• Non ci sono risultati.

compensazione ecologica come generatori di paesaggio.

Chiara Rizzi Mosè Ricci

Abstract

“ECOLOGICO VS METROPOLITANO” è l’ipotesi di ricerca di un gruppo di tesi di dottorato curate da Mosè Ricci, tra cui questa di Chiara Rizzi. È qui presentato lo stato d’avanzamento di una riflessione che trova il suo fondamento teorico nella landscape ecology, nelle teorie sull’ecosystem health e nell’approccio ecologico- cognitivo alle questioni relative al paesaggio ed alle sue trasformazioni. La crisi globale è, prima di tutto, una crisi ecologica. Il paesaggio, inteso come il dominio fenomenologico in cui si inserisce la complessità di un ecosistema, è il contesto in cui questa crisi si rivela. Elaborare strategie e piani per superarla vuol dire

necessariamente (ri)costruire un “discorso sul paesaggio”. L’ipotesi del Quarto Paesaggio tenta di definire una strategia attraverso la quale il progetto di paesaggio assuma in sé le contraddizioni che, se da un lato ci spingono a produrre paesaggio, dall’altro ci inducono a consumarne sempre più. Quarto Paesaggio come “paesaggio altro” rispetto alle tre categorie in cui Clemént esaurisce la classificazione dei dati osservabili, ma anche come rimando a Quarto Stato, Quarto Potere, Quarto Mondo.

.

1. Perche’ quarto paesaggio?

La voracità con cui la cultura contemporanea si alimenta di immagini-paesaggio pone degli interrogativi importanti rispetto alle dinamiche e ai processi secondo i quali queste stesse immagini vengono generate. Se da un lato la sovrapproduzione di immagini-paesaggio tende alla banalizzazione, dall’altro essa ci induce ad una riflessione più ampia sul rapporto dell’uomo postmoderno con la natura. Un rapporto ambiguo e sfuggente che ci costringe a ragionare in termini dialettici sul termine paesaggio.

Il discorso sul paesaggio che si intende ricostruire gravita intorno alla definizione di una strategia, quella appunto del Quarto Paesaggio. Questa ridefinisce alcune pratiche di trasformazione del territorio come figure del cambiamento e, in ultima analisi, come figure di paesaggio.

Nell’accezione del termine paesaggio che questa ricerca assume come propria esso è inteso come un framework in cui è possibile ritrovare sia elementi fisici che processi cognitivi. Ogni trasformazione di paesaggio produce inevitabilmente variazioni su entrambe queste componenti. In altre parole, il progetto di paesaggio, intervenendo tanto sulle configurazioni spaziali quanto sui processi che le hanno determinate, produce un cambiamento che mette in gioco non solo variabili di natura fisica, ma anche relazionale e percettiva. L’esito di questo cambiamento determina la creazione di un nuovo framework solo se al nuovo contesto fisico corrisponde una sua risignificazione. In accordo con l’approccio ecologico – cognitivo, possiamo affermare che un paesaggio può definirsi come “nuova entità” se, in seguito ad una trasformazione, esso risulta avere un significato diverso da quello di partenza. Il valore di questo nuovo significato è tanto maggiore quante più saranno le variabili che il progetto di paesaggio è riuscito a considerare. Sintetizzando, l’esito finale di un progetto di paesaggio non è necessariamente la produzione di paesaggio, quest’ultima condizione si verifica nel momento in cui la trasformazione fisica è solo il dato tangibile di una variazione di contesto e di senso, nella misura in cui essa viene percepita.

Un esempio ci permette di chiarire meglio questo concetto: il progetto di un’infrastruttura lineare interviene sul paesaggio modificandolo. Questa trasformazione non costituisce di per sé paesaggio, ma lo diventa solo se riesce ad essere portatrice di significato per tutti i componenti dell’ecosistema in cui si inserisce. Il progetto di una strada, per esempio, non si può definire di paesaggio se considerato solo in relazione ad una specie (l’uomo) e necessario per assolvere ad una specifica funzione (lo spostamento).

In questo senso la lungimiranza di cui si parla nell’art. 1 della Convenzione Europea del Paesaggio assume un significato preciso. È possibile generare paesaggio solo attraverso un progetto che sia in grado di conciliare (o

ECOLOGICO VS METROPOLITANO- Il Quarto Paesaggio. Restauro, mitigazione e compensazione ecologica come generatori di paesaggio.

riequilibrare) le tre dimensioni della sostenibilità, ovvero quella ambientale, sociale ed economica. Chiarita la possibilità di generare paesaggio, rimane un’altra questione da affrontare: di che paesaggio si tratta?

La “classificazione” del paesaggio, espressa da Clément nel suo Manifesto del Terzo paesaggio può aiutarci a costruire un ragionamento. Se accettiamo che il paesaggio può essere distinto in tre categorie (naturale, antropico, residuale) diremo che, necessariamente, il paesaggio deve appartenere ad una di queste. Ciò vuol dire che se la dimensione sociale o economica prevale su quella ambientale avremo un paesaggio antropico, nel caso contrario il paesaggio generato sarà di tipo naturale. La Terza opzione è rappresentata dal residuo, cioè dallo spazio a margine delle due categorie precedenti. Il residuo “deriva(…) dal principio di organizzazione razionale del territorio, in quanto spazio abbandonato”. In questa classificazione Clément esaurisce tutte le possibilità , nella sua teoria non c’è spazio per altri paesaggi. Ma che dire allora di quei paesaggi nati dalla necessità di (ri)generare valori ambientali degradati o andati persi? Anch’essi, come i residui, appartengono alla “penombra”, non sono del tutto naturali, ma neanche totalmente artificiali. Si tratta di un paesaggio che, come il Terzo, è insieme strategia, dato fisico e rappresentazione, ma a differenza di questo implica una scelta, una pianificazione. Il “paesaggio della rigenerazione” esiste perché genera il processo progettuale, non perché ne costituisce il risultato. Per questo ha vita breve, esso si trasformano in altro da sé nel momento immediatamente successivo alla sua creazione fino a dissolversi in altre forme di paesaggio. Prendendo come riferimento il ragionamento utilizzato da Clément per il Terzo paesaggio possiamo dire che tra questi paesaggi non vi è nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti sono contraddistinti da processi di palingenesi. Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Quarto Paesaggio.

Quarto Paesaggio rinvia a Quarto Stato, a Quarto Mondo, a Quarto Potere. Esso condensa e rielabora queste

definizioni intorno al concetto di un paesaggio che nasce conflitto tra bisogno di tutela e domanda di consumo, esprime la necessità di trovare un’alternativa all’ estremo impoverimento dell’ambiente in cui viviamo, trova ragion d’essere nella complessità della contemporaneità.

Il Quarto Paesaggio è, prima di tutto, una strategia. Essa introduce nel discorso urbanistico sul paesaggio

variabili e strumenti riferibili ad altri ambiti disciplinari, pertanto presuppone l’utilizzo di categorie ancora non codificate. Definiremo sinteticamente queste categorie “figure della rigenerazione”. Esse rappresentano uno strumento di selezione delle immagini-paesaggio che fanno da sfondo alle diverse forme che il Quarto Paesaggio assume nello spazio. Si tratta di entità ambigue, sospese tra la dimensione fisica del paesaggio e quella astratta della sua rappresentazione, che si concretizzano solo se rapportate ad una dimensione spazio-temporale. Per questo diremo che sono figure di contesto e di processo attraverso le quali la strategia del Quarto Paesaggio prende forma nello spazio e nel tempo. Esse si riferiscono ad una visione ecologica delle trasformazioni sul paesaggio, pertanto alludono a strumenti che perseguono il raggiungimento di un equilibrio tra le sue diverse componenti. Quelle che abbiamo poc’anzi definito come “figure della rigenerazione”, possono essere ricondotte a tre categorie di intervento: il restauro, la mitigazione e la compensazione ecologica.

Attraverso le sue figure la strategia del Quarto Paesaggio si configura come fatto fisico transitorio ed estremamente mutevole. Il Quarto Paesaggio è entità effimera ed organica, il cui processo vitale finisce con l’essere metabolizzato dalle altre forme di paesaggio fino a fondersi in esse. Esso contiene potenzialmente le altre dimensioni del paesaggio, il suo evolvere in una piuttosto che in un’altra è determinato dal contesto in cui si inserisce. La figura della compensazione, ad esempio, declinata in contesti diversi, può dare origine ad un parco urbano, ad una riserva, ma anche ad un residuo.

2. Il quarto, un paesaggio necessario

Se la contemporaneità produce in maniera quasi spasmodica definizioni, teorie, paradigmi e immagini di paesaggio, questo è, senza dubbio, indicativo di un suo bisogno non solo di nominare e rappresentare il fenomeno “paesaggio”, ma di una necessità più profonda di trovare una chiave di lettura per interpretare processi di trasformazione che sempre più sembrano sfuggirci di mano.

Proveremo a costruire un ragionamento che, a partire da quanto emerso nel recente documento Living Planet

Report (ed. 2008), ci porti a mettere in relazione questioni ambientali e paesaggio. Tanto le questioni ambientali

quanto il paesaggio si riferiscono ad una realtà complessa, fatta di elementi, relazioni e processi, che esiste solo nella misura in cui ne abbiamo percezione. Da questa visione comune, dunque, è necessario partire affinché, secondo una logica non lineare, le questioni ambientali entrino a pieno titolo nel discorso sul paesaggio e, al contrario, attraverso il paesaggio si elaborino nuove strategie per affrontare le questioni ambientali.

Alcune importanti teorie sulla sostenibilità e sullo sviluppo sostenibile faranno da supporto teorico.

Il Living Planet Report utilizza due diversi indicatori per descrivere lo stato di salute del nostro Pianeta: il Living Planet Index e l’Ecological Footprint; si tratta di indicatori che aggregano diversi parametri e che vengono utilizzati per misurare due diversi fenomeni: “the Living Planet Index reflects the state of the planet’s ecosystems while the Ecological Footprint shows the extent and type of human demand being placed on these systems”. Confrontando l’andamento di questi due indicatori nel corso degli anni si delinea una situazione davvero preoccupante. Per dare l’idea del fenomeno in atto basti pensare che se nel 1961 quasi tutti i Paesi del Mondo disponevano di risorse più che sufficienti a soddisfare i propri bisogni, nel 2005 la situazione appare

ECOLOGICO VS METROPOLITANO- Il Quarto Paesaggio. Restauro, mitigazione e compensazione ecologica come generatori di paesaggio.

completamente capovolta.

Il Living Planet Index mostra che gli ecosistemi naturali sono fortemente minacciati dalla pressione antropica. Le minacce dell’uomo nei confronti dell’ambiente sono state raggruppate in cinque diverse categorie: perdita, frammentazione o trasformazione di habitat, sfruttamento incontrollato delle specie, inquinamento, diffusione di specie aliene, cambiamenti climatici. Queste minacce rappresentano, in sintesi, le conseguenze di una domanda di risorse sempre maggiore nei confronti della biosfera. Attraverso l’ l’Ecological Footprint riusciamo a quantificare l’impatto che le attività umane hanno sugli ecosistemi naturali in termini di superficie (terrestre e marina) produttiva necessaria a soddisfare i bisogni di una popolazione e ad assorbirne i rifiuti. Negli anni ’80 per la prima volta l’Ecological Footprint dell’intera umanità ha superato la biocapacità del nostro Pianeta, nel 2005 il valore di tale superamento era calcolato intorno al 30%; ai tassi di crescita attuali della domanda, si stima che entro il 2030 avremo bisogno di due pianeti per soddisfare la nostra richiesta di beni e servizi. Nonostante non sia possibile determinare con certezza il punto critico oltre il quale l’accelerazione dei processi di declino di un ecosistema diventa esponenziale, è un fatto acclarato che la tempestività con cui riusciremo a contenere la nostra impronta ecologica sarà un fattore determinante per ridurre i rischi per la sopravvivenza del Pianeta. Il verificarsi o meno di un dato scenario dipende, quindi, direttamente dalle scelte che saremo in grado di fare e di concretizzare nel prossimo futuro. A questo proposito rivestono un ruolo fondamentale alcuni concetti entrati di prepotenza tanto nella riflessione teorica quanto nel parlare comune. Ci riferiamo innanzitutto al termine sostenibilità e a quello da esso derivato di sviluppo sostenibile. Sostenibilità è termine ambiguo e sfuggente almeno quanto quello di paesaggio. Si stima che esistano almeno 300 definizioni diverse di sostenibilità, più o meno ufficiali, più o meno legate a campi disciplinari specifici. Ai fini del nostro ragionamento, la riflessione maggiormente esaustiva è quella che emerge dal documento elaborato dall’ International Union Conservation of Nature (IUCN) intitolato “The Future of Sustainability. Re-thinking Environment and Development in the

Twenty-first Century”. In esso vengono distinti due concetti importanti per stabilire un legame tra questioni

ambientali e paesaggistiche. Secondo il concetto di sostenibilità forte le risorse naturali sono infungibili, esse sono quindi insostituibili e non bilanciabili attraverso l’aumento di risorse di altra natura. Lo sviluppo, di conseguenza, può dirsi sostenibile se è in grado di coniugare la crescita del capitale prodotto dall’uomo con il mantenimento di un capitale naturale almeno non inferiore a quello ereditato dalle generazioni precedenti. Perché ciò sia possibile è necessario evitare quei cambiamenti che risultino irreversibili per gli ecosistemi, e compensare le perdite di naturalità reversibili.

Il concetto di sostenibilità debole afferma invece che è possibile sostituire le risorse naturali con risorse di altro genere purché ciò determini un aumento del valore totale del sistema. Lo sviluppo è sostenibile quindi se è in grado di assicurare gli strumenti per affrontare le conseguenze dell’inevitabile perdita di naturalità.

Entrambi questi concetti prevedano la necessità di quantificare tanto il valore ecologico di un ecosistema, quanto le variazioni prodotte dall’intervento umano; questa idea del “bilancio ecologico” è alla base dell’idea del Quarto Paesaggio.

Inoltre il concetto di sostenibilità forte introduce un altro elemento: poiché le azioni che riducono il valore ecologico sono considerate insostenibili, e come tali impraticabili, è necessario che, se ritenute indispensabili, vengano integrate da misure affinché si raggiunga un equilibrio tra “ciò che viene sottratto e ciò che viene prodotto”. Questo principio è alla base del concetto di compensazione.

3. Figure

Il Quarto Paesaggio esiste già. Lo ritroviamo, in forma più o meno esplicita, nelle direttive comunitarie, nella Convenzione Europea del Paesaggio, nelle linee guida sulla sostenibilità, nelle pratiche più avanzate di governo del territorio. Esso però non è ancora entrato a pieno titolo nella cultura del fare paesaggio. Semplificando, possiamo dire che esiste un’Europa a due velocità: alla prima appartengono i Paesi di matrice germanico- anglosassone, in cui l’integrazione delle politiche territoriali è da sempre un tema centrale, mentre fanno parte della seconda quei Paesi centro-mediterranei in cui la governance del territorio è storicamente basata sull’antinomia tra tutela e sviluppo. Da qui la necessità di costruire una definizione condivisa di Quarto Paesaggio. Per farlo è necessario, preliminarmente, delinearne le figure attraverso cui esso, in quanto strategia, produce paesaggio.

4. Restauro

Il restauro ecologico è un processo che consiste nell’aiutare un ecosistema a riabilitarsi dopo che è stato degradato, danneggiato o distrutto. È un’attività svolta con il proposito di dare inizio o accelerare il recupero dell’ecosistema rispetto alle seguenti caratteristiche: stato di salute (processi funzionali), integrità (composizione di specie e struttura della comunità), sostenibilità (resistenza alle perturbazioni e resilienza). In accordo con quanto affermato dal SER (Society for Ecological Restoration), il processo di restauro si ritiene completato quando non è più necessario alcun aiuto esterno per assicurare la sostenibilità dell’ecosistema nel lungo periodo, tuttavia può essere necessaria una gestione dell’ecosistema restaurato per evitare un successivo degrado causato

ECOLOGICO VS METROPOLITANO- Il Quarto Paesaggio. Restauro, mitigazione e compensazione ecologica come generatori di paesaggio.

da nuove alterazioni o cambiamenti di origine antropica. Il restauro ecologico inizia con la pianificazione

concettuale, attraverso cui si identificano contesto e finalità dell’intervento, prosegue con la programmazione e

la realizzazione e, si conclude con una fase di valutazione e, eventualmente, di gestione. Da un punto di vista ecologico esso può riguardare: il ripristino di un ecosistema degradato o danneggiato, la trasformazione di un ecosistema in un altro della stessa regione biogeografica, la costruzione di un ecosistema sostitutivo naturale o artificiale. Ad ognuna di queste azioni corrisponde non solo una variazione del valore ecologico di un’area, ma anche una risignificazione spaziale, percettiva e culturale, ovvero un nuovo paesaggio. Da questo punto di vista il restauro è qualcosa di più che una tecnica o un approccio ecologico alle questioni ambientali. Esso è una categoria spazio-temporale che esprime un’idea di trasformazione dello spazio fisico in cui la linea di demarcazione tra processi naturali e artificiali non è più così netta. Il risultato è un paesaggio potenziale in cui possono coesistere (anche se in misura di volta in volta diversa) le tre “dimensioni” del paesaggio teorizzate da Clément.

5. Mitigazione e compensazione

Considerate semplicemente come misure attraverso le quali minimizzare gli impatti delle attività antropiche sull’ambiente naturale, la mitigazione e la compensazione sono due concetti che, seppur distinti, spesso vengono confusi; sarà quindi utile chiarirne brevemente il significato.

Il termine compensazione include in sé uno scambio, che deve essere in qualche modo quantificato e sul quale deve esserci, presumibilmente, un accordo tra la parte A che cede qualcosa e la parte B che acquisendola concede, a riparazione, un altro bene in grado di soddisfare quanto sottratto (Pileri, 2007). Essa, quindi, implica l’esercizio della facoltà progettuale, di quella pianificatoria e di quella strategica, in un gioco continuo di rimandi tra le diverse scale. Al contrario, la mitigazione fa riferimento ad un’azione e ad una scala più strettamente legata al progetto vero e proprio, sia che si tratti di renderlo più “benigno” sia che determini un’alternativa del progetto stesso.

Entrambi i termini sono diventati ufficiali con l’introduzione della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Si tratta di una procedura amministrativa da applicare solamente ad un certo tipo di opere, pertanto essa rimane, così come pure i concetti che introduce, confinata nel campo dell’eccezionalità. Un importante passo per l’affermazione legislativa, ma anche culturale, soprattutto del principio di compensazione, è stato compiuto con l’introduzione della VAS (Valutazione Ambientale Strategica). La Direttiva 2001/42/CEE, pur non dedicando particolare attenzione alla compensazione, di fatto ne sancisce la sua applicazione ad ogni atto di regolazione e governo del territorio e a qualsiasi scala. La Valutazione Ambientale Strategica trascina con sé il principio della compensazione ambientale per considerare la rigenerazione ecologica come un compito del piano “preliminare”a qualsiasi “convenienza” relativa ad un’opera o ad un’infrastruttura (Pileri, 2007). Bekker e Iuell indicano la pianificazione strategica come l’unico ambito in cui la mitigazione e la compensazione possono trovare effettiva applicazione. Ad esse infatti, deve necessariamente corrispondere un’idea di sviluppo che metta in gioco una pluralità di valori, soggetti e interessi. Non e possibile intenderle semplicisticamente come tecniche per minimizzare gli impatti negativi (ciò rischierebbe di trasformarle in espedienti per legittimare qualsiasi intervento sul territorio), esse devono necessariamente appartenere alla cultura del fare paesaggio. Sia la compensazione che la mitigazione attivano processi (ecologici, sociali ed economici) e generano trasformazioni (fisiche e percettive), quindi, producono paesaggio. Un paesaggio che nasce da un strategia in cui l’ibridazione tra ciò che è naturale e ciò che invece non lo è trova ragion d’essere proprio in quel concetto di “lungimiranza” che troviamo espresso nell’art. 1 della Convenzione Europea del Paesaggio e di cui abbiamo già avuto modo di parlare.

Queste tre figure pur distinguendosi l’una dall’altra sia per gli strumenti che per le variabili che introducono, non sono antitetiche, ma neanche necessariamente compresenti. La loro possibile combinazione e il grado di interazione varia a seconda della natura dei luoghi e delle trasformazioni. Accomunate dal loro essere al contempo figure-immagine, figure-contesto, figure-processo, il loro ciclo vitale si dissolve nel paesaggio che loro stesse hanno creato per diventare “altro da sé”.

Densità e Consumi Energetici

Atti della XIII Conferenza Società Italiana degli Urbanisti

Città e crisi globale: clima, sviluppo e convivenza

Roma, 25-27 febbraio 2010

Planum - The European Journal of Planning on-line

ISSN 1723-0993

Densità e Consumi Energetici