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Un passato di trasformazioni non responsabil

Per città sostenibili, trasformazioni responsabili del suolo Agata Spaziante

2. Un passato di trasformazioni non responsabil

Per quanto attiene allo sviluppo urbano, molte operazioni degli ultimi anni hanno già avuto nel loro sfondo obiettivi strategici che dichiaravano di voler considerare il territorio come un insieme di risorse a cui attingere per “accrescere la coesione economica e sociale e la sua competitività globale”. Queste strategie vanno ri- interpretate per leggerle in rapporto alle politiche territoriali, per verificarne la reale convergenza verso i principi della UE per il periodo 2007 – 2013, orientati alla coesione e puntati alla competitività ed alla occupazione (oggi più che mai in crisi) ma anche allo sviluppo sostenibile; e andrebbero anche esaminate in rapporto al significato ed alle ricadute che possono produrre nell’intero Paese, non solo in rapporto al ruolo che possono giocare nel proprio territorio contiguo o nella propria Regione.

Quanto è avvenuto nel territorio negli ultimi 50 anni ha certamente mirato ed ottenuto risultati in termini di crescita del benessere economico ma altrettanto certamente non ha preso in carico la sostenibilità dello sviluppo Né ciò è avvenuto negli ultimi anni in cui, dopo la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, la consapevolezza dei rischi del pianeta e gli impegni degli Stati in questa direzione sono cresciuti e si sarebbero dovute registrare energiche inversioni di tendenza nei processi di trasformazione del territorio.

Ne è convincente prova quanto emerge da una rapida analisi di quanto avvenuto negli anni recenti fino al 2008 in quel settore delle costruzioni che è stato, come è noto, uno dei principali motori dello sviluppo economico di questo ciclo, repentinamente interrotto nel 2008.

Se ne evince facilmente l’entità di un processo che ha continuato a travolgere il territorio, ancora fino a pochi mesi fa, in direzioni contrarie alle dichiarazioni di buona volontà ed alle esortazione della Commissione Europea.

Per città sostenibili, trasformazioni responsabili del suolo

“I tassi di crescita degli investimenti (tab. 1) in nuove opere pubbliche, dal 2000 al 2004, sono cresciuti in Italia (ma non è stato diverso nel resto dei paesi occidentali) di oltre il 27% mentre quelli in nuove costruzioni, dal 2000- al 2005, hanno raggiunto la quota del 22,7% a fonte di un incremento del PIL nello stesso periodo del 4,6%. Lo stesso può dirsi del contributo all’occupazione del settore delle costruzioni, di gran lunga il più performante in questo periodo (19% di crescita tra il 200 e il 2005, contro l’8,4 dei servizi e il 6, 7 del totale)”. (Ferlaino, 2009)

Il rallentamento degli investimenti privati e la consistente diminuzione nelle opere pubbliche nel 2005 e la diminuzione dell’occupazione nel settore nel 2006, sono intervenuti solo per effetto dell’inizio della crisi che è poi esplosa nei due anni successivi, non certo per una responsabile correzione di politiche insostenibili.

L’esplosione del settore delle costruzioni negli ultimi venti anni è anche un segnale quantitativo della “diffusione insediativa”, dell’ urban sprawl e del suo effetto più evidente, il consumo di suolo, a cui sono connesse ricadute ambientali molto rilevanti (frammentazione degli eco-sistemi, impermeabilizzazione del suolo, modifiche del paesaggio rurale).

Va sottolineato che dal 1950 ad oggi, in Europa un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata cementificata e che nel solo decennio tra il 1990 e il 2000 in Europa sono stati urbanizzati oltre 800 mila ettari di suolo: più di tre volte la superficie del Lussemburgo.1

Tabella I: Variazioni annue degli investimenti e degli occupati nel settore delle costruzioni Settore delle costruzioni e crescita dell'economia

(variazioni % annue a valori costanti)

Investimenti Occupati

Anno PIL Nuove costruzioni

Nuove OO.PP.

Costruzioni Servizi Totale

2001 1,8 8,4 8,6 5,2 2,5 1,9 2002 0,5 7,9 4 2 1,9 1,4 2003 0,1 1,4 7,5 4,1 1,6 1,5 2004 1,4 3,6 7,2 3,3 1,5 1,2 2005 0,8 1,4 -5,5 4,4 0,9 0,7 2006 2,1 0,5 -1,2 -0,6 2,6 1,8 Fonte: CRESME

Nel nostro Paese l’urbanizzazione, cresciuta del 500% dal 1956 al 2001, ha raggiunto un picco tale che a ogni cittadino possono essere attribuiti in media ben 230 mq di suolo urbano; inoltre più di 100 Comuni hanno urbanizzato in 50 anni oltre il 50% della propria estensione, e solo il 14% del territorio nazionale dista più di 5 km da un centro urbano (il 28% più di 3,5km). Ciò dà la misura di un continuum urbano che nella pianura del Nord Italia consente di parlare di una “metropoli padana” (Cassatella C., Spaziante A., Murano C, Carbone M.., 2009)

Nè questo trend divoratore di suolo può essere giustificato con la crescita demografica: dal 1980 in poi si manifesta in Italia un crescente scollamento fra crescita di popolazione e urbanizzazione del territorio e dunque l’occupazione del suolo non è più una risposta alla domanda di case. I dati rappresentati nella Fig. 1 relativi alla situazione del Piemonte nel periodo 1991 – 2005 rendono ben chiaramente l’idea di questa abnorme produzione edilizia (Ferlaino, 2009, pag. 64).

Né può giustificarsi con la necessità di nuovi insediamenti industriali, giacché la fine degli anni ’80 e tutto il decennio ’90 sono caratterizzati dalla crisi del settore produttivo un po’ in tutto il mondo industrializzato, Italia inclusa, come si vedrà meglio al paragrafo….

Il consumo di suolo prodotto da questo processo di vorticosa urbanizzazione già nei decenni precedenti il 1990 era proceduto in Italia al ritmo dello 0,6%, ovvero da 100 a 150.000 ettari l’anno, pari a 400 ettari/giorno, ma nell’ultimo periodo, 1990 – 2005, ha portato ad occupare mediamente 244.202 ha/anno, con una ulteriore accelerazione nell’ultimo quinquennio 2000-2005 di questa folle corsa all’espansione dell’urbano, in cui il ritmo è arrivato al 4,1% l’anno.

In realtà, come è noto, i dati su questo fenomeno in Italia sono pochi e non sempre facilmente utilizzabili, tanto che nel 2008 è stato istituito presso il Dipartimenti di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, un Osservatorio nazionale sui consumi di suolo (Oncs) frutto di una intesa tra il Politecnico di Milano, l’Istituto Nazionale di Urbanistica e Legambiente.

Questo Osservatorio ha pubblicato recentemente un volume curato da Paolo Pileri dal titolo “……” (..2009) in cui sono riportate stime meno drammatiche ricavate dalla fonte europea Corine Land Cover (ISPRA) che tra il

1

European Commission, Joint Research Centre, European Soil Portal. http://eusoils.jrc.ec.europa.eu/.

Per città sostenibili, trasformazioni responsabili del suolo

1990 e il 2000 registra dalla foto interpretazione di dati telerilevati la trasformazione di 152.612 ha di aree agricole (42 ha al giorno) e di 82.830 ha urbanizzati (23 ha al giorno): cifre meno gravi di quelle calcolate dal CRESME, ma certamente non tranquillizzanti (Ferlaino, 2009, pag. 64).

Figura 1: Aumento del consumo di suolo e della popolazione in Piemonte dal 1991 al 2005

Fonte: CSI-Piemonte

Indagini dell’Arpa Lombardia danno per la Lombardia una superficie urbanizzata del 13, 1 % in Lombardia al 2004, con tassi di crescita delle superfici urbanizzate (comprese le infrastrutture) dell’1% all’anno rispetto all’intero territorio regionale, dal 1999 al 2004, corrispondenti a +8,6% delle superfici urbanizzate presenti (Pileri, 2008, p. 99).

Per il Piemonte gli studi svolti dal CSI-Piemonte per il Piano Territoriale Regionale indicano un consumo del 6,42% della superficie totale2

con incrementi annui più contenuti, dello 0,38% nel decennio 1991-20013

. Tutto questo conferma la consapevolezza ormai molto diffusa che si sia condotta una politica edilizia e di uso del suolo forsennata, con la conseguenza di una urbanizzazione spinta e di una sottrazione di suolo sia agli usi agricoli che alla permanenza di foreste, aree naturali di pregio, ambienti paesaggistici sensibili.

Si giustifica dunque quanto affermato nella tesi proposta, ovvero che le trasformazioni avvenute si debbano considerare irresponsabili.

Ciò che è meno noto è che anche l’uso agricolo del suolo ha poco salvaguardato il principio della sostenibilità e poco difeso i valori ambientali: e questo è quanto si vuole esprimere più diffusamente nel paragrafo 3.