CATECHESI E CULTURA
2. La pietà popolare, tra culto e cultura
Nell’ambito dell’esperienza cristiana le occasioni e i mezzi attraverso cui il fedele ha la possibilità di rapportarsi con il Dio Trinità sono vari. Dai sacramenti al grande “sacramento” costituito dall’anno liturgico, dai sacramentali alle benedizioni fino alle più diverse forme di preghiera... è un insieme di occasioni attraverso cui è possibile realizzare, nella fede, l’incontro tra il Dio della vita e la vita del fedele.
Accanto ai sacramenti, luogo di incontro privilegiato e unico nel suo genere con la Trinità Ss.ma – culmen et fons ricorda il Concilio Vaticano II (cf SC 10) –, si collocano i sacramentali, cioè quei «segni sacri per mezzo dei quali [...] sono significati e [...] vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali» (SC 60). È in questo ambito che possono essere collocate tutte quelle espressioni tipiche della pietà popolare che prendono poi nome di pii esercizi, cioè quelle «espressioni pubbliche o private della pietà cristiana che, pur non facendo parte della Liturgia, sono in armonia con essa, rispettandone lo spirito, le norme, i ritmi; inoltre dalla Liturgia traggono in qualche modo ispirazione e ad essa devono condurre il popolo cristiano» (Direttorio 7).
L’insieme delle più variegate forme di pii esercizi dà luogo alla pietà popolare, costituita da quelle «diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell’ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra Liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura» (Direttorio 9). L’espressione permette di procedere oltre nella riflessione e soprattutto nella evidenziazione del rapporto tra culto e cultura tramite la pietà popolare. Lasciandoci guidare ancora dal dettato del
Direttorio, è possibile individuare peculiari sottolineature.
2.1. Vangelo e cultura nella pietà popolare
L’incontro del messaggio cristiano con ogni singola cultura provoca manifestazioni di vario genere sia nella pietà dei fedeli sia in tutti quegli elementi che, in forme diverse, riflettono la pietas. È naturale che in questo ambito le forme della pietà popolare – molto più di quelle tipicamente sacramentali – riflettano elementi di cultura tipici del popolo in cui avviene l’annuncio del vangelo.
Osservando i documenti offerti dalla storia, il Direttorio constata una «fusione armonica del messaggio cristiano con la cultura di un popolo, che spesso si riscontra nelle manifestazioni della pietà popolare» (n. 63). Ciò è dovuto al fatto che attraverso le forme della pietà popolare il messaggio cristiano «assimila i moduli espressivi della cultura del popolo», mentre – di riflesso – l’annuncio del vangelo permea la concezione della vita e le sue più diverse espressioni (n. 63).
La lezione che ne scaturisce interpella, in particolare, il metodo da acquisire quando ci si vuol accostare alle forme culturali espressive di una cultura permeata dal vangelo. Non è possibile cogliere lo specifico delle forme culturali legate alle espressioni della pietà popolare se non ci si colloca in questa peculiare dialettica di incontro tra vangelo e cultura.
2.2. Discernere i valori della cultura
Ogni cultura è carica di valori e di limiti. Il discernimento costituisce un impegno determinante quando si tratta di operare un incontro tra cultura e vangelo; non tutto quello che fa parte della cultura può essere assunto come manifestazione di messaggio di liberazione evangelica. Per questo si impone un’opera di discernimento nell’assumere segni, atteggiamenti, testi, ecc. come linguaggio della pietà popolare. Alcune forme riflettono più la religiosità popolare che non la pietà popolare; e la religiosità è quell’elemento in cui fede e manifestazioni magico-sacrali tentano di incontrarsi.
Questo il senso delle parole che leggiamo nella Lettera apostolica Dies Domini con cui Giovanni Paolo II ricorda ai pastori di «operare un discernimento che salvi i valori presenti nella cultura di un determinato contesto sociale e soprattutto nella religiosità popolare...».13
Di fronte a questo richiamo di responsabilità l’operatore pastorale può talora trovarsi di fronte a manifestazioni che richiedono un impegno educativo qualora si vogliano far rientrare nell’alveo delle espressioni della fede. Si tratta di un lavoro educativo e formativo che chiama in causa principalmente il compito di una programmazione pastorale a medio e lungo termine.
2.3. Le “immagini” e l’impronta della cultura
Per sua natura l’immagine appartiene sia alla sfera del segno che a quella dell’arte. Nel contesto della Chiesa di Occidente l’immagine ha avuto nella storia l’opportunità di manifestarsi nei modi e nelle forme più diversi, tanto da costituire un autentico locus di annuncio e di inculturazione della fede, anzi vero luogo di incontro tra fede e cultura. Questo il motivo per cui sia nella storia che nell’oggi la pietà popolare «ama le immagini, che recano le tracce della propria cultura [...]» (Direttorio 243).
2.4. Il santuario, luogo di cultura
Quando si percorrono i contenuti del Direttorio è sorprendente cogliere di tanto in tanto – come già in parte evidenziato – il rapporto che intercorre tra cultura e pietà popolare. Ma dall’insieme di queste osservazioni emerge che vi è un luogo particolare, il santuario, che appare come vero “bene culturale”.
È in questa linea che il Direttorio nel n. 276 presenta il santuario come luogo di incontro di «numerose manifestazioni della cultura delle popolazioni circostanti»; come «punto di riferimento per definire l’identità culturale di un popolo». Ed è ancora in questa linea che si va sempre più affermando la tendenza a fare del santuario uno specifico «centro di cultura, un luogo in cui si organizzano corsi di studio e conferenze [...]».
L’attenzione dell’educatore è richiamata sul fatto che la dimensione culturale non abbia il sopravvento su quella cultuale che, invece, sta all’origine dell’esperienza stessa del santuario e ne costituisce continuamente il punto di convalida.
2.5. Tra cultura e inculturazione
Da quanto sopra accennato emerge ormai con chiarezza, pur nella prospettiva di una visione di sintesi, che il cammino di inculturazione del vangelo passa anche attraverso quella “pagina” così particolare qual è costituita dalla pietà popolare. Le pagine offerte dalla storia sono quanto mai eloquenti,14 e il Direttorio vi dedica
alcune attenzioni perché i risvolti educativi e formativi che scaturiscono da questo contesto siano tenuti ben presenti soprattutto dall’operatore pastorale.15
Data la delicatezza ma insieme anche la centralità del rapporto tra inculturazione e pietà popolare, il Direttorio dedica ben due interi paragrafi a questo tema.16 Essi si presentano quasi come una sintesi che può risultare quanto mai
preziosa sia in ordine alla comprensione del dato storico, sia in ordine alla valutazione del presente, sia in ordine alla messa in opera di strategie formative in vista dell’educazione delle nuove generazioni.