LE COMPETENZE E LE RELAZIONI IN BANCA
1. Introduzione: il settore bancario e il nuovo scenario competitivo
Dagli anni Ottanta ad oggi il sistema bancario ha vissuto una fase di sviluppo importante, esprimendo mutamenti strutturali e funzionali significativi (Novello e Novello, 2006).
Fino a quegli anni le banche riuscivano a garantirsi adeguati livelli remunerativi in un ambiente caratterizzato da limitata competitività, e nel quale operavano quasi esclusivamente in un unico segmento di attività: quello dell’intermediazione creditizia. Tale attività faceva leva su fattori particolarmente favorevoli, tra i quali ampi divari tra i tassi d’interesse attivi e passivi, rilevanti barriere all’ingresso di altri operatori (bancari e non), forti vincoli alla mobilità interna ed una domanda non sufficientemente preparata per fungere da reale propulsore verso significativi fenomeni innovativi (Bracchi et al., 2000). Tutto ciò consentiva un’interpretazione dell’organizzazione come progettazione e gestione di procedure e norme per un’attività bancaria relativamente statica e formalizzata. Le problematiche organizzative erano oggetto di attenzione di nuclei specialistici che le affrontavano secondo un’ottica procedurale, soprattutto in termini di sistemi informativi. Non deve essere dimenticato, inoltre, lo squilibrio provocato dalla tradizionale maggiore attenzione prestata alle implicazioni strategiche operative dell’evoluzione ambientale rispetto a quelle organizzative (Camuffo e Costa, 1995).
Fattore di evoluzione determinante è stato l’impulso normativo che si colloca principalmente all’inizio degli anni Novanta (Novello e Novello, 2006). In Italia, la ‘legge Amato’ (n. 280 del 1990), che prevede per le aziende di credito italiane la forma costitutiva di Spa, ha favorito, accanto alle trasformazioni societarie, processi di fusione e incorporazione che hanno consentito la crescita dimensionale e la costituzione di gruppi bancari polifunzionali con strutture organizzative a holding (Mottura, 1993). La soluzione polifunzionale rappresenta un’alternativa al modello di banca universale. Entro le strutture del gruppo polifunzionale, condotto secondo una strategia unitaria, banche e altri intermediari finanziari possono conservare, accanto a una specificità di funzioni,
un’identità giuridica distinta, una separata dotazione patrimoniale, una capacità autonoma di provvista. Il gruppo plurifunzionale permette, dunque, agli enti creditizi di ampliare la gamma di servizi offerti, senza disperdere i benefici della specializzazione, attuando la diversificazione operativa dell’attività bancaria mediante la creazione di organismi giuridicamente distinti e funzionalmente specializzati (Camuffo e Costa, 1995). La soluzione polifunzionale, tuttavia, presenta difficoltà finanziarie, decisionali e strategiche collegate al raggiungimento di unitarietà e coerenza per un collegamento bancario composto da organismi con strutture organizzative e operative autonome e spesso nettamente diversificate (Vella, 1991).
Per contro, la direttiva CEE di coordinamento bancario, recepita nel nostro Paese (d.lgs. 481/1992), prefigura la trasformazione della tradizionale azienda di credito ordinario, specializzata nella raccolta del risparmio e nell’esercizio del credito a breve, in una sorta di banca universale europea. La nuova banca può operare nei diversi comparti del mercato finanziario, diventando in tutti i Paesi europei il perno dell’intermediazione finanziaria nel suo insieme. Ogni ente creditizio è libero di offrire i propri servizi su tutto il mercato europeo, indipendentemente dall’apertura di filiali sui singoli mercati nazionali. Il principio dell’autorizzazione unica comporta, comunque, che una banca autorizzata in un qualsiasi Paese dell’Unione europea possa operare sulla base di quella stessa autorizzazione, in qualsiasi altro Stato membro, applicando le normative del Paese di origine (Capriglione, 1993; Velo, 1993).
Quelle citate sono solo alcune delle leggi che stanno gradualmente modificando la struttura, l’organizzazione e le attività delle banche italiane. Si vogliono ricordare: la ‘legge Minervini’ del 1992 con cui si sono stabilite le norme per la trasparenza degli operatori dei servizi bancari; il ‘Testo Unico delle leggi in materia bancari e creditizia’ (TUB) del 1993 che spazia dalla definizione delle Autorità di controllo e norme sulla finalità e i contenuti della Vigilanza, a quelle sull’attività e l’organizzazione delle banche o ancora quelle sulla trasparenza etc.; il ‘Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria’ (TUIF) del 1998 che regola sostanzialmente l’attività delle Società di Gestione del Risparmio (SGR) (Novello e Novello, 2006).
Dalla definitiva liberalizzazione dello sviluppo delle reti distributive da parte dell’Autorità di Vigilanza è enormemente aumentato il numero degli sportelli bancari (Munari, 1996), aumento nato dall’esigenza delle banche di trovare soluzioni distributive più efficienti e meno costose e che si contrappone alla riduzione del numero degli istituti di
credito da attribuirsi, principalmente, al favorirsi di processi di fusione e incorporazione sopra menzionati.
La dimensione quantitativa del fenomeno sarebbe di per sé sufficiente a far lievitare le pressioni competitive nell’attività bancaria se non fosse accompagnato da alcune caratteristiche qualitative che lo rendono ancor più rilevante. Anzitutto, la distribuzione dei nuovi sportelli non è stata omogenea sul territorio: in alcune aree l’intensità della presenza di sportelli ha raggiunto livelli notevoli, tanto che il motivo di scelta della banca, rappresentato dalla comodità di localizzazione, è passato in seconda linea rispetto ad altri. In secondo luogo, le banche che in passato operavano prevalentemente con grandi filiali e nei grandi centri, hanno aumentato la loro capillarità sul territorio, intensificando la concorrenza su segmenti di mercato tipici di banche di minori dimensioni. In terzo luogo, l’intensificarsi delle concentrazioni e delle alleanze tra banche ha contribuito ad accrescere l’omogeneizzazione dei campi di competizione, ampliando le possibili aree di intervento delle singole unità di offerta. Da ultimo, le modalità di insediamento sono state abbastanza omogenee: è prevalsa la forma degli sportelli leggeri, caratterizzati più dalle dimensioni ridotte che da particolari obiettivi di differenziazione dell’offerta mirata a specifici target di mercato (Munari, 1996).
Queste circostanze, generando in alcune aree una situazione di reale
overbranching, hanno reso sempre più lungo e difficile il percorso necessario per ottenere
ritorni soddisfacenti sugli investimenti effettuati. Di qui una diffusa percezione della necessità di fidelizzare la clientela attuale e di diversificare i canali distributivi, rendendo più ampio e comodo l’accesso ai servizi offerti e riducendone i costi (Munari, 1996).
In questa ipotesi, diventa cruciale il ruolo giocato dalla tecnologia. Durante le ultime due decadi del ventesimo secolo, l’introduzione della tecnologia dell’informazione e della comunicazione (d’ora in avanti, ICT) ha portato cambiamenti significativi nel settore bancario, in termini di operazioni interne e relativamente alla relazione tra la banca e i suoi clienti. L’attività bancaria, essendo caratterizzata da un elevato contenuto informativo, è, infatti, particolarmente soggetta all’influenza di queste tecnologie (Liao et al., 1999; Rajola, 1999; Novo-Peteiro, 2000). In Italia, il settore bancario rappresenta il secondo maggiore utilizzatore di ICT dopo il settore manifatturiero (Canato e Corrocher, 2004). Durante gli anni Novanta, gli enti creditizi commerciali hanno iniziato a focalizzare il loro sviluppo di efficienza interna e di qualità dei servizi offerti attraverso l’implementazione di data
warehousing e di business intelligence systems, customer relationship management e call centers (Rojola, 1999; Mottura; 2002 IN CANATO). Allo stesso tempo, hanno iniziato a
diversificare il loro portfolio e i loro canali distributivi con l’introduzione dell’home banking e dei servizi on line di stock trading (Canato e Corrocher, 2004). La maggiore facilità di accesso ai servizi bancari generata dalla banca a distanza riduce l’importanza della localizzazione come fattore critico di successo nel retail banking (Munari, 1996). Ciò nonostante, a dispetto dell’aumento del numero di ATMs e della crescente adozione di piattaforme ICT da parte delle aziende di credito italiane, la maggior parte delle transazioni continuano ad avere luogo attraverso incontri faccia a faccia nelle filiali retail. I consumatori italiani sembrano, infatti, preferire l’interazione con la propria banca. Sembra, dunque, esserci complementarietà tra i due sistemi distributivi del servizio. Inoltre, l’elevata numerosità delle filiali sottolinea l’importanza di mantenere le relazioni con i clienti già esistenti, prima di tentare di acquisirne di nuovi (Canato e Corrocher, 2004). Di qui, la necessità di fidelizzare un cliente più informato e consapevole.
Tra i tanti mutamenti, degli ultimi anni, intervenuti nei rapporti tra banche e clientela, vi è un progressivo miglioramento della conoscenza e della propensione all’utilizzo dei servizi bancari, a fronte di un mercato finanziario sempre più complesso e in grado di proporre novità e alternative rispetto ai tradizionali prodotti bancari.
Oggi le banche italiane devono confrontarsi con una domanda crescente di soluzioni sofisticate da parte dei consumatori. Consideriamo l’operatore famiglia, su cui si focalizza questa tesi. Il consumatore retail è diventato più selettivo, diversificando i propri investimenti. Il risparmio è stato per decenni accantonato in forme scarsamente remunerative, come i libretti di deposito bancario e i libretti postali. Oggi il risparmiatore può scegliere ,e grazie all’informazione è in grado di farlo, tra opportunità alternative che fino a qualche anno fa non erano disponibili o che comunque non avrebbe mai avvicinato (fondi comuni di investimento, azioni, obbligazioni, titoli esteri, pronti/termine, certficati di deposito in valuta, domestic swaps). L’unica alternativa ai depositi bancari e postali è stata per lunghi anni l’investimento in titoli di Stato. Oggi, invece, i veicoli di investimento sono molteplici e si sono notevolmente allargati il numero e la tipologia di operatori che possono proporli. Per attirare e trattenere i clienti la banca non può che ampliare l’offerta con nuovi prodotti e nuovi servizi, ovvero differenziare in termini qualitativi il proprio prodotto da quello della concorrenza. Il prezzo, ovvero i tassi, non sono più l’unica arma competitiva a disposizione, anzi, le strategie di differenziazione spingono progressivamente verso una non-price competition (Camuffo e Costa, 1995).
La tendenza emergente sembra essere rivolta alla costruzione di una relazione con un intermediario che sappia percepire correttamente le esigenze finanziarie della clientela,
formulando proposte di soluzione ai problemi individuati ed eseguendo prontamente e con la massima precisione le operazioni richieste (Camuffo e Costa, 1995).
Dunque, in un contesto di nuove sfide legate a mutamenti che riguardano: a) l’entità e il profilo delle concorrenza; b) le caratteristiche e il comportamento della clientela, divenuta maggiormente consapevole, volatile e dotata di maggior potere negoziale; c) l’incremento dei canali distributivi e di accesso al servizio bancario, le banche hanno preso atto che: 1) le regole del business sono cambiate, 2) che il valore degli intangible assets, come fiducia e conoscenza, prevarrà sempre più rispetto a quello dei tangible assets, 3) che la rapidità delle trasformazioni richiede strutture flessibili capaci di procedere ad aggiustamenti continui, 4) che occorre investire nel creare relazioni durature con la clientela consolidandole su basi innovative. Occorre però sottolineare l’importanza delle modalità con cui la banca organizza la fase di contatto e, nello specifico, trattandosi di servizi a carattere continuativo e relazionale, come la banca metta a disposizione del front
office le leve organizzative necessarie per gestire il cliente e la relazione, secondo
l’approccio desiderato (Cosma, 2003).
In linea di principio, le scelte organizzative relative alle fasi di erogazione del servizio, finalizzate a perseguire o migliorare il livello di customer satisfaction, richiedono non solo un’organizzazione ‘orientata all’esterno’ ma anche, e soprattutto, l’introduzione di funzioni e ruoli orientati al servizio del cliente e al monitoraggio delle sue esigenze. Il passaggio successivo è l’evoluzione da un’organizzazione market-oriented a una
customer-oriented e richiede una maggiore capacità da parte delle singole banche di
attrezzare le proprie strutture per recepire le esigenze del singolo e per dare la risposta più efficace possibile (Cosma, 2003).
Un’efficace gestione delle relazioni con i clienti richiede, quindi, una conoscenza profonda delle caratteristiche e dei comportamenti dei clienti e, conseguentemente, metodologie, strumenti e tecniche che consentono di ottenere dai dati le informazioni e di valorizzare tali informazioni trasformandole in conoscenza condivisa da porre alla base di ogni decisione aziendale. Siamo di fronte a una trasformazione in termini di filosofia di gestione che per tradursi in risultati concreti richiede l’adozione di un modello integrato di leve di mercato, di strutture organizzative, di meccanismi operativi riformulati in maniera coerente con le nuove priorità, modello definito con un acronimo: CRM (Customer Relationship Management) (Cosma, 2003).
Nel paragrafo che segue approfondiamo brevemente tale modello evidenziandone le due principali componenti: tecnologica e organizzativa. Nel paragrafo 3, prima di
soffermarsi, nel paragrafo 4, sulla dimensione organizzativa e, in particolare, sulle competenze richieste, sembra utile presentarne gli obiettivi, l’orientamento.