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L’IMPRESA E LA TEORIA DELLE COMPETENZE

2. Competenza: tentativi di definizione

Fin dalla fine degli anni Ottanta, il termine ‘competenza’ era di rigore fra i consulenti, pochi, però, sapevano che cosa significasse veramente.

Questa incertezza non è scomparsa col passare degli anni. Tuttavia, De Feo (1996) precisa come in letteratura gli studi che si occupano di ‘competenze’ si articolino sostanzialmente lungo due filoni che si sono sviluppati in modo indipendente: il filone razionale/strategico/sistemico e il filone psicologico/culturale/individuale. Il primo fa riferimento alle competenze organizzative o core competence aziendali; è rappresentativo il lavoro di Prahald e Hamel (1990). Il secondo, invece, si sviluppa sul livello individuale; pionieri di tale filone sono Spencer e Spencer con il loro studio del 1995, che riprende e sviluppa precedenti lavori di McClelland (1985), Klemp (1980) e Boyatzis (1982).

Hamel e Prahald (1990: 82) definiscono la core competence come ‘the collective

learning in the organization, especially how to coordinate diverse production skills and integrate multiple streams of technologies’. In tale visione, il concetto di competenza si

riconduce all’impiego di risorse, utilizzando processi organizzativi per il raggiungimento di un fine desiderato. Le competenze rappresentano, quindi, processi combinatori basati sull’informazione, specifici dell’impresa e sviluppati nel corso del tempo attraverso complesse interazioni tra le risorse, tangibili e intangibili che essa controlla (Amit e Schoemaker, 1993). La core competence, sostengono Hamel e Prahald (1990) è comunicazione, coinvolgimento e profondo impegno. Essa riguarda il personale di molti livelli e di tutte le funzioni. Le skills individuali che insieme costituiscono le core

competence devono fondersi, riconoscendo le opportunità per armonizzare le loro

esperienze funzionali in modi nuovi ed interessanti. Le core competence non diminuiscono con il loro utilizzo, anzi, aumentano e si sviluppano attraverso la loro applicazione e condivisione. Esse devono, però, essere coltivate e protette; la conoscenza si indebolisce se non viene utilizzata. Le competenze sono la colla che unisce i business esistenti e il motore che ne crea di nuovi (Hamel e Prahald, 1990). La riflessione di maggior spessore le fa, infatti, coincidere con le capacità di miglioramento di specifiche attività: in questo caso viene colto da elementi quali l’innovazione di prodotto, la flessibilità produttiva, la capacità di risposta al mercato, l’accorciamento dei cicli di sviluppo di nuovi prodotti (Amit e Schoemaker, 1993). Talvolta le competenze ‘superiori’ vengono ricondotte al concetto di

cambiamento e di rinnovamento (Teece e Pisano, 1994), in tempi brevi e con un dispendio minimo di risorse (Hayes e Pisano, 1994).

Meta-competenze, a livello organizzativo, sono: il riconoscere il valore delle risorse (Barney, 1986), l’utilizzare al meglio quelle disponibili o lo svilupparne di totalmente nuove (Henderson e Cockburn, 1994) prima dei concorrenti. A tal fine, è necessario un management flessibile nel cambiare l’enfasi sulle diverse competenze (Hayes e Pisano, 1994) e strategie (Barney, 1992) in maniera più efficiente o più rapidamente dei concorrenti (Christensen, 1993), nonché l’abilità nel rispondere o attivare cambiamenti radicali in maniera ottimale rispetto ai competitor (Anderson e Tushman, 1990).

Similmente alla pratica manageriale in cui il concetto di competenza viene ricollegato ad abilità particolari nello svolgimento di determinate attività, per competenza Spencer e Spencer, seguendo il filone psicologico, intendono invece una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata ad una performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito. Caratteristica intrinseca significa che la competenza è parte integrante e duratura della personalità di un individuo. Boyatzis (1982) la definisce ‘…una motivazione, un tratto, una skill, un aspetto dell’immagine di sé o d’un ruolo sociale, o il corpo di conoscenze usato da una persona’. Hornby e Thomas (1989: 53) definiscono le competenze come ‘le conoscenze, le skill e le qualità del dirigente/leader efficace’. Una competenza, secondo Boam e Sparrow (1992: 50), ‘è un insieme di modelli di comportamento che il titolare deve possedere in una posizione per eseguirne con efficacia compiti e funzioni’. Particolarmente importante è l’evidenza, in quest’ultima definizione, che le competenze riguardano il comportamento delle persone. Una competenza è una caratteristica del comportamento; ed una caratteristica riferita alla performance in una particolare mansione. Questo legame con una mansione specifica esiste, anche se in qualche caso (ad es. l’orientamento professionale) una competenza può essere utile, in teoria, per tutte le mansioni. Ciò che conta per la performance degli individui è il modo in cui essi operano e l’analisi della mansione deve isolare i comportamenti che distinguono la performance superiore. Una competenza, dunque, è una dimensione di un comportamento manifesto che consente ad una persona di lavorare in maniera competente (Boam e Sparrow, 1992).

E’, inoltre, rilevante distinguere tra ‘competenze’ e ‘ruoli’. In inglese la distinzione è tra competency e competence. Dato che la lingua italiana non ha due termini differenti per i due significati, agli inizi si è risolto il problema rendendo il termine competency con

l’italiano ‘capacità’. Il termine ‘capacità’ non dà, però, il giusto risalto al fatto che le competenze sono intese come comportamenti reali e osservabili, mentre le capacità sono considerate come ‘possibilità di riuscita’ nell’esecuzione di un compito o, in termini più ampi, di una prestazione lavorativa. Le competenze non riguardano la mansione in sé, ma i comportamenti che le persone debbono esplicitare per svolgere la mansione in modo competente. La mansione in sé consiste in un insieme di compiti ciascuno dei quali richiede un certo numero di competenze individuali.

Spencer e Spencer (1995) sottolineano l’esistenza del collegamento (o flusso) causale tra competenza e performance di ordine superiore. Tale correlazione implica, infatti, che la competenza sia in grado di causare e predire comportamenti e risultati, se misurata rispetto a dei criteri. Misurata su un criterio prestabilito significa che la competenza predice chi esegue un lavoro bene o male, secondo criteri o standard specifici. Per migliorare la performance, le imprese dovrebbero usare come ‘griglia di riferimento’, per selezionare e sviluppare il personale, le caratteristiche degli elementi più produttivi. Non farlo significa selezionare e formare per la mediocrità.

Entrambe le correnti di studio riconducono il concetto di competenza su cui basare la gestione delle risorse umane al concetto di competenze distintive, indispensabili per raggiungere una posizione di vantaggio competitivo. Si possono infatti individuare due grandi categorie: competenze “soglia” (le caratteristiche essenziali necessarie per essere minimamente efficaci) e competenze “distintive” (quelle che distinguono gli elementi superiori dai medi).

In buona sostanza, l’approccio razionale-strategico, seguendo un’impostazione di tipo top-down, parte dall’individuazione delle core competence aziendali e da queste deduce le competenze individuali delle risorse umane. Si arriva così all’individuazione, da un lato, delle aree di risultato chiave e delle performance critiche per adeguare o mantenere il grado di competitività e, dall’altro, delle core competences aziendali necessarie a presidiare i business di riferimento. Come affermano Koch e Koch (1997) la sola individuazione delle core competences non basta, in quanto è fondamentale legare a queste i processi aziendali, veri luoghi di creazione di valore, e, conseguentemente, le tecnologie impiegate, le modalità di organizzazione del lavoro e i settori professionali di riferimento, che diventano prerequisiti essenziali per procedere all’analisi del lavoro a livello micro.

L’approccio individuale-psicologico, invece, segue un’impostazione bottom-up, un processo di individuazione delle competenze a livello individuale basato su expert method

(Meger, 1996). Tale approccio permette di esplicitare i comportamenti organizzativi dei migliori performer e di divulgarli come il modo corretto di perseguire gli obiettivi individuali e generali (Camuffo, 1998).

Il primo a parlare di competenza distintiva è Selznick (1957), con il riferimento esplicito all’accumulo di combinazioni uniche di risorse ed abilità che consentono all’impresa l’ottenimento di rendite. Successivamente, la Penrose (1959) sottolinea come le competenze distintive non riflettano solo il possesso di beni organizzativi, ma anche le modalità della loro combinazione e del loro utilizzo per creare basi di eterogeneità e di differenziazione. Ansoff (1965) le vede come elementi essenziali per cogliere i segnali deboli dell’ambiente ed approntare risposte strategiche adeguate. Andrews (1971) considera distintive le capacità tecniche e l’abilità manageriale, affermando che la strategia dovrebbe definire le aree d’affari dove competere, in modo da focalizzare le risorse sulla conversione delle competenze distintive in vantaggio competitivo. Hofer e Schendel (1978), enfatizzano il collegamento logico esistente tra: impiego di risorse, competenze distintive e routine organizzative superiori in una o più attività della catena del valore che portano l’impresa a conseguire rendite collegate al possesso di determinate risorse. Dosi, Teece e Winter (1990) arricchiscono il concetto di competenze distintive e di competenze-chiave, enfatizzando la loro difficile replicabilità. Prahald e Hamel (1990), invece, per competenza distintiva intendono l’apprendimento collettivo nell’impresa. Hamel (1994) afferma che una competenza per poter essere definita distintiva, deve consentire: superiori benefici al consumatore, accrescendo il valore del prodotto e del servizio offerto; una differenziazione rispetto ai concorrenti; e un’entrata in nuovi mercati. Leonard-Barton (1992) definisce core-capabilities l’insieme di conoscenze in grado di differenziare un’impresa dal punto di vista strategico ed in modo determinante per il vantaggio competitivo mentre Teece e Pisano (1994) affermano che le core competencies sono quelle sulle quali si sorregge il business fondamentale di un’impresa e che ciò che rende una competenza distintiva è la difficoltà di replicazione da parte dei concorrenti. Il concetto di competenza distintiva subisce un ulteriore avanzamento nel momento in cui la competenza svolge un ruolo determinante per la sostenibilità del vantaggio competitivo nel lungo periodo. Per assolvere a tale compito, una competenza distintiva deve essere: a) finalizzata a soddisfare i bisogni del consumatore (per poterne ricavare maggiori vendite), b) unica (per poter fissare il prezzo senza preoccuparsi troppo dei concorrenti), e c) difficile da replicare (per poter rendere persistenti i profitti ottenuti). Come già detto, Lipparini e Grant (2000) introducono il concetto di needed-to-win capabilities, per

sottolineare come, se opportunamente valorizzate, queste capacità possano portare un’impresa a differenziarsi dai concorrenti e ad un vantaggio competitivo sostenibile.

Recentemente, Lipparini (2002) ha proposto quale competenza needed-to-win la gestione integrata del capitale intellettuale e del capitale sociale di un’organizzazione (concetti da noi approfonditi nell’introduzione al paragrafo). Le due forme di capitale presentano ambiti di interazione significativi e si pongono come complementari: sul fronte interno, il capitale intellettuale e precisamente la capacità di far leva sui meccanismi di creazione e condivisione di conoscenza; sul fronte esterno, il capitale sociale, in particolare la capacità di strutturare la rete di relazioni più idonea per l’attivazione di circuiti di apprendimento da interazione (Lorenzoni e Lipparini, 1999).

Ethiraj et al. (2005) sottolineano, ad esempio, il ruolo delle capacità client-specific e di quelle di project management. Le capacità client-specific sono funzione di ripetute interazioni con un dato cliente su diversi progetti lungo il tempo. Riflettono la conoscenza tacita del dominio di business del cliente e delle routine operative acquisite. In contrasto le capacità di project management sono acquisite attraverso investimenti persistenti in infrastrutture e in formazione. Riflettono capacità tecniche, risultato non solo di learning-

by-doing, ma anche di proattivi investimenti per costruirle.

Nei prossimi paragrafi analizzeremo la competenza della gestione della conoscenza come principale competenza organizzativa e risultato di più competenze (absorptive

capacity, disseminative capacity, combinative capacity, relational capacity). Si

approfondirà, dunque, la competenza di gestire la conoscenza, interna e scambiata con l’ambiente esterno, attraverso processi di creazione, combinazione e trasferimento. Si potrà osservare che, al fine di sviluppare tale competenza organizzativa, è necessario fare riferimento al livello individuale per quanto attiene tale competenza e, dunque, al ruolo svolto dalle caratteristiche intrinseche, quale ad esempio la motivazione a condividere conoscenza. Come sostiene Kalman (1999), infatti, precedenti ricerche suggeriscono che variabili psicologiche come la self-efficacy o il commitment organizzativo possono avere un impatto significativo sulle inclinazioni delle persone a partecipare ad una volontaria condivisione di conoscenza. Ad esempio, Cabrera et al. (2006) identificano tre dimensioni della personalità (aperture all’esperienza; accondiscendenza, coscienziosità) e un commitment organizzativo (internalizzazione) che influenza la condivisione di conoscenza. L’apertura all’esperienza è connessa a tratti quali l’immaginazione, la curiosità, il senso artistico e l’originalità; un individuo definito come accondiscendente è visto dagli altri come cooperativo, allegro e di supporto; e, infine, gli individui coscienziosi sono definiti come

dipendenti, industriosi, e organizzati. L’internalizzazione si riferisce alla congruenza tra i valori dei dipendenti e i valori dell’organizzazione. Ancora, un filone di ricerca (tra gli altri si menziona Beura) ha dimostrato che l’inclinazione di una persona ad intraprendere un determinato corso di azioni è pesantemente influenzato dalla self-efficacy del soggetto, dove la self-efficacy rappresenta un giudizio sulle capacità di qualcuno nel raggiungimento di un certo livello di performance.

4. La competenza di gestire la conoscenza in una organizzazione: