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In un sistema giuridico multilivello caratterizzato da un modello integrato di ordinamenti, in cui il fenomeno di osmosi tra ordinamenti nazionali e sovranazionali si manifesta con crescente pervasività, l’analisi degli strumenti deputati all’aggressione dei patrimoni illeciti non puòprescindere dalla disamina della normativa europea.

Al riguardo si rende necessaria una breve premessa introduttiva per meglio inquadrare il contesto in cui tale normativa si inserisce.

L’Unione Europea, ai sensi dell’art. 47 TUE , ha personalità giuridica e costituisce un ordinamento unitario. Essa ha potestà legislativa in una serie di materie che gli Stati

membri hanno convenuto di conferire, in virtù del principio di attribuzione149, alla sua competenza, distinguendo tra competenze esclusiva (art. 3 TFUE), concorrente (art. 4 TFUE) e di sostegno (art. 5 TFUE). I criteri che presiedono il riparto di competenze tra Unione Europea e Stati membri, come noto, sono quelli di sussidiarietà 150 e proporzionalità151.

Altrettanto noto èche i rapporti tra il diritto nazionale ed il diritto europeo sono regolati dalle disposizioni contenute negli artt. 10, 11 e 117 Cost., in virtù delle quali lo Stato italiano ha ceduto una parte della propria sovranità all’Unione Europea, impegnando il legislatore e i giudici nazionali ad adeguare il diritto interno a quello europeo. Fra i principi cardine regolanti i rapporti tra l’Unione Europea e gli Stati membri vi è quello del primato del diritto europeo su quelli nazionali che implica la prevalenza del primo sui secondi con non poche ripercussioni critiche sul piano della gerarchia delle fonti del diritto. Elaborato dalla Corte di Giustizia dell’Unione152, tale principio è oggi cristallizzato nella Dichiarazione n. 17 allegata al trattato di Lisbona, ove si afferma che “per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza”. Conseguenza di

149 L’art. 5, §2, TUE dispone che “ del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente

nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”.

150 Il criterio di sussidiarietàsubordina l’intervento dell’Unione europea nelle materie che non sono di sua

competenza esclusiva ad una duplice condizione: a) che gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in maniera sufficiente dagli Stati membri; b) che l‟azione dell’Unione per la sua portata e gli e etti sia i idonea rispetto a quella statale.

151 n osse uio al rinci io di ro orzionalità l’esercizio di una determinata competenza èsubordinato a

tre requisiti sostanziali: - in primo luogo, deve essere utile e pertinente per la realizzazione dell’obiettivo er il uale la com etenza stata conferita; - in secondo luogo, deve essere necessario ed indispensabile, ovvero, qualora per il raggiungimento possano essere impiegati vari mezzi, deve essere quello che arreca meno regiudizio ad altri obiettivi o interessi degni di rotezione criterio di sostituibilità - in terzo luogo occorreràprovare l‟esistenza di un nesso tra l‟azione e l‟obiettivo criterio di causalità).

152

La Corte di giustizia, fin dalla sentenza Costa c. Enel del 15 luglio 1964, ha precisato che la primazia del diritto comunitario trova conferma nella disposizione di cui all‟art. 189 TCE (oggi art. 288 TFUE), disciplinante gli atti giuridici dell’Unione, la quale sarebbe priva di significato se uno Stato potesse annullarne gli effetti con un provvedimento nazionale che prevalesse sulle norme comunitarie: “il diritto

nato dal trattato non potrebbe, in ragione della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risulti scosso il ”.

tale principio èla diretta applicabilità del diritto europeo negli ordinamenti interni153. A fronte di ciò, in caso di contrasto tra la normativa interna e quella europea, il giudice nazionale, al quale è riconosciuto un potere di sindacato diffuso, è tenuto in primo luogo ad interpretare la norma interna in senso conforme a quella comunitaria, in seconda battuta, qualora l’interpretazione non sia possibile, a disapplicare la norma interna a favore di quella sovranazionale154.

I principi suddetti costituiscono le coordinate alla luce delle quali riconoscere e perimetrare la competenza legislativa dell’Unione in materia penale, la cui affermazione si pone in contrasto con con il principio nazionale di riserva di legge di cui agli artt. 25 Cost. e 1 c.p., con il quale difficilmente riesce a coordinarsi.

Le prime aperture verso l’attribuzione all’Unione europea di competenze in materia penale si rinvengono nel Trattato di Maastricht con l’introduzione della struttura a tre pilastri, nel cui terzo pilastro della giustizia e degli affari interni era compreso il settore della cooperazione giudiziaria in materia penale. La costruzione di uno “s azio di

153La diretta a licabilità del diritto comunitario, con il conseguente obbligo della disa licazione della

norma interna contrastante stata riconosciuta dalla Corte di giustizia con riferimento alle disposizioni dei Trattati, con effetti diretti, sia in senso verticale, sia in senso orizzontale, ai regolamenti, che per loro natura comportano effetti diretti, alle direttive alla scadenza del termine di recepimento, nelle parti concretamente applicabili (self-executing), sia pure limitatamente agli effetti diretti verticali, e alle decisioni urc impongano al proprio destinatario un obbligo incondizionato e sufficientemente chiaro e preciso a favore dell’interessato.

154 Con particolare riguardo al profilo della disapplicazione, occorre richiamare la celeberrima sentenza

Simmenthal (Corte di giustizia 9 marzo - in cui stato esplicitamente affermato l‟obbligo del giudice nazionale di disapplicare qualsiasi disposizione interna contrastante con le norme europee, prescindendo da qualsiasi intervento normativo o costituzionale, “posto che, ai sensi dell’art. 189 TCE e della costante giuris rudenza della orte di giustizia delle omunitàeuropee, le disposizioni comunitarie direttamente applicabili devono esplicare, a dispetto di qualsivoglia norma o prassi interna degli stati membri, piena, integrale ed uniforme efficacia negli ordinamenti di questi ultimi, anche al fine della garanzia delle situazioni giuridiche soggettive create in capo ai privati”.

La portata di tali norme impone, pertanto, che “il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito

della propria competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro provvedimento costituzionale” uesta

im ostazione stata ribadita dalla Corte di giustizia nella sentenza Factortame (Corte di Giustizia 19 giugno 1990, causa C 213/89) e nella sentenza Lucchini (Corte di giustizia, 18 luglio 2007, C- 119/05). In particolare, in quest’ultima, il giudice dell’Unione europea ha precisato che il principio della preminenza del diritto comunitario impone l‟obbligo di disapplicazione di qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche uando ci comporta la disapplicazione di “una disposizione di diritto

nazionale, come l’art. 2909 c.c., volta a sancire il principio dell’ di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva”.

libertà, sicurezza e giustizia”, si rese in atti necessaria sia er la i concreta attuazione della libertà di circolazione sull’intero territorio dell’Unione e il conseguente abbattimento delle frontiere interne fra gli Stati membri, sia per contrastare crimini di elevato allarme sociale aventi dimensione transnazionale mediante l’assistenza e lo scambio di informazioni.

L’inserimento nel terzo pilastro conferiva carattere intergovernativo alla materia, in sostanza la sua regolamentazione era sottratta agli atti legislativi propri dell’Unione ma era demandata all’adozione di strumenti di cooperazione rafforzata quali le azioni comuni prima e le decisioni quadro poi.

Altre disposizioni sono contenute poi nel Trattato di Amsterdam.

Successivamente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la celebre sentenza 13 settembre 2005 in materia di reati ambientali riconobbe la competenza dell’Unione ad imporre agli Stati membri, mediante direttive, il ricorso allo strumento penale là dove questo sia necessario al fine di garantire l’efficace attuazione delle politiche dell’Unione europea. Si tratta dei cosiddetti obblighi di criminalizzazione.

Nel 2009, con il Trattato di Lisbona viene abolita la struttura a pilastri e la cooperazione giudiziaria in materia penale èora regolata dagli artt. 83 e ss., avendo incluso “lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, per opera dell’art. 4 TFUE, tra le materie di competenza concorrente dell’Unione. Gli Stati membri, infatti, nel solco di quanto tracciato dalla Corte del Lussemburgo, hanno statuito all’art. 83 che , attribuendo così espressamente all’Unione il potere di imporre degli obblighi di criminalizzazione agli Stati membri mediante il ricorso allo strumento della direttiva, ogniqualvolta ciò si renda necessario per garantire una tutela adeguata ed efficace agli interessi dell’Unione. Ad oggi le misure dell’Unione europea in materia di diritto penale e di polizia sono adottate, ai sensi dell’art. 79 TFUE, dal Parlamento e dal Consiglio su proposta della Commissione (o di un quarto degli Stati membri), mediante lo strumento della direttiva, sono sottoposte alla giurisdizione della Corte di giustizia e, se non attuate, danno luogo a procedura di infrazione nei confronti degli Stati membri inadempienti155.

155 eraltro la s ecialitàdi siffatta materia, ha comportato la previsione di alcune eccezioni. Innanzitutto,

sotto il profilo normativo, il trattato riconduce taluni ambiti specifici della materia in questione nell’ambito della com etenza rimaria o esclusiva statale os in tema di integrazione degli immigrati e

Gli artt. 82, § 3, e 83, § 3, TFUE, prevedono due cc.dd. freni di emergenza, consentendo ad un membro del Consiglio di sospendere la procedura legislativa ordinaria allorché ritenga che un progetto di direttiva incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale Al ine di evitare delle situazioni di stasi revista la ossibilità di ricorrere agli strumenti della cooperazione rafforzata, sempre che vi siano almeno nove Stati membri interessati.

Da ultimo, con la Comunicazione COM (2011) 573, intitolata “Verso una politica criminale europea: garantire l’efficace attuazione delle politiche dell’Unione europea attraverso il diritto penale” la Commissione europea ha presentato delle linee guida per lo sviluppo futuro della politica criminale.

2. La cooperazione europea investigativa e giudiziaria in materia penale: