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L’IMPRESA E LA TEORIA DELLE COMPETENZE

6. Dal livello individuale al livello organizzativo

In letteratura le competenze vengono studiate a livello individuale (Spencer e Spencer, 1995) e a livello organizzativo (Hamel e Prahalad, 1990). Camuffo (1996, 2000) comprende la necessità di interazione tra i due livelli, tuttavia, non propone alcuna soluzione circa le modalità di dispiegamento di tali meccanismi. E’ vero che esistono contributi teorici interessanti che hanno provato ad integrare queste due dimensioni. Tuttavia, una rimane in genere subordinata e strumentale all’altra (Camuffo, 1996). Carretta et al. (1992), ad esempio, considerano l’individuazione delle sfide strategiche o dei fattori critici di successo come un mezzo per la determinazione della missione da affidare ai jobs, fase preliminare a quella di identificazione delle competenze richieste a livello individuale o di famiglie professionali. Manca, però, una chiara visione di come le competenze individuali entrino nella formulazione della strategia. Per altro verso, i sistemi di gestione delle risorse umane sono considerati lo strumento (Camuffo, 1993) attraverso cui costruire, acquisire, diffondere, proteggere ecc. le competenze organizzative, finalizzandole alla costituzione di vantaggi competitivi duraturi (Warglien, 1992; Lado e Wilson, 1994).

Considerato che le competenze costituiscono dei comportamenti, la componente agita della conoscenza intesa come informazione elaborata e assimilata, fatta propria, sia a livello individuale che organizzativo, un contributo originale e innovativo su come gli individui e le organizzazioni producono conoscenza è quello di Nonaka (1994). Due sono le dimensioni del processo di knowledge creation di Nonaka: la dimensione epistemologica e quella ontologica. Con l’espressione ‘dimensione epistemologica’ lo studioso si riferisce al continuo processo di trasformazione della conoscenza da tacita ad esplicita e viceversa. Tale processo avviene in tutte le organizzazioni e porta, attraverso un ciclo ermeneutica di attribuzione di significati e di creazione di linguaggi, alla creazione di nuove idee e concetti. La dimensione ontologica coglie, invece, l’aspetto dell’interazione sociale (e quindi organizzativa) tra individui che condividono e sviluppano la conoscenza. Sebbene, infatti, la conoscenza sia spesso incorporata nelle singole persone, essa non si produce se non anche tramite interazioni sociali che contribuiscono all’amplificazione e allo sviluppo di nuovi concetti e idee.

Dunque, conoscenza individuale e collettiva interagirebbero, secondo i meccanismi spiegati da Nonaka e Takeuchi, dando origine a nuova conoscenza preposta ad azioni, individuali e collettive, quindi, a comportamenti che, corretti da processi quali quelli esposti da Argyris e Schon (1996) per il livello individuale e da Nelson e Winter (1982) per quello organizzativo, evolverebbero in comportamenti performanti, ovvero in competenze.

Alcuni studi mostrano come attraverso pratiche di HRM adottate in maniera tale da consentire il dispiegarsi dei meccanismi descritti da Nonaka e Takeuchi, si favorisca la creazione di competenze organizzative. In sostanza, i sistemi di gestione delle risorse umane possono (come no) costituire potenti strumenti di apprendimento organizzativo. Le politiche di reclutamento e selezione consentono di arricchire il patrimonio di competenze dell’organizzazione, la mobilità interna costituisce un veicolo importante di diffusione dell’esperienza all’interno dell’organizzazione, i sistemi di compensation e le strutture di incentivi permettono di filtrare le competenze in modo da rafforzare quelle più utili ed eliminare quelle controproducenti ecc.

Lado e Wilson (1994), ad esempio, suggeriscono che le pratiche di HRM ‘can

contribute to sustained competitive advantage through facilitating the development of competencies that are firm specific, produce complex social relationships, …e generate organizational knowledge’ (Lado e Wilson, 1994: 699).

Tuttavia, pochi studi hanno riconosciuto che le organizzazioni tayloriste non sono adatte alla emergente conoscenza sugli obiettivi delle organizzazioni. Dunque, c’è

necessità di un nuovo compito per le HRM, che deve essere centrato sul processo di apprendimento e deve favorire la capacità dei membri dell’organizzazione di contribuire agli obiettivi organizzativi connessi alla conoscenza (Minbaeva, 2007).

Per identificare quali pratiche di HRM possono essere impiegate al fine di aiutare le organizzazioni nell’ottenimento degli output connessi alla conoscenza, Minbaeva (2007) presenta una revisione degli studi empirici rappresentativi basati su casi intrapresi da studiosi di differenti campi di ricerca (HRM internazionale, innovazione, strategia, international business, etc.). Sintetizzando, l’autrice trova che in letteratura è possibile individuare le pratiche di HRM knowledge-driven, il cui uso intensivo favorisce l’output

knowledge-related.

Il passo successivo sta nel determinare quali combinazioni di pratiche di HRM influiscono sul trasferimento della conoscenza. Le pratiche HRM ‘enhance employees’

knowledge, skills, e abilities e thereafter provide a mechanism though which employees can use those attributes in performing their role’ (Huselid, 1995: 645). Dunque, le

organizzazioni interessate nel raggiungimento di migliori abilità individuali dovrebbero adottare quelle pratiche HRM che mirano all’acquisizione, allo sviluppo e al trattenimento di capitale umano, a cui ci si riferisce con il nome di pratiche HRM cognitive (Minbaeva, 2007).

Come già detto, tuttavia, anche dipendenti altamente formati non sono effettivamente performanti se non sono motivati ad esserlo (Huselid, 1995). In realtà, pochi studi si chiedono se gli individui possiedono le abilità necessarie all’apprendimento e se la performance è minore in presenza di una motivazione dei dipendenti bassa o assente (Baldwin, Magjuka e Loher, 1991: 52). In questo contesto, ci sono pratiche di HRM che rinforzano il comportamento dei dipendenti fornendo loro incentivi che consentono di ottenere il comportamento appropriato. Tali pratiche sono chiamate pratiche di HRM motivanti.

Huselid (1995: 637) definisce pratiche di HRM motivanti quelle pratiche che ‘affect

employee motivation by encouraging them to work both harder e smarter’. La revisione

degli studi che viene fatta in Minbaeva (2007), mostra che esiste più o meno un accordo circa l’influenza che le pratiche hanno sulla motivazione dei dipendenti ad essere produttivi. Tra queste ci sono la compensazione basata sulla performance (intesa come comportamento performante, ovvero competenza) e l’utilizzo di un sistema di promozioni interne che si focalizza sul merito dei dipendenti e li aiuta ad oltrepassare barriere invisibili nella crescita professionale (Arthur, 1994; Huselid, 1995; MacDuffie, 1995; Delery e Doty,

1996). Il trasferimento interno, che mira a collocare e trattenere le persone migliori e le loro skills e conoscenze, consente ad una organizzazione di sostenere e accumulare il proprio pool di capitale umano. I programmi di orientamento sono disegnati per aiutare le nuove persone ad adattarsi velocemente al nuovo ambiente e a diventare una parte del grande disegno. Le pratiche di lavoro flessibili e il job design può giovare a quei dipendenti che devono trovare equilibrio tra il proprio lavoro e gli altri aspetti della propria vita.

Altre pratiche organizzative che mirano all’acquisizione, allo sviluppo e al trattenimento di capitale umano e alla sua motivazione sono il team working, la job

rotation, il coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni, la condivisione delle informazioni

etc.

Cabrera e Cabrera (2005), trovano che importanti antecedenti della condivisione della conoscenza includono anche altre cose come la cultura, la giustizia procedurale e il supporto percepito, oltre alla tecnologia. Quindi, gli autori vanno oltre le tradizionali pratiche di HRM; utilizzano, infatti, il termine ‘people management practices (Wright et al., 2001).

La cultura organizzativa può influenzare la condivisione di conoscenza in due modi distinti. Anzitutto, creando un ambiente in cui ci siano forti norme sociali riguardanti l’importanza della condivisione della conoscenza. In secondo luogo, creando un ambiente di attenzione e fiducia, elementi fondamentali per motivare alla condivisione della propria conoscenza con gli altri. Le norme di diffusione della conoscenza possono essere trasmesse attraverso processi di socializzazione, racconti e rituali. In aggiunta per avere forti norme circa l’importanza della condivisione della conoscenza per l’organizzazione , Cabrera e Cabrera sostengono che l’incoraggiamento alla distribuzione della conoscenza richiede la creazione di una cultura di attenzione o di fiducia e cooperazione (Lengnick- Hall e Lengnick-Hall, 2003).

Tra le più citate people management practices che si ipotizza creino tale cultura vi sono la comunicazione aperta, l’egalitarismo, la correttezza nei processi decisionali e il supporto percepito ricevuto dalle organizzazioni, dai co-lavoratori e dal supervisore. Ci si aspetta che tutte queste pratiche influenzino positivamente la dimensione relazionale del capitale sociale, aumentando la fiducia e la cooperazione tra i membri dell’organizzazione e, di conseguenza, incrementando l’aspettativa di reciprocità (si rinvia a Cabrera e Cabrera, 2005).

Anche Ansari e van Neerijnen (2006) sottolineano il ruolo della cultura organizzativa. Essi sostengono che la cultura organizzativa crea un ambiente in cui

‘ognuno può parlare con tutti’, rendendo l’accesso alla conoscenza relativamente facile. La cultura organizzativa può promuovere la comunicazione informale tra differenti membri dell’organizzazione: le interazioni informali e mirate alla risoluzione di problemi sono una delle principali competenze dell’organizzazione. Il modo informale con cui le persone comunicano tra loro all’interno dell’organizzazione e la disponibilità ad aiutarsi l’un l’altro facilita l’accesso a risorse di conoscenza dispersa e context-specific e dà all’organizzazione le ‘self-organizing characteristics’ (Galunic e Eisenhardt, 2001). Questi meccanismi sono racchiusi all’interno della cultura organizzativa e forniscono ai partecipanti uno schema che stipula le regole comuni di comportamento (Eerson, 1999; Brown e Eisnhardt, 1998). Così come tali meccanismi hanno proprietà semi-strutturate, così essi non solo strutturano il comportamento dei partecipanti ma sono anche adattabili all’obiettivo prefisso (Brown e Eisenhardt, 1998).

Ansari e van Neerijnen (2006) sottolineano anche l’importanza di altre due pratiche: il flusso dell’ex personale di ricerca e il principio del working along. Lavorare insieme ad altre persone consente di assorbire la conoscenza tacita e complessa che successivamente può essere integrata nel proprio contesto.

Foss et al. (2006), diversamente dagli altri, sottolineano il ruolo dei clienti e dell’interazione con essi, cruciale antecedente della condivisione di conoscenza. Gli autori esaminano come le imprese possano dispiegare pratiche organizzative che conducono all’utilizzo della conoscenza del cliente con successo. Tali pratiche includono la delega (estensiva) dei diritti decisionali, programmi di condivisione di conoscenza e compensi per la condivisione di conoscenza. La prima pratica aumenta la probabilità che la conoscenza esterna sia portata all’interno dei confini dell’impresa, la seconda incrementa la probabilità che la conoscenza, una volta all’interno dell’impresa, sia distribuita al resto dell’impresa, e la terza incrementa la probabilità che i dipendenti si impegnino nella condivisione di conoscenza (indicando una relazione di complementarietà tra le tre pratiche). Quindi, le imprese possono influenzare l’ammontare di conoscenza assorbita dai clienti attraverso specifiche pratiche organizzative. In altre parole, tali pratiche organizzative precedono la

absorptive capacity (Cohen e Levinthal, 1989; Cohen e Levinthal, 1990).

Come sostengono Spencer e Spencer (1995) e Boyatzis (1982), le competenze sono costituite anche da caratteristiche intrinseche individuali, quali ad esempio l’immagine di sé, le motivazioni, i tratti, le skills e il ruolo sociale.

Il contributo di Nonaka è particolarmente significativo perché costituisce uno schema concettuale che integra i processi di apprendimento individuale e organizzativo e,

allo stesso tempo, la dimensione ontologica fornisce una risposta circa il ruolo giocato dalle caratteristiche intrinseche dell’individuo nella creazione delle competenze organizzative, ovvero, come tratti, skills, immagine di sé e ruolo sociale e motivazioni influiscano sulle interazioni tra competenze individuali e collettive.

7. Conclusioni

Dalle revisione della letteratura svolta nel presente capitolo possono essere tratte alcune considerazioni. La conoscenza è la principale risorsa dell’impresa, e le competenze organizzative includono la creazione, la combinazione e il trasferimento di conoscenza.

La conoscenza è ciò che predispone all’azione e, dunque, una volta corretti gli errori, a comportamenti performanti, a competenze. Queste ultime sono, però, costituite anche da caratteristiche intrinseche dell’individuo. Alcuni studi contribuiscono a spiegare il ruolo che tratti, skills, motivazioni, ruolo sociale etc. hanno nelle interazioni tra competenze a livello micro e competenze a livello macro, evidenziando come l’adozione di pratiche di HRM che incentivino e motivino lo sviluppo di conoscenza all’interno delle organizzazioni possano favorire lo sviluppo e la combinazione delle skills individuali. A tale fine un importante mezzo è costituito dalle relazioni, formali e informali, tra gli individui.

Se, dunque, sembra che si possano richiamare la dimensione epistemologica e quella ontologica dei meccanismi di creazione della conoscenza organizzativa di Nonaka e Takeuchi per la dimensione cognitiva delle competenze, la dimensione ontologica di detti meccanismi spiega come si sviluppano le relazioni, formali e informali, sia tra individui che tra micro e macro level.

Si osserva, inoltre, come molti studi verificano e mostrano l’importanza della condivisione della conoscenza all’interno dell’impresa e tra le imprese, ma pochi riconoscono l’importanza delle relazioni con il cliente privato.

Nel prossimo capitolo ci si focalizzerà su un certo tipo di relazioni, esattamente quelle basate sulla fiducia, quindi sulla loyalty e sulla soddisfazione del cliente. Considereremo anche la letteratura del marketing, cercando di fonderla con quella economica.

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