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Teoria dell’attaccamento e delle relazioni familiari

Nel documento UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 32-41)

1.4 Recenti sviluppi delle ricerche sulle famiglie: complessità come incontro

1.4.1 Teoria dell’attaccamento e delle relazioni familiari

l’analisi della co-emergenza di autonomia individuale e relazionalità familiare.

Nella definizione di famiglia come base sicura, la famiglia è descritta come una rete affidabile di relazioni d’attaccamento che consente a tutti i membri della famiglia a qualsiasi età di sentirsi abbastanza sicuri da spingersi ad esplorare le relazioni che vi sono tra di loro e quelli che essi intrattengono all’esterno della famiglia (Byng-Hall, 1995). Secondo questa prospettiva l’autonomia individuale, viene misurata sulla base delle capacità dei singoli di esplorare e dunque di allontanarsi dal contesto di appartenenza, e tali capacità emergono dai legami di attaccamento che non il singolo genitore, ma l’intera rete familiare, riesce ad assicurare. Byng-Hall considera cioè la sicurezza dei singoli membri come esito dell’intera dinamica familiare.

La necessità di estendere il contesto relazionale in cui si sviluppa la sicurezza, e dunque l’autonomia dei bambini, oltre la diade madre-bambino è stata segnalata da più parti. Gli studi e le ricerche che si sono spinti a connettere la relazione madre-bambino con la relazione padre-bambino e con la relazione tra i genitori hanno trovato che la soddisfazione tra coniugi e il supporto del padre nei confronti dell’attività di cura della madre rivestono un’influenza sulla relazione tra madre e bambino. Ad esempio, i risultati una recente ricerca nell’ambito del riferimento sociale (Venturelli, 2006) hanno evidenziato, supportando alcuni dati già presenti in letteratura in questo ambito (Dickstein, Parke 1988), che il grado di soddisfazione di coppia espresso dalla madre influenza la relazione tra padre e bambino in termini di frequenza di episodi di riferimento sociale messi in atto dal bambino nei confronti del padre.

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Il passaggio da una visione diadica ad una visione familiare del legame d’attaccamento è ormai un dato acquisito, anche se, come sottolinea Carli (1999), tale rideclinazione viene operata secondo due diverse impostazioni: quella multiadiadica e quella sistemica. La prima prospettiva assume la famiglia come sfondo entro cui visualizzare il legame tra due individui, che rimane tuttavia al centro dell’analisi. La seconda ha invece come unità di analisi la famiglia nel suo insieme ed è in essa che viene analizzato il legame di attaccamento, considerato dunque come il frutto di una rete complessa di relazioni che è diversa dalla somma delle singole parti o diadi (Fruggeri, 2005a).

Il legame di attaccamento viene analizzato, non più come l’esito di un rapporto diadico tra l’individuo ed una figura allevante bensì come frutto della rete dei rapporti familiari (Carli, 1999). I bambini da subito crescono in contesti relazionali, Byng-Hall (1995) sottolinea come la protezione non è data dal comportamento di ogni singolo individuo in relazione con il bambino ma dal fatto che il bambino percepisce che i rapporti tra tutte le figure di riferimento più importanti sono tali da assicurargli sempre la protezione; ciò significa che nel momento in cui il bambino si sente rassicurato dalla presenza della madre ma non sente la relazione tra il padre e la madre come confermativa di questa protezione perché conflittuale o poco chiara, il senso di protezione che ne deriva è del tutto parziale. In accordo con questa prospettiva, i risultati delle ricerche di Dunn (1988) mostrano che i bambini comprendono le “politiche familiari” molto prima di essere in grado di riflettere su di esse.

La rete familiare, sostiene Byng-Hall (1995), crea un contesto affidabile, basato su una responsabilità familiare condivisa, che fornisce aiuto e sostegno ai suoi membri in caso di bisogno. Uno dei concetti più innovativi di questa prospettiva, rispetto alla tradizione precedente, riguarda l’affidabilità del contesto estesa a tutti i membri della famiglia. Non è dunque solo il bambino a dover sviluppare sicurezza nel rapporto familiare, ma anche gli altri membri devono stabilire una relazione sicura con lui, attraverso il riconoscimento e quindi la legittimazione del proprio ruolo da parte del resto della famiglia.

In questo senso le relazioni che si sviluppano tra i membri di una famiglia nell’interazione quotidiana, costituiscono il contesto entro cui l’individuo sviluppa la propria sicurezza e dunque la capacità di costruire la sua autonomia (Fruggeri, 2005a).

Attraverso l’analisi degli script, aspettative condivise da parte dei componenti di una famiglia circa il come i diversi ruoli familiari debbano essere rispettati in diversi contesti

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(Byng-Hall, 1995), diventa possibile rilevare l’andamento di tali processi e mettere soprattutto a fuoco se e in quale misura le famiglie si configurano come contesti per lo sviluppo di pattern di attaccamento sicuro e insicuro.

Un ulteriore aspetto innovativo è rappresentato dall’allargamento dell’idea di protezione, contesto fondamentale per la crescita del bambino a partire dalla teoria dell’attaccamento, all’elemento del contenimento, cioè dell’esercizio dell’autorità. La protezione di cui le persone hanno bisogno per crescere è stata identificata con la cura dei bisogni, con il sostegno, con l’aiuto e con la difesa da ogni eventuale minaccia o pericolo. Ma l’esercizio della funzione di protezione comporta che le persone accudenti mettano in atto anche comportamenti che possono risultare sgraditi alla persona accudita, quali i comportamenti che pongono dei limiti all’azione e ai desideri dell’altro.

Il contenimento è cioè una dimensione integrante della cura. Perciò la protezione è necessaria ma non è sufficiente, sono necessarie entrambe le facce in rapporto virtuoso tra di loro. Infine, sia la protezione che il contenimento sono esiti di processi sistemici, come precedentemente sottolineato, non sono semplici comportamenti ma contesti di relazione.

1.4.2. TRIANGOLAZIONE INTERSOGGETTIVA

L’altro approccio che consente di cogliere ulteriori elementi nell’intreccio delle due funzioni dell’autonomia personale e della coesione familiare è quello elaborato dal gruppo di Losanna (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warney, 1999). Tale prospettiva, focalizza l’attenzione sull’intersoggettività, processo attraverso cui i componenti della famiglia giungono a condividere i loro stati interni, come contesto essenziale dello sviluppo individuale. L’intersoggettività è considerata, in altri termini, la condizione che rende possibile ad ogni componente del gruppo familiare di mantenere una relazione con gli altri membri.

In particolare, nel caso della triade paradigmatica genitori e figlio/a l’intersoggettività comporta che genitori e figlio/a:

- siano sempre in relazione tra loro in tutte le possibili configurazioni di un rapporto a tre;

- siano in relazione sia nei contesti emotivi positivi che in quelli negativi, quali le situazioni in cui c’è un conflitto o incertezza;

- siano in relazione a tre secondo modalità appropriate allo stadio evolutivo del figlio;

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Alla base dell’elaborazione di questa prospettiva vi sono alcuni fondamentali presupposti. In primo luogo la definizione triangolare del contesto entro cui viene esercitata la genitorialità. Il rapporto tra un genitore e un figlio non è mai svincolato del rapporto del figlio con l’altro genitore e, in modo più armonico e nelle forme più diverse, non è mai svincolato neanche dal rapporto dei genitori tra loro. Da qualunque punto di vista lo si osservi l’esercizio “del mestiere di genitore” è sempre collocato al vertice di un triangolo. Anche il caso della madre nubile e figlio o quello del genitore vedovo e figlio non possono essere trattati in modo diadico, altre persone significative possono di volta in volta ricoprire il ruolo di terzo. La forma delle relazione è irriducibilmente triangolare (Fruggeri, 2005a).

In secondo luogo, la caratteristica multipersonale dei contesti di sviluppo, tale per cui i bambini quotidianamente si trovano in situazioni interattive triangolari, caratterizzate cioè dall’interazione di tre o più persone.

In terzo luogo, le competenze sociali dei bambini, rispetto alle quali le ricerche condotte dalle autrici testimoniano la presenza di precoci capacità triangolari. I bambini di tre mesi non possiedono soltanto le abilità triadiche, che gli permettono d’interagire con un’altra persona in riferimento ad un oggetto, ma anche capacità triangolari, dove il terzo non è un oggetto o un evento ma un’altra persona a sua volta attivo nell’interazione. L’introduzione di una terza persona invece che di un oggetto, amplia di colpo le possibilità dell’universo psichico ed emotivo del bambino rendendolo assai più complesso. In questo modo si ha la nascita della triangolarità, ossia la capacità di farsi, nella propria mente, un’idea del tessuto delle relazioni in cui si è inseriti, un senso interno della relazionalità. Il bambino non è soltanto immerso in situazioni complesse, ma in esse egli è attivo e può essere l’iniziatore di un adinamica interattiva.

Questa competenza precoce consentirebbe da subito al bambino di stabilire interazioni e relazioni allargate e avrebbe un fondamentale ruolo evolutivo e adattivo, favorendo l’inserimento sociale del piccolo in un contesto complesso quale quello familiare (Fivaz- Depeursinge, Favez, Lavanchy, De Noni, Frascarolo, 2005). I dati di questi lavori hanno contribuito al fiorire di una prospettiva che concettualizza una relazionalità triadica, presente ed in evoluzione fin dalle primissime fasi della vita: tali capacità sarebbero inserite in un percorso non successivo allo sviluppo delle competenze diadiche, ma per lo meno parallele a questo e dotato di caratteristiche proprie (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery 1999). Entro questa prospettiva, lo studio dei modelli interattivi precoci si sposta quindi alla triade madre-padre-bambino, considerata a tutti

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gli effetti un sistema primario nello sviluppo delle competenze interattive nel primo anno di vita.

I rapporti a tre possono assumere diversi tipi di configurazioni, quelle possibili sono quattro. Il metodo utilizzato per la ricerca è il Lausanne Triangular Play (LTP) consiste nel far giocare genitori e bambino in queste quattro possibili configurazioni:

- la madre gioca con il bambino e il padre è presente, ma non direttamente implicato nell’interazione;

- il padre gioca con il bambino e la madre è presente, ma non direttamente implicata nell’interazione;

- genitori e bambino giocano tutti e tre insieme;

- i genitori conversano tra loro in presenza del bambino;

Il gioco viene videoregistrato e analizzato attraverso quattro diverse modalità di lettura: funzionale e clinica, strutturale, del processo, evolutiva (cfr quadro 2.1).

Un ulteriore aspetto innovativo è rappresentato dall’interesse da parte delle Autrici anche allo sviluppo dei processi di triangolazione normativa, ovvero funzionale, piuttosto che alla sola triangolazione problematica, maggiormente studiata in campo sistemico fino a quel momento. A partire da una descrizione a livello macro e microanalitico delle interazioni familiari Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warney si sono proposte di individuare gli schemi stabili di delle alleanze familiari che si sviluppano fin dall’inizio del triangolo primario, al fine di valutare le risorse e gli aspetti di vulnerabilità di una famiglia e di progettare interventi preventivi e terapeutici ad hoc.

Le alleanze familiari, studiate e individuate a partire dall’analisi di triadi familiari con bambini piccoli, non si verificano soltanto in questo tipo di famiglie, né soltanto in famiglie nucleari composte da genitori e figlio, né infine riguardano soltanto le relazione tra genitori e figli. E’ facile vedere come, a partire dal triangolo paradigmatico padre-madre-figlio, si possa procedere all’individuazione di altri triangoli in cui ad esempio il bambino piccolo è sostituito con un figlio adolescente, un genitore con una figura esterna alla famiglia, o delineare triadi familiari composte da genitore biologico e genitore acquisito a seguito di una seconda unione e figli, oppure da madre nubile, figlio e un componente della famiglia d’origine della madre o anche da genitori che sono entrambi maschi o femmine nel caso delle famiglie con coppia omosessuale.

Indipendentemente da quale sia la composizione della triade considerata, l’approccio triangolare enfatizzato dal gruppo di Losanna fornisce un metodo di studio delle famiglie che soddisfa alle esigenze olisitiche senza sacrificare l’osservazione delle

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diverse relazioni che si interconnettono nella rete familiare e che contribuiscono a definire lo stile di funzionamento per quanto riguarda le modalità con cui la famiglia favorisce lo sviluppo dell’individualità intrecciata con la coesione del gruppo (Fruggeri, 2005a).

1.4.3. IL TRIANGOLO COME FORMA MINIMALE DELLE RELAZIONI FAMILIARI

Anche Fruggeri (2002) sottolinea come nella famiglia le situazioni interattive non abbiano mai un carattere esclusivamente diadico, ma si sviluppino e si reiterino in contesti relazionali triadici che presuppongono importanti abilità psicologiche, fondamentali per permettere l’esplorazione matura di ulteriori contesti relazionali.

Alcune di queste abilità sono ad esempio: la capacità di coinvolgersi nel rapporto con l’altro, la capacità di rimanere in posizione marginale senza partecipare attivamente ma rimanendo connessi a livello di partecipazione emotiva, la capacità di interagire con due partner contemporaneamente senza sottrarsi né escludere nessuno, e la capacità di costituirsi per l’altro “base sicura” . In particolare, questa Autrice (Fruggeri, 2005a) si connette alle due recenti prospettive teoriche illustrate, a partire dai presupposti metodologici delineati in precedenza, formulando ulteriori e interessanti costrutti e modelli di indagine nello studio delle famiglie.

Per quanto riguarda la teoria dell’attaccamento e delle relazioni familiari (parag), ciò che viene sottolineato rispetto all’esigenza emersa di coniugare controllo e affetto e autorità e cura, quali componenti necessari per garantire la protezione, è la collocazione di tali problematiche nel contesto sistemico dei rapporti familiari. Il passare da una dimensione affettiva a quella più prescrittiva, dalla disponibilità alla limitazione risulta infatti un operazione difficile se vista nel contesto diadico di un genitore e figlio/a; tale movimento appare invece come una danza con passi coordinati e alternanza di posizioni, se visto nel contesto triadico di entrambi i genitori e il figlio e la figlia (Fruggeri, 2005a).

Per quanto riguarda la prospettiva della triangolazione intersoggettiva (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery, 1999), Fruggeri (2002, 2005a) propone un approfondimento relativo alla complessità delle interazioni triangolari.

In particolare, nelle situazioni triangolari (la cui esemplificazione delle possibili forme è rappresentata dal Lousanne Triadic Play), padre, madre e figlio si trovano di volta in volta in situazioni interattive diverse: nella posizione di chi è direttamente

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coinvolto con un altro membro; nella posizione di chi osserva gli altri due impegnati in uno scambio reciproco o è periferico rispetto a tale scambio; nella posizione di chi interagisce contemporaneamente con tutti gli altri. Tali situazioni implicano un coordinamento a tre che rimanda ad importanti abilità psicologiche quali: la capacità di stare nel rapporto con un altro, quella di strane fuori e quella di interagire con due partner contemporaneamente senza sottrarsi né escludere nessuno.

Ogni posizione richiede abilità differenti e complementari rispetto quelle degli altri membri, infatti, da una parte, quella di stare nel rapporto è una capacità individuale che si configura come prestare attenzione, rispondere ai bisogni dell’interlocutore, provare risonanza emotiva con l’altro lasciando il terzo in posizione periferica, evitando cioè di sollecitarlo a partecipare allo scambio diadico di cui si è protagonisti; dall’altra parte la capacità di stare in un rapporto può essere favorita o ostacolata dalla posizione assunta dal terzo periferico che specularmente può tollerare di rimanere ai margini o invece non trattenersi dall’intervenire o anche assentarsi. Inoltre, chi non è direttamente coinvolto nello scambio comunicativo rimane connesso agli altri attraverso la partecipazione emotiva, ma la sua posizione marginale sarà tanto più facilmente mantenuta quanto più l’interazione degli altri sarà percepita come armonica. Per quanto riguarda invece l’interazione a tre, la capacità di interagire con più di un interlocutore implica che ciascuno eviti di catturare uno degli interlocutori all’interno di uno scambio diadico, escludendo così il terzo; ma ciò è anche facilitato dalla condizione che nessuno escludendosi all’interazione, finisca con l’autorizzare gli altri ad intrattenere uno scambio diadico (Fruggeri, 2005a). Come è possibile evincere da queste considerazioni la forma triangolare è una forma che si colloca a un livello diverso da quello della forma diadica. La triade non è costituita da una diade più uno; essa comporta relazioni complesse: relazioni di relazioni.

Nella vita quotidiana le diverse configurazioni interattive che la caratterizzano non si costituiscono come momenti tra loro segmentati, esse si succedono secondo sequenze continue. Ciò significa che le pratiche quotidiane sono caratterizzate da diverse forme di interazione triangolare ma anche da transizioni che scandiscono il passaggio da una forma di interazione triangolare ad un’altra. La micro-analisi di queste particolari fasi del gioco relazionale ha evidenziato la presenza di due momenti entrambi significativi e tra loro interrelati: uno di decostruzione della configurazione precedente e uno di costruzione della nuova configurazione. Questo significa che la gestione delle relazioni triadiche non implica soltanto la capacità di stare dentro e stare fuori dalle relazioni, ma

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anche quella di entrarci e di uscirne. Quest’ultima capacità viene definita da Byng-Hall come la più complessa o più matura. Infatti, il passaggio da una configurazione all’altra, prevedendo l’abbandono e lo svincolo da quella precedente prima d’impegnarsi in quella nuova può evocare la paura di essere esclusi, abbandonati.

Anche in questo caso, l’adozione di un approccio triangolare per l’analisi dei rapporti familiari permette di cogliere ulteriori elementi nell’intreccio delle due funzioni dello sviluppo dell’autonomia personale e del mantenimento della coesione familiare.

Nello specifico, Fruggeri (2002) sottolinea come nella famiglia la gestione delle transizioni tra le diverse situazioni interattive rappresenti un momento particolarmente rilevante nel corso del quale si sviluppano le competenze relazionali di tutti i soggetti coinvolti. Nel contesto triadico delle routine quotidiane, il momento della transizione è cruciale per lo sviluppo del bambino perché implica una situazione di separazione che deve essere affrontata in un contesto adeguato. E’ importante che il bambino non viva la separazione esclusivamente come un’esperienza traumatica, bensì come un occasione per stimolare la crescita e per ampliare le proprie opportunità relazionali. Gli aspetti positivi dell’esperienza del distacco vengono sicuramente enfatizzati se questa tematica viene affrontata adottando un’ottica triadica. Il distacco vissuto in un contesto diadico può infatti facilmente assumere il significato di abbandono e vuoto in quanto per ognuno dei soggetti coinvolti c’è il passaggio da un interazione a due ad una situazione di solitudine. Il distacco collocato nella dinamica triadica si configura, invece, come elemento complementare dell’affidamento e dell’accoglienza: ci si allontana da una persona per coinvolgersi nella relazione con un'altra. L’interazione triangolare, invece, permette l’attuazione di una dinamica interattiva che si articola attraverso quattro processi complementari e intrecciati tra loro: svincolo-affidamento-accoglienza-coinvolgimento (Fruggeri, 2002).

Nel corso di una situazione interattiva in cui due persone (A e B) sono direttamente implicate in uno scambio comunicativo mentre un’altra (C) è in posizione periferica: A si defila dall’interazione diretta (Svincolo) e con la comunicazione non verbale sposta l’attenzione di B verso C, preparandosi ad assumere una posizione periferica per quanto emotivamente connessa (Affidamento). C nel frattempo si dispone ad entrare nello scambio diretto segnalando con il linguaggio sia verbale che non, la disponibilità ad implicarsi (Accoglienza) e comincia ad intrattenere una relazione con B improntata sulla risonanza emotiva e sulla condivisione dell’impegno (Coinvolgimento), mentre A mantiene una posizione di osservatore connesso.

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Tale dinamica rappresenta il contesto sicuro in cui fare l’esperienza protetta della separazione ovvero dello svincolo. Ancora una volta, adottando la forma triangolare emerge la diversità di scenario che comporta l’introduzione di un terzo, rispetto a alle dinamiche interpersonali tipiche delle interazioni diadiche. Attraverso la descrizione della dinamica triangolare, emerge inoltre come sia possibile parlare altresì di coordinazione triangolare, che fa riferimento a una forma interattiva secondo la quale un componente della famiglia si coordina con il comportamento di un altro componente, che a sua volta interagisce con un terzo (Westermann, Massoff, 2001)

In alcune famiglie, tale esperienza può avvenire attraverso l’intreccio di questi processi configurandosi come un contesto sicuro che costituisce una delle condizioni per il raggiungimento dell’autonomia personale. In altre famiglie, invece, l’esperienza del distacco può avvenire con modalità e in contesti interattivi per niente rassicuranti, in cui lo svincolo può assumere i toni minacciosi dell’abbandono o quelli ambigui dell’invischiamento (Minuchin, 1974).

L’interiorizzazione di questa dinamica prefigura la possibilità di moltiplicare i contesti relazionali. L’interiorizzazione delle modalità interattive esperite nella relazione triadica, che permangono quindi anche in assenza degli attori in uno spazio e tempo determinati, garantisce la continuità dei legami e pertanto permette ai soggetti coinvolti di approdare a nuovi coinvolgimenti, a nuovi contesti relazionali. Anche Byng-Hall (1995) afferma che quando ogni componente della triade è in grado di tenere in mente gli altri e di sentirsi contenuto nella mente degli altri, è possibile aggiungere altre persone alla triade.

Riassumendo, l’importante funzione genitoriale della sicurezza, garantita sia dalla cura/protezione e dall’autorità/contenimento, non è di per sé sufficiente ad accompagnare lo sviluppo del bambino, ma ad essa si aggiunge anche l’importanza di sperimentare lo svincolo in un contesto sicuro. La dinamica triangolare di svincolo-affidamento-accoglienza-coinvolgimento, descritta, costituisce il contesto per l’apprendimento della capacità di entrare e uscire dalle interazioni a cui è connessa la capacità di coinvolgersi in nuove relazioni costituisce, come la struttura di cura e autorità, l’esito di processi familiari. Infatti, la famiglia che realizza l’intersoggettività triangolare fornisce il contesto entro cui sperimentare lo svincolo protetto (Fruggeri, 2005a).

Nel documento UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 32-41)