• Non ci sono risultati.

Dalla conoscenza individuale alla conoscenza collettiva Tentativi di delinea dei rapporti micro-macro

La distinzione tra conoscenza codificata e conoscenza tacita non costituisce l’unica dimensione complessa del processo di trasformazione della conoscenza; un altro aspetto cruciale che deve essere considerato è la trasformazione che ha luogo tra la conoscenza individuale e quella collettiva (Nonaka, 1994; Ancori et al., 2000).

Nella presentazione fatta della conoscenza tacita, ne è stata enfatizzata la natura individuale sottolineando come ogni agente crei la propria personale immagine della realtà e osservando come una stessa informazione possa portare a differenti interpretazioni. In tale prospettiva la struttura di conoscenza di un individuo è strettamente dipendente dalle

sue capacità27 che determinano il modo in cui essa è acquisita, accumulata e il modo in

cui si producono diversi significati.

Ciò spiega, secondo Ancori et al. (2000), l’attenzione che molti lavori sulla formazione della conoscenza hanno posto sull’individuo. L’approccio razionalistico è essenzialmente individualistico e anche l’idea di Polanyi è intrinsecamente connessa all’individuo (Ancori et al., 2000).

Foss (2005) sostiene, invece, che, l’Organizational Economics, poiché derivata dalla principale corrente economica, (paragrafo 3.1) è caratterizzata da micro-fondamenti chiari e da modelli euristici, diversamente, non c’è accordo sulle basi della Knowledge- based View e molto poco interesse viene attualmente mostrato nel provvedervi. I moderni contributi alla KBV, infatti, assumono come punto di partenza la generalizzazione che la conoscenza specifica d’impresa sia distribuita e tacita, senza argomentare questo sulle basi di una teoria della cognizione e della conoscenza individuale (Foss, 2005).

27 Nightingale (1998) sottolinea in particolare la capacità di riconoscere le somiglianze. Questa abilità si sviluppa

ovviamente durante il processo di apprendimento, ma parte di essa è innata, altrimenti il processo stesso di apprendimento non avrebbe mai luogo (Pinker, 1994).

Esistono poi, secondo Ancori et al. (2000), autori che, pur sostenendo il ruolo centrale dell’individuo, vedono la formazione e l’utilizzo della conoscenza fortemente dipendente dalla natura organizzativa e da altri meccanismi che si sviluppano a livello collettivo. Nella famosa critica all’uomo razionale economico di Spender (1996) e Simon (1957) leggiamo:

There has been wide recognition that the assumption of an atomistic and isolated individual may not serve organizational analysts as well. There are significant social, institutional, organizational and economic processes which, we now recognize, can only be explained by going beyond such presuppositions and cognitive and evolutionary economists are able to work this ground in good effect.

Due sono le principali ragioni per cui è importante che l’apprendimento individuale sia parte dell’analisi del processo collettivo di apprendimento (Ancori et al., 2000). La prima è costituita dalla natura localizzata del processo di apprendimento individuale (Stigliz, 1987). Come la specializzazione nelle attività di produzione richiede un incremento degli scambi industriali, così la specificità della conoscenza individuale esige interazioni interpersonali. Se in un dato momento ogni individuo possiede conoscenza specifica e/o specializzata, nasce la necessità di mobilizzare socialmente tale conoscenza dispersa. Che la ‘distributed knowledge’ rappresenti un cambiamento nelle pianificazioni centrali e per la direzione, come già abbiamo visto, è stato sviluppato da Hayek (1935, 1937, 1945)28.

Il problema posto dalla conoscenza distribuita di Hayek, in un contesto economico che vede la crescente importanza dei lavoratori specializzati, della produzione knowledge- intensive, etc., diviene, sempre più spesso, centrale anche per le imprese (cf. Cowen e Parker, 1997). Tsoukas (1996) definisce l’impresa come un sistema di conoscenza distribuita e Granstrand, et al. (1997) documentano la crescente distribuzione delle basi di conoscenza controllate dalle corporazioni ad alta tecnologia. Lessard e Zaheer (1996) discutono le implicazioni per le decisioni della conoscenza distribuita. Hutchins (1995) e Gherardi (1999) analizzano le conseguenze per l’organizational learning, mentre Cohen e Regan (1996) applicano la nozione al management tecnologico. Foss (1999a) ne discute

28 Il pensiero di Hayek rappresenta anche un punto di svolta per il concetto di autorità di Simon e Coase. Egli critica,

infatti, che i ‘planners’ possano disegnare piani per l’allocazione delle risorse a livello sociale, basandosi su una conoscenza totalmente concentrata a livello centrale. Un modo sempre più attraente di gestire la presenza di conoscenza distribuita è, infatti, secondo Hayek, la delega delle decisioni. Tuttavia, ciò non risolve il problema di come si possa decidere razionalmente sulla delega, sulle regole, etc.. Anche tali decisioni sono atti di autorità che sembrano essere cambiati dalla presenza di conoscenza distribuita.

le implicazioni per la moderna economia delle organizzazioni, e Larsen (2001) la applica alle imprese di servizi ad alta concentrazione di conoscenza.

La conoscenza è distribuita quando un gruppo di agenti conosce qualcosa che nessun agente singolarmente conosce (completamente) (Foss, 2005). Quindi, il fatto che le imprese (Tsoukas, 1996) e l’intera economia (Hayek, 1945, 1973) sono sistemi a conoscenza distribuita significa che un gruppo di agenti appartenenti a tali entità possiede una conoscenza che nessun singolo agente possiede. Da notare, secondo Foss (2005), è che ciò non comporta l’esistenza di una misteriosa mente collettiva superiore a quelle individuali. La conoscenza risiede nelle teste degli individui, ma, quando questa conoscenza è combinata e aggregata in un determinato modo, ossia è considerata come fosse un sistema, un gruppo di agenti possiede una conoscenza che non possiederebbero se separati.

Risulta, quindi, importante la comunicazione che deve essere inserita nella costruzione e nell’uso della conoscenza. La costruzione di una conoscenza comune (Koessler, 1999), il bisogno di stabilire regole e linguaggi che facilitino la formazione collettiva di conoscenza, e il riconoscere che il contesto influisce sul processo di creazione sono caratteristiche che sottolineano che la conoscenza nasce da un processo collettivo di costruzione.

La seconda ragione per considerare la conoscenza come derivante da un processo di interazione è relativa ad una sua particolare proprietà: la conoscenza costituisce un input e un output del processo di apprendimento. Gli individui generano conoscenza, ma partendo da conoscenze possedute dalla società a cui appartengono (Ancori et al., 2000).

Da entrambe queste ragioni emerge la difficile questione della connessione tra livello individuale e collettivo, tra micro e macro; come può un individuo trarre beneficio ed essere guidato dalla conoscenza collettiva, e al contrario, come può la conoscenza individuale essere estratta e socializzata (Ancori et al., 2000).

Il processo di apprendimento individuale può essere descritto come interazione tra quattro procedure cognitive (Bureth, 1994): l’acquisizione di conoscenza si basa sulla detenzione, memorizzazione, valutazione e creazione di conoscenza. In tale prospettiva, un agente individuale può trovare alcune significative risorse a livello collettivo, specialmente in termini di memoria e di assessment. L’organizzazione può essere un deposito di conoscenza collettiva29 su come utilizzare la conoscenza, come nel caso delle

29 Come visto nel paragrafo 3.2 questo ambito di ricerca è stato originato, tra gli altri, da Nelson e Winter (1982) nella

loro Evolutionary Theory of the Firm. Essi si riferiscono alle routine come al materiale genetico delle organizzazioni in cui la conoscenza organizzativa è immagazzinata. L’organizzazione fornisce il contesto in cui la conoscenza tacita e

regole di comportamento. In modo simile, parte dei codici e dei linguaggi usati per comunicare all’interno di un’organizzazione, che servono ad omogeneizzare i modi in cui la conoscenza individuale è estratta formando le basi per un collettivo sense-making, sono immagazzinati a livello macro (Ancori et al., 2000). La socializzazione della conoscenza circa come gestire la conoscenza, poi, è un modo per dare forma coerente alle individuali procedure di conversione dalla conoscenza tacita a quella esplicita e viceversa (Ancori et al., 2000).

Per portare la conoscenza individuale in un contesto sociale all’interno del quale possa essere amplificata, è necessario un posto in cui le prospettive individuali siano articolate e i conflitti siano risolti nella formazione di concetti di più alto livello (Nonaka, 1994). Nelle organizzazioni tali spazi sono rappresentati dalle ‘self-organizing team’, come le chiama Nonaka (1994), o ‘epistemic community’, come le definisce Ancori et al. (2000), formate da membri di differenti dipartimenti funzionali. Ogni organizzazione è costituita da molte ‘communities of practice’, o gruppi di persone che svolgono la stessa pratica, in cui l’apprendimento non è una questione di disegno consapevole o razionalità riconoscibile, ma piuttosto una questione di nuovi significati e strutture emergenti da un’impresa o un’esperienza comune (Wenger, 1998).

Le community of practice risultano essere più flessibili e interpretative dei gruppi concepiti come entità con razionalità limitata, spesso oltrepassando i confini dell’organizzazione per incorporare persone dall’esterno (Brown e Duguid, 1991). Inoltre, queste comunità possono fornire importanti contributi alle visioni per lo sviluppo futuro e rappresentano una dimensione chiave per la socializzazione e per l’intero processo di creazione della conoscenza (Nonaka, 1994).

Due sono i processi attraverso i quali le self-organizing team provvedono alla creazione di conoscenza organizzativa (Nonaka, 1994). Anzitutto facilitando la creazione di fiducia reciproca tra i membri e accelerando la creazione di una prospettiva implicita condivisa come conoscenza tacita. Il fattore chiave per questo processo è la condivisione di esperienze tra i membri. In secondo luogo, la prospettiva implicita condivisa è concettualizzata attraverso continui dialoghi tra i membri. Questi dialoghi creativi sono realizzati solo quando esiste ridondanza di informazione all’interno del team (per approfondimenti, vedere: Nonaka, 1994).

quella esplicita sono selezionate dall’interazione con la realtà economica esterna e poi immagazzinate nelle routine disponibili in particolare per le generazioni future di lavoratori.

Le epistemic community, dunque, si distinguono da un mero gruppo poiché inducono un processo di auto-organizzazione all’intera organizzazione attraverso cui la

conoscenza passa da un livello di gruppo a uno organizzativo (Nonaka, 1994)30.

Nonaka e Takeuchi (1995) sottolineano, inoltre, l’importanza dei metodi di conversione della conoscenza nella creazione della stessa. Quattro differenti modalità di interazione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita sono individuate dagli autori. Esse rappresentano modi in cui conoscenza già esistente può essere trasformata in nuova conoscenza, per poi essere espansa attraverso l’interazione sociale di cui abbiamo appena parlato.

Nonaka e Takeuchi (1995) si ispirano al modello ACT di Anderson (1983) sviluppato in psicologia cognitiva, il quale assume l’ipotesi del lavoro di Ryle (1949): la ‘declarative knowledge’ (che per Anderson rappresenta la conoscenza esplicita di Nonaka e Takeuchi) deve essere trasformata in ‘procedural knowledge’ (assimilabile alla conoscenza tacita) al fine di sviluppare capacità cognitive. Un limite del ACT model è la sua unidirezionalità, mentre Nonaka e Takeuchi sostengono che la trasformazione tra conoscenza esplicita e tacita sia bidirezionale31.

L’assunzione che la conoscenza è creata attraverso la conversione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita, consente agli autori di identificare, come già accennato, quattro modalità di conversione della conoscenza.

Un modo per trasmettere conoscenza tacita attraverso l’interazione degli individui è la socializzazione. Ciò non avviene attraverso il linguaggio, ma tramite l’osservazione, l’imitazione e la pratica. L’on-the-job training in un contesto di business utilizza lo stesso principio. Senza esperienze condivise è, infatti, estremamente difficile trasmettere i propri processi di pensiero.

Una seconda modalità di conversione della conoscenza coinvolge processi sociali al fine di combinare conoscenza esplicita posseduta da diversi individui. La riconfiguarazione delle esistenti informazioni attraverso il riordino, l’aggiunta, la ricategorizzazione e la ricontestualizzazione della conoscenza esplicita può portare a nuova conoscenza. Questo processo di conversione di conoscenza è definito da Nonaka e Takeuchi (1995) ‘combinazione’.

30 La creazione di conoscenza organizzativa avviene, per Nonaka (1994), oltre che attraverso la socializzazione, ovvero

la condivisione di conoscenza tacita e la concettualizzazione, attraverso la cristallizzazione e la giustificazione della conoscenza (per approfondire vedere Nonaka, 1994).

La terza e la quarta modalità coinvolgono entrambe le forme di conoscenza, catturando, dunque, l’idea che siano complementari e possano espandersi nel corso del tempo attraverso un processo di mutua interazione. Tale interazione coinvolge due differenti operazioni: l’esternalizzazione, che converte la conoscenza tacita in esplicita, e l’internalizzazione, che trasforma la conoscenza esplicita in tacita. Ruolo importante hanno rispettivamente per l’esternalizzazione e per internalizzazione, le metafore e le azioni.

Il modello di creazione di conoscenza organizzativa di Nonaka e Takechi muove appunto dall’interazione dinamica di tutti i differenti modi di conversione di conoscenza gestiti a livello organizzativo in un ciclo continuo.

Il processo di creazione di conoscenza organizzativa può essere, quindi, visto come un processo a spirale che parte a livello individuale per arrivare a quello collettivo, per poi, eventualmente, sfociare in un livello inter-organizzativo (Nonaka e Takeuchi, 1995).

In conclusione, sembra utile considerare brevemente alcuni principi generali per facilitare al management la conversione della conoscenza.

La metafora, ad esempio, non costituisce un processo di pensiero, ma ci consente di sperimentare un nuovo comportamento facendo inferenza da un altro modello comportamentale. In accordo con Lakoff e Johnson: ‘metaphor is pervasive in everyday life, not just in language but in thought and action. Our ordinary conceptual system, in terms of which we both think and act, is fundamentally metaphorical in nature’ (Lakoff e Johnson, 1980, p. 3). Come un metodo di percezione, la metafora dipende dall’immaginazione e dall’apprendimento intuitivo attraverso simboli, piuttosto che dall’analisi o dalla sintesi di comuni attributi.

La metafora non rappresenta semplicemente il primo passo nella trasformazione della conoscenza tacita in esplicita; essa costituisce un importante metodo di creazione di un network di concetti che aiutano a generare conoscenza circa il futuro utilizzando quella esistente. La metafora, quindi, gioca un ruolo importante nell’associazione di concetti astratti e immaginari.

Le contraddizioni presenti nelle metafore possono essere armonizzati attraverso le analogie. L’analogia riduce l’ambiguità sottolineando le comunalità tra due differenti cose. Diversamente dalla metafora, l’analogia crea un’associazione di significati più strutturata, funzionale, ottenuta attraverso il pensiero razionale. L’analogia consente di esplorare nuovi concetti o sistemi attraverso il riferimento a cose già capite; in questo senso, costituisce un ponte tra immaginazione e logica.

La conoscenza tacita può, in conclusione, essere trasformata in esplicita attraverso il riconoscimento delle contraddizioni tramite la metafora e risolvendole con l’analogia.

8. Conclusioni

Dalle tematiche passate in rassegna nel corso di questo capitolo, emergono alcune considerazioni riguardanti i principali risultati finora ottenuti sul processo di creazione di conoscenza organizzativa.

Riconosciuta la distinzione tra informazione e conoscenza, appare utile superare quella tra persona ed organizzazione, trasformando quest’ultima attraverso percorsi che consentano alla persona di realizzarsi e di essere riconosciuta in forme trasparenti ed eque nelle valutazioni dei comportamenti e nel raggiungimento degli obiettivi. L’individuo è complementare all’organizzazione: interazione tra conoscenza tacita ed esplicita si produce a livello individuale, l’organizzazione non è di per sé in grado di creare conoscenza a prescindere dagli individui. Fondamentale è non concepire l’organizzazione come sistema statico ed iniziare a concepire la stessa come spazio di costruzione condivisa degli obiettivi conoscitivi di volta in volta perseguiti.

La tendenza è quella di superare le opposizioni, i dualismi, tipici del pensiero occidentale. Sembra utile una sinergia tra mente e corpo, soggetto e oggetto, razionalismo ed empirismo, management scientifico e relazioni umane.

Anche in riferimento alle teorie d’impresa ci si orienta verso una prospettiva integrazionista tra Organizational Economics e Knowledge-based View.

3