolare».

Sono affermazioni che racchiudono un progetto di sintesi che può dare senso ad una rilettura organica del Compendio, in vista di una dottrina sociale della Chiesa che sappia essere non tanto una teoria, quanto uno strumento per trasformare l’umanità e attuare il vangelo. Potrà essere meglio delineata – e sorretta con adeguati sussidi – quella liturgia della vita anche dal versante dell’insegnamento e della prassi della dottrina sociale della Chiesa.

5. La dimensione sociale del culto nelle nuove vie della “Caritas in veritate”

Nel documento Dispensa 2016-17 (pagine 130-133)

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