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La dimensione epistemologica del processo di creazione della conoscenza organizzativa distingue due principali forme di conoscenza: quella tacita e quella esplicita.

Tale distinzione fu, per la prima volta, introdotta dal filosofo Polanyi nel 1958. Con il termine ’conoscenza esplicita’ egli indicava la parte di conoscenza legata all’astratto, alla teoria; diversamente, la conoscenza tacita era associata all’esperienza. Già in precedenza ci si era concentrati sulla differenza tra la ‘knowledge about’ e la ‘knowledge of acquaitance’ (Spender, 1996), ma, con il concetto di conoscenza tacita, Polanyi aggiunge ricchezza a quest’ultima. La conoscenza tacita è, infatti, come già detto, associata all’esperienza, ma va oltre la ‘consciousness’ freudiana; essa risiede nel sub-conscio e nel pre-conscio del processo di apprendimento (Spender, 1996). Polanyi illustra tale concettualizzazione facendo riferimento alla comune percezione: spesso siamo consapevoli di determinati oggetti senza essere focalizzati su di essi, e ciò nonostante non li rende meno importanti, in quanto formano il contesto che rende possibile e comprensibile la nostra percezione. Secondo Polanyi, inoltre, gli individui hanno una comprensione olistica delle situazioni (tra gli altri: Ancori et al., 2000; Cowan et al., 2000). Partendo da ciò che sostiene lo psicologo Gestalt, Polanyi (1967) spiega, infatti: ‘…Gestalt

psychology has demonstrated that we may know a physiognomy by integrating our awareness of its particolars without being able to identify these particulars…’ (pp. 4-6).

Polanyi basa la propria idea di conoscenza su tre tesi fondamentali:

§ una vera scoperta non può essere spiegata con regole complicate o con algoritmi; § la conoscenza è pubblica e per la maggior parte personale (è creata da uomini e

quindi contiene emozioni);

§ la conoscenza fondamentale è quella che sta sotto la conoscenza esplicita. Tutta la conoscenza è tacita o trova le sue radici in essa.

La conoscenza che può essere espressa in parole e numeri rappresenta, quindi, solo la punta dell’iceberg dell’intero corpo di conoscenza possibile: ‘We can know more

than we can tell’ (Polanyi, 1966, p.4). Mentre la conoscenza esplicita può essere

trasmessa attraverso il linguaggio formale e sistematico, la conoscenza tacita è personale, specifica del contesto, profondamente radicata nell’azione, nell’impegno e nel coinvolgimento, il che la rende difficilmente formalizzabile e comunicabile:

I have tried to demonstrate that into every act of knowing there enters a tacit and passionate contribution of the person knowing what is being known and that this coefficient is no mere imperfection, but a necessary component of all knowledge (Polanyi).

Mentre Polanyi articola i contenuti della conoscenza tacita in un contesto filosofico, Nonaka (1994) espande la sua idea in una direzione più pratica. Attraverso la tabella 2.1 vengono mostrati i fattori che secondo Nonaka e Takeuchi (1997) distinguono la conoscenza tacita da quella esplicita.

Tab. 2.1 Elementi distintivi dei due tipi di conoscenza

CONOSCENZA TACITA (soggettiva) CONOSCENZA ESPLICITA (oggettiva)

§ Conoscenza esperienziale (corporea) § Conoscenza simultanea (qui e ora) § Conoscenza analogica (pratica)

§ Conoscenza razionale (mentale) § Conoscenza sequenziale (là e allora) § Conoscenza digitale (teorica)

Fonte: Nonaka e Takeuchi, The knowledge creating company (1997)

Secondo Nonaka e Takeuchi la conoscenza derivante dall’esperienza tende, come si evince dalla tabella, ad essere tacita, corporea e soggettiva, mentre quella che deriva dalla ragione tende ad essere esplicita, astratta e oggettiva. La conoscenza tacita ha origine ‘qui e ora’ in uno specifico e concreto contesto. La condivisione tra individui di conoscenza tacita avviene attraverso la comunicazione al fine di creare una comune prospettiva e comprensione degli eventi; tale processo è di tipo analogico, ovvero richiede un’elaborazione parallela degli aspetti complessi e delle tematiche condivise dagli individui e un processo simultaneo delle differenti dimensioni di un problema. D’altro canto, la conoscenza esplicita è connessa ad eventi ed oggetti passati, con la dimensione del ‘là e

allora’; mira ad una teoria decontestualizzata ed è una conoscenza discreta o digitale, ovvero catturata in record, quali le librerie, gli archivi, e i database.

L’autore sostiene, inoltre, che la dimensione tacita della conoscenza include elementi cognitivi e tecnici. I primi si fondano su ciò che Johnson-Laird (1983) chiama ‘mental models’, intendendo con tale espressione i modelli provvisori del mondo che gli esseri umani creano costruendo e manipolando analogie nella loro mente. Modelli mentali, schemi, paradigmi, prospettive, credenze e punti di vista aiutano gli individui a percepire il mondo e a definirlo. L’elemento cognitivo della tacit knowledge rappresenta, dunque, una immagine della realtà ed una visione per il futuro. Dall’altro lato, l’elemento tecnico della conoscenza tacita riguarda il know-how, le arti e le abilità applicate ad uno specifico contesto. Tale distinzione tra elemento cognitivo e tecnico all’interno della dimensione tacita della conoscenza viene ripreso, inoltre, da Ancori et al. (2000) al secondo punto della loro categorizzazione della conoscenza tacita. Essi, infatti, distinguono due aspetti della tacit knowledge aventi diversi gradi di impatto sulle attività economiche:

§ il primo, la conoscenza tacita può mostrare la conoscenza specifica degli individui; § il secondo, la conoscenza tacita corrisponde alla conoscenza che non è mobilizzata

(almeno a livello conscio) quando sono condotte alcune attività in un determinato contesto.

Come già visto per il secondo punto, anche per il primo Ancori et al. (2000) si rifanno ad una intuizione di Nonaka (1994). Secondo Nonaka, infatti, il livello fondamentale in cui la conoscenza è creata è quello individuale. Nelle parole di Ancori et al. (2000):

‘…even if they are faced with the same signal or message, agents will costitute differentiated stocks of crude knowledge, which can be considered as tacit knowledge. In this perspective, the concept refers to the fact that what an agent knows is ignored by all the others.’ (p.271). Nemmeno un’organizzazione può, dunque, creare conoscenza senza

gli individui. Le organizzazioni forniscono supporti e contesti adeguati per gli individui creatori di conoscenza (Nonaka, 1994). La creazione di conoscenza organizzativa deve, dunque, essere compresa attraverso un processo che amplifica a livello organizzativo la conoscenza creata a livello individuale e la cristallizza nella conoscenza organizzativa. Mentre il secondo aspetto sarà approfondito successivamente, ci soffermiamo ora sul primo, distinguendo tra conoscenza tacita ed esplicita. Secondo Nonaka (1994) la qualità della conoscenza tacita è influenzata da due fattori. Un primo fattore è la varietà dell’esperienza di un individuo. Se questa esperienza si limita ad operazioni di routine, l’ammontare di conoscenza tacita ottenuta da obiettivi monotoni e ripetitivi tenderà a

decrescere nel tempo. Gli obiettivi di routine limitano, infatti, il pensiero creativo e la formazione di nuova conoscenza. Tuttavia, incrementare la varietà di esperienza non è sufficiente di per sé ad innalzare la qualità della conoscenza tacita. Se l’individuo prova diverse esperienze totalmente incorrelate, ci sarà poca possibilità di integrarle per cerare nuove prospettive. Ciò che è determinante è un’esperienza ad alta qualità che coinvolga una completa ridefinizione della natura di un lavoro. Secondo fattore è rappresentato dalla ‘knowledge of experience’ di cui già si è detto nel secondo paragrafo di questo capitolo. Tali approcci devono essere controbilanciati da un terzo che incrementi la qualità della conoscenza esplicita: la ‘knowledge of rationality’, ovvero, come già anticipato, la capacità di riflettere sull’esperienza. Infine, per aumentare la qualità totale della conoscenza di un individuo l’accrescimento della conoscenza tacita deve essere soggetto a una continua interazione con l’evoluzione degli aspetti rilevanti della conoscenza esplicita (Nonaka, 1994).

Per gli economisti, la distinzione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita ha, dunque, un forte potenziale sul valore operativo. Secondo Ancori et al. (2000), tale distinzione non è, però, sufficiente e, nel loro articolo, approfondiscono ulteriormente i metodi di diffusione e condivisione di conoscenza tacita. Anzitutto, la conoscenza tacita, se sufficientemente differenziata tra gli agenti, dà luogo alla creazione di nuova conoscenza attraverso meccanismi di coordinazione; gli agenti non devono infatti comunicare le proprie routine o abilità percettive, devono semplicemente orientarle ad un comune obiettivo. Diversamente, la conoscenza tacita può essere comunicata. Ciò richiede codici, linguaggi e modelli, ma non sempre questo appartiene al know-how dell’impresa. Parallelamente si notano i vincoli che la codifica pone alla creazione di conoscenza limitandola; tali argomenti saranno però oggetto di uno specifico paragrafo di questo capitolo. In terzo luogo, esistono conoscenze che, nonostante linguaggi e codici siano disponibili, restano inespresse. La differenza con la situazione precedente è che sotto certe condizioni (una storia comune, esperienze condivise, etc.) tali conoscenze tacite sono condivisibili all’interno di una comunità. La dimensione tacita della conoscenza risulta, quindi, nell’analisi di Ancori et al., relativa: ciò che è tacito per un individuo può non esserlo per un altro; allo stesso modo, ciò che è tacito in un determinato tempo, può essere reso esplicitabile in un altro. Si nota, inoltre, una dimensione relativa anche nel modo di dialogare con la conoscenza tacita.

Facile è, inoltre, per Cowan et al. (2000), confondersi e classificare sotto l’etichetta di conoscenza tacita tutta la conoscenza non codificabile. In opposizione agli approcci

prevalenti è la teoria sostenuta da questi autori. Per essi molto poca è la conoscenza tacita e impossibile da codificare; tale conoscenza è inoltre irrilevante per le scienze sociali. L’approccio di Cowan et al. (2000) è ritenuto contradditorio da Johnson et al. che ne fanno una critica dettagliata nel loro articolo del 2002 (vedere Johnson et al., 2002 per approfondimenti).

In conclusione, la conoscenza aziendale può essere definita come l’insieme di ciò che l’azienda sa (conoscenza esplicita) e di ciò che non sa di avere (conoscenza tacita) (Sorge, 2000). Essa viene detta esplicita se riguarda informazioni strutturate come dati, brevetti, documenti e, in senso più ampio, strategie, regole, procedure, ovvero qualcosa di codificato, disponibile e, quindi, tangibile, nonché facilmente trasmissibile e conservabile in quanto se ne conoscono i sottesi processi di raccolta dei dati e di connessione delle informazioni. Si definisce, invece, tacita se riguarda informazioni non espresse in forma documentale come le competenze, i valori, le intuizioni, la capacità, la reputazione, l’esperienza e la conoscenza della singola persona (e di una collettività di persone, come si vedrà nel prossimo paragrafo) che lavora per un’azienda: in altre parole, qualcosa che esiste, ma non è codificato, quindi difficilmente trasmissibile.