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La competenza di gestire la conoscenza in una organizzazione: creare, trattenere e trasferire

L’IMPRESA E LA TEORIA DELLE COMPETENZE

4. La competenza di gestire la conoscenza in una organizzazione: creare, trattenere e trasferire

Szulanski (1996: 28) sottolinea che la diffusione della conoscenza all’interno di un’organizzazione è un’esperienza distinta che dipende dalle caratteristiche di ciascun individuo coinvolto. Da questo punto di vista, il trasferimento di conoscenza è un processo di scambio tra la fonte e il ricettore. Considerate le quattro modalità di conversione della conoscenza illustrate da Nonaka (1994), nonché la loro interazione nella spirale di conoscenza, appare evidente l’importanza assunta non solo dalla decisione e dall’esecuzione del trasferimento di conoscenza (e, dunque, dalle intenzioni e dalle motivazioni degli individui), ma anche dal suo utilizzo una volta ricevuta. Ciò viene esplicitato da Minbaeva et al. (2003) attraverso la descrizione dei quattro passaggi che caratterizzano lo scambio di conoscenza: iniziazione, implementazione, accrescimento e integrazione. Secondo l’autrice, la pura trasmissione di conoscenza dalla fonte al ricettore non ha valore utile se il ricettore non utilizza la nuova conoscenza. L’elemento chiave nel trasferimento di conoscenza non è la conoscenza originale, ma piuttosto quanto il ricettore acquisisce conoscenza potenzialmente utile e quanto la utilizza nelle proprie operazioni. Il trasferimento di conoscenza può portare a cambiamenti nel comportamento del ricevente o allo sviluppo di nuove idee che conducono a nuovi comportamenti (Davenport e Prusak, 1998). Foss e Pedersen (2002) definiscono il trasferimento di conoscenza come il catturarne l’applicazione anziché il trasferirla fisicamente. Essi misurano la conoscenza trasferita attraverso la quantità di tale conoscenza utilizzata dal ricevente. In altre parole, la conoscenza può anche essere stimata attraverso la percezione dei ricettori di conoscenza dell’ammontare di conoscenza trasferita internamente tra le unità organizzative (Minbaeva, 2004).

Dunque, il successo del trasferimento di conoscenza non è esclusivamente funzione delle caratteristiche della conoscenza in quanto mandatario e ricevente giocano

un ruolo importante. Le organizzazioni i cui dipendenti hanno competenze superiori e disponibilità ad assorbire e condividere conoscenza raggiungono migliori risultati nel trasferimento di conoscenza. Il grado di conoscenza trasferita è anche più elevato quando sussistono relazioni strette tra mandatario e ricevente (Minbaeva, 2007).

Ad un livello più generale, Minbaeva (2007) sostiene che due metafore hanno guidato le ricerche sul trasferimento di conoscenza. La prima vede tale trasferimento come un processo di comunicazione. La seconda, sostenuta da Attewell (1992), lo vede in termini di costi e benefici: maggiore è il costo di trasferimento, più lento sarà quest’ultimo. Pochi studi nella knowledge-based view utilizzano la prima metafora nello strutturare le analisi del processo di trasferimento di conoscenza. Tuttavia, Shannon (1949) propone che ogni modello di comunicazione deve includere sei elementi: una fonte, un codice, un messaggio, un canale, un decodificatore, e un ricevente; mentre per Szulanski (2000: 11) ‘the signalling metaphor specifies the basic elements of a transfer: source, channel,

message, recipient and context’. Elementi che Nahapiet e Ghoshal (1998) chiamano ‘the cognitive dimension of the social capital’. Argote (1999) utilizza della prima delle due

metafore richiamate da Minbaeva (2007) per esaminare come le caratteristiche della relazione tra organizzazioni, a) le caratteristiche delle organizzazioni, b) gli aspetti della conoscenza che viene trasferita, e c) le dimensioni del processo di trasferimento che impattano sul trasferimento di conoscenza. Eisenhardt e Santos (2002: 149) esplorano ‘how knowledge transfer within an organization depends upon the characteristic of

knowledge, the sender, the recipient e their mutual relationships’. Szulanski (2003)

definisce il trasferimento di conoscenza come un processo di scambio diadico tra mandatario e ricevente, dove l’efficacia del trasferimento dipende in qualche misura dalla disponibilità e dall’abilità della fonte e del ricevente, dalla forza dei legami tra questi e dalle caratteristiche dell’oggetto che viene creato.

Secondo Inkpen (1998), il trasferimento di conoscenza non è un processo random e le organizzazioni possono formulare nonché attuare varie politiche interne, strutture, e processi per facilitare l’apprendimento che sono oggetto di analisi del paragrafo 6 del presente capitolo. Più recentemente, molti dei lavori empirici sul trasferimento di conoscenza tra organizzazioni si sono focalizzati sui diversi fattori che ostacolano o stimolano il trasferimento (vedere capitolo 5 in Argote, 1999 per una revisione dettagliata). Ghoshal e Bartlett (1988) concludono che le comunicazioni tra le unità di un’organizzazione facilitano il flusso di conoscenza (all’interno di una MNC). Simonin (1999) suggerisce che l’ambiguità della conoscenza gioca un ruolo critico di mediazione

tra le variabili esplicative (e.g. tacitness, esperienza precedente, complessità, distanza culturale, e distanza organizzativa) e l’outcome del trasferimento. Tali effetti sono moderati dalle capacità dell’impresa di supportare l’apprendimento. Gupta e Govindarajan (2000) osservano che i flussi di conoscenza in una sussidiaria sono positivamente associate con la ricchezza di canali di trasmissione, la motivazione ad acquisire conoscenza, e la capacità di assorbire la conoscenza.

Così come la performance individuale dipende dalla competenze e dalle capacità, dalla motivazione e dalle opportunità dell’individuo, così il successo della gestione della conoscenza dipende dalle abilità, dalle motivazioni e dalle opportunità (Argote et al., 2003).

L’effettiva gestione della conoscenza consiste nel fornire agli individui l’opportunità di creare, trattenere e trasferire conoscenza. Tali opportunità possono emergere dall’esperienza, diretta o indiretta. L’esperienza dà agli individui la possibilità di creare conoscenza attraverso il trial-error learning. Le relazioni organizzative influenzano la gestione degli outcome di conoscenza procurando ai membri opportunità di apprendimento, gli uni dagli altri (Argote et al., 2003) e dai clienti o dai fornitori d’impresa. Apprendere osservando è un esempio di tale apprendimento indiretto. Invece di accumulare conoscenza direttamente, come sostenuto da Nonaka (1994), si accumula conoscenza guardando un’altra persona svolgere un compito. Le organizzazioni riducono la distanza, sia fisica che psicologica, tra le persone. La prossimità consente agli individui di imparare a conoscere chi conosce cosa, così che i membri sappiano dove cercare la conoscenza e le informazioni rilevanti (Borgatti e Cross, 2003). La trasmissione di routines, strumenti, e tecnologie tra una o più unità di un’organizzazione permetterà ai membri di un’unità ricevente di beneficiare della conoscenza acquisita dalla prima unità (Epple et al., 1996; Winter e Szulanski, 2001).

L’analisi della struttura del network di un attore richiede, anzitutto, attenzione alla qualità dei legami costituiti (frequenza, intensità, molteplicità, e così via) e alla loro configurazione. In secondo luogo, è importante prestare attenzione a entrambi i legami, diretti e indiretti (Adler e Kwon, 2002). Questi aspetti delle relazioni, comunque, saranno oggetto del prossimo capitolo della presente tesi.

Secondo Menon e Pfeffer (2003), compensi e incentivi sono componenti importanti del processo di gestione della conoscenza. I membri di una unità sono disincentivati dal trasferire conoscenza da altre parti dell’organizzazione se non sono compensati per

l’utilizzo di conoscenza interna. Premi sociali possono essere tanto importanti quanto quelli monetari (Argote et al., 2003).

L’idea che le motivazioni costituiscano anche una risorsa diretta di capitale sociale sottostà all’asserzione di Putnam’s (1993) secondo cui le fonti di capitale sociale risiedono non solo nei network ma anche nelle norme e nella fiducia. Leana e Van Buren hanno la medesima intuizione nel sostenere che le fonti di capitale sociale organizzativo risiedeono nella fiducia e nella associabilità: ‘the willingness and the ability of individuals to define

collective goals that are then enacted collectivily’ (1999: 542). Forse a causa della

popolarità di modelli con attori razionali inspirati dall’economia, in molte ricerche sul capitale sociale si assume implicitamente che gli attori individuali e collettivi siano guidati da motivazioni strumentali (Argote et al., 2003). E’ chiaro che, tuttavia, il capitale sociale è a volte motivato da impegni normativi di natura meno direttamente strumentale, come norme di generalizzata reciprocità (Uzzi, 1997). Questi argomenti saranno approfonditi nel prossimo capitolo.

Le capacità e le competenze costituiscono una parte importante del processo di gestione della conoscenza. Esse possono essere il risultato di formazione (Nadler et al., 2003). Anche l’esperienza influenza le abilità. Gli individui e le unità organizzative hanno la capacità di comprendere la conoscenza in aree dove hanno avuto esperienze precedenti poiché gli individui imparano, o assorbono, conoscenza associandola con ciò che già conoscono (Cohen e Levinthal, 1990). I fattori che incrementano l’abilità di una persona a gestire la conoscenza non necessitano di essere specifici per quella persona. Ad esempio, il transactive memory systems (Wegner, 1986) e i common short-hand languages (Weber e Camerer, 2003) sono proprietà di relazioni che influenzano l’abilità degli individui a creare, trattenere, o trasferire conoscenza.

Inoltre, l’abilità occupa una posizione non ben definita all’interno della attuale teoria del capitale sociale. Burt (1997a: 339), per esempio, la esclude come risorsa, sostenendo che ‘human capital refers to individual ability, social capital refers to opportunity’. Altri sostengono che insieme alle motivazioni e alle opportunità, le abilità sono una fonte di capitale sociale. Leana e Van Buren (1999) identifica l’associabilità come una risorsa di capitale sociale che comprende motivazioni e abilità di una collettività per la definizione e il raggiungimento dei suoi obiettivi. Nahapiet e Ghoshal (1998) adottano la lista di network, norme e fiducia di Putnam, ma aggiungono le credenze condivise, una forma di abilità. Secondo Lin (1999) e Gabbay e Leenders (1999) il capitale sociale è la risorsa fornita dal network di legami di un attore, e la sua grandezza dipende dalle risorse rese disponibili

agli attori agli altri nodi del network. Vi sono due teorie. La prima, esemplificata da Portes (1998), secondo cui le abilità dei nodi sono complementi del capitale sociale. La seconda, esemplificata da Gabbay e Leenders (1999) e Lin (1999), che, in una più ampia definizione di capitale sociale, include le abilità come costitutive di quest’ultimo. Il primo approccio sembra essere quello più chiaro e semplice.