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4. Dall’informazione alla conoscenza

4.2 L’impresa come archivio di conoscenza

Nel secondo approccio all’impresa, come anticipato, tale organizzazione non solo è vista come risposta ai problemi connessi all’informazione, ma anche come ‘deposito’ di conoscenza. Concepire l’impresa in termini di conoscenza non è una novità: secondo Alfred Marshall (1969), ‘Capital consists in a great part of knowledge and

organization…Knowledge is our most powerful engine of production; it enables us to subdue Nature and force her to satisfy our wants. Organizations aids knowledge’ (p. 115).

A tale corrente di pensiero appartengono altri autori quali: Nelson e Winter19, Penrose20,

Chandler e Teece21, alcuni dei quali sono già stati incontrati nel corso del presente lavoro,

in particolare nella sezione in cui si è approfondita la Knowledge-based View.

Nel noto lavoro del 1982 ‘An Evolutionary Theory of Economic Change’, Nelson e Winter non tentano di comprendere l’esistenza dell’impresa di per sé, piuttosto rispondono al bisogno di uno strumento concettuale che consenta loro di analizzare le relazioni tra il cambiamento tecnologico e la crescita economica. Per questa ragione si distinguono dall’approccio, ad esempio, degli scrittori appartenenti alla Behavioural Theory come Simon, Cyert e March. Il punto di partenza è però la stessa presenza eccessiva di

19 Noti precursori della Evolutionary Theory of the Firm, teoria che si è detta appartenere alla Knowledge based View. 20 Precursore della Resource-based View. Si ricorda il dibattito presentato circa la possibile attribuzione a Nelson e

Winter di tale merito.

informazione nel mondo, eccessiva rispetto alle capacità individuali di gestirla, da cui parte anche Simon.

Rifacendosi a March e Simon (1958), Nelson e Winter (1982) scrivono:

Man’s rationality is ‘bounded’: real-life decision problems are too complex to comprehend and therefore firms cannot maximize over the set of all conceivable alternatives. Relatively simple decision rules and procedures [i.e. routines] are used to guide action; because of the bounded rationality problem, these rules and procedures cannot be too complicated (p. 35).

E’ chiaro, dunque, come Nelson e Winter vedano nelle routine, sia individuali che organizzative, una risposta alla complessità e all’incertezza che caratterizzano il mondo e alla razionalità limitata dei soggetti. In questo aspetto la loro ‘routine-based theory’ condivide l’approccio secondo cui l’impresa è vista come una risposta ai problemi legati all’informazione (Dosi et al., 1998). Gli autori della Evolutionary Theory vanno, però, oltre e vedono proprio in tali routine lo strumento tramite il quale l’impresa accumula conoscenza creando una propria storia passata. Si sviluppa, quindi, una teoria in cui le imprese differiscono l’una dalle altre e consente di spiegare le differenti risposte di ognuna ad un complessità di contesto e a circostanze incerte simili. Le routine sono, conseguentemente, fonte di differenziazione e di competitività.

Altri due termini chiave nella teoria di Nelson e Winter sono, secondo Dosi et al. (1998), ‘search’ e ‘selection’:

…Through the joint action of search and selection, the firm evolve over time, with the condition of the industry in each period bearing the seeds of its condition in th following period (ibid. p. 19).

Le caratteristiche principali della ricerca sono ‘irreversibility (what is found is found),

its contingent character and dependency on what is ‘out there’ to be found, and its foundamental uncertainty’ (p. 247). Come le routine, è un’attività basata su regole e,

unitamente alla selezione, ‘the ensemble of considerations which affect its well-being and

hence the extent to which it expands or contracts’ (ibid. p. 401), è un elemento

fondamentale della Evolutionary Theory.

Tuttavia è da notare che gli esseri umani non sempre si attengono a routine e regole, essi possono anche cambiarle improvvisamente ed in modo imprevedibile. Il concetto di routine, inoltre, sembra scontrarsi con l’assunzione di soggettività nell’interpretazione delle situazioni; mentre, l’approccio basato sulle routine non assume

l’ipotesi di certezza, non comunica adeguatamente con il modo in cui l’incertezza si confronta nelle decisioni d’impresa (Dosi et al., 1998).

Diversamente dagli autori visti finora, l’obiettivo di Penrose e Chandler è quello di dare spiegazione alla crescita delle imprese; esattamente, Penrose vuole sviluppare una teoria di crescita dell’impresa, mentre Chandler si propone di indagare sia le origini che la crescita delle grandi imprese, multiprodotto e multidivisionali che dominano le attuali economie nazionali e internazionali (Dosi et al., 1998).

Come già esposto, per Penrose l’impresa è un’organizzazione amministrativa e, allo stesso tempo una collezione di risorse produttive, umane e materiali (p.31). Non solo le risorse, però, costituisco gli input del processo produttivo, importanti sono anche i servizi che esse possono offrire, frutto dell’esperienza e della conoscenza accumulata e fonte di differenziazione e competitività.

Chandler (1990) vede l’impresa moderna come una collezione di ‘dynamic organizational capabilities’ che, come i servizi di Penrose, si accumulano nel corso dello svolgersi delle attività d’impresa, dipendono dalla conoscenza, dalle skill, dall’esperienza e dal lavoro di squadra, oltre a fornire all’impresa capacità competitiva.

Ciò che distingue il pensiero di Penrose da quello di Chandler sta nella risposta alla domanda: ‘Cosa fa un’impresa?’.

Secondo Penrose (1959) ‘the primari economic function of an industrial firm is to

make use of productive resources for the purpose of supplying goods and services to the economy in accordance with plans developed and put into effect within the firm’ (p. 15).

Diversamente da Simon, i ‘planners’ di Penrose sono degli ‘image creators’ più che ‘information processors’; l’analisi parte, infatti, dal loro mondo mentale, creatosi all’interno del contesto della propria impresa e dei suoi specifici servizi produttivi e originatosi dalla conoscenza e dall’esperienza generata dall’impresa, anziché da un ambiente oggettivo e dalle informazioni che esso genera.

Per Chandler, invece, l’impresa e i suoi manager sono impegnati nel raggiungimento di una ‘dynamic logic of growth and competiton’ (Chandler, 1990b, p. 133). Il problema della razionalità limitata, infine, non è esplicitamente trattato né da Penrose né da Chandler.

Si concentra, invece, maggiormente sulla strategia Teece et al. (1990). L’autore propone un ‘dynamic capabilities approach’, ma, come essi stessi riconoscono, il lavoro rappresenta un’estensione di quello di Penrose. Come in Penrose, infatti, l’impresa è vista come una collezione di capacità che incorporano conoscenza e il nesso causale va dalle

capacità alla strategia. Le capacità, secondo Teece, sono difficilmente comunicabili e acquisibili, richiedendo tempo e costi; rappresentano pertanto una risorsa competitiva.

In Penrose, Teece e Chandler la razionalità limitata, che invece trova spazio nel lavoro di Nelson e Winter, viene, dunque, abbandonata, e l’impresa è vista solo come un archivio di conoscenza e non più anche come risposta a problemi informativi.