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Il comportamento del lavoratore e i suoi limiti esiment

Nel documento Responsabilita colposa del lavoratore (pagine 99-104)

RESPONSABILITA’ DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO E COMPORTAMENTO COLPOSO DEL

2. Il gestore del rischio e il concetto di area di rischio.

2.3. Il comportamento del lavoratore e i suoi limiti esiment

Per valutare la rilevanza del comportamento del lavoratore come causa esimente per la responsabilità del lavoratore è utile dividere la questione in due campi d’indagine , si dovrà innanzitutto compiere una

summa divisio tra il comportamento tenuto dal lavoratore fuori dalle

proprie mansioni o nello svolgimento delle stesse.

Il comportamento tenuto al di fuori ha sempre efficacia escludente la responsabilità del datore di lavoro perché è ritenuto estraneo all’area di rischio propria dell’attività lavorativa.

Per quanto attiene invece al comportamento tenuto nell’ambito delle mansioni occorre precedere ad una ulteriore distinzione, basata sulla prevedibilità oggettiva della condotta.

Quindi soltanto il comportamento che risulti del tutto imprevedibile per il datore di lavoro ha efficacia esimente, mentre è irrilevante il

comportamento prevedibile.

Dunque sarà necessario compiere una indagine approfondita sulle modalità di esecuzione della condotta, diretta ad accertare la sua eventuale anomalia nel caso concreto.

Dall’altra parte, la rilevanza del comportamento del lavoratore, può essere considerata alla luce degli obblighi che incombono sul datore di lavoro.

La giurisprudenza, secondo l’interpretazione unanime dei testi normativi207, riconduce la responsabilità del datore di lavoro per infortunio del lavoratore sostanzialmente all’inadempimento di due

207

Cass. Pen., sez. III, 2-3-2000, Barbieri, in Cass. Pen.; n. 2803; Cass. Pen., sez. IV, 23-1- 2008, Timpone, in Cass. Pen.; 2008, 1399; Cass. Pen., sez. IV, 26-5-2009, n. 32193 in www.italgiure.it; Cass. Pen., Sez. IV, 18-3-2009, n. 26344 in www.italgiure.it.

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obblighi di garanzia: un obbligo specifico di predisporre tutti i mezzi idonei a far fronte al rischio preventivamente individuato, e un obbligo generico di vigilare sul rispetto delle norme per la prevenzione da parte dei prestatori di lavoro.

Affermando che assume rilevanza interruttiva nell’accertamento causale sia la condotta esorbitante, cioè tenuta al di fuori delle specifiche mansioni del lavoratore, che la condotta abnorme, cioè posta in violazione delle direttive ricevute con modalità eccezionale ed assurde da ritenersi imprevedibile; rimanendo da stabilire se tali condotte abbiano efficacia esimente la causalità solo rispetto alla violazione dell’obbligo di vigilanza o anche nel caso in cui il garante abbia omesso di adottare i necessari dispositivi per la sicurezza. Mentre non si pongono dubbi in riferimento all’efficacia della condotta esorbitante, esimendo la responsabilità del datore di lavoro anche nel caso in cui egli abbia omesso di adottare dispositivi di sicurezza. Muovendo dal presupposto che il lavoratore, dedicandosi consapevolmente ad una mansione diversa da quella di sua specifica competenza, fuoriesca dall’area di rischio dalla quale il datore di lavoro aveva l’obbligo di tutelarlo, l’eventuale omissione del datore di lavoro diventa irrilevante, poiché se anche egli avesse predisposto tutti i mezzi dovuti, comunque non avrebbe potuto evitare la concretizzazione del rischio diverso, cui il lavoratore si è autonomamente esposto.

Così si esprime la Corte: “il datore di lavoro, al quale possa

rimproverarsi di non aver fatto tutto ciò che la legge gli impone di fare a tutela della incolumità di un lavoratore, non risponde, dunque, della lesione di questa incolumità, dell’evento, se il lavoratore, addetto a un certo lavoro e, quindi, esperto di quel dato lavoro rispetto al quale il datore di lavoro non ha fatto, in termini antinfortunistici ciò che avrebbe dovuto fare – si dedichi, per propria iniziativa, ad altro, si dedichi ad altra macchina, ad altro settore, se esorbiti, cioè, rispetto

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al procedimento di lavoro che gli è proprio e qui, per avventatezza, negligenza, disattenzione, si provochi delle lesioni o addirittura determini la propria morte. In questo caso infatti,” continua la Corte “non vi è alcun dubbio che la condotta del lavoratore si ponga come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, si ponga come serie causale autonoma rispetto alla precedente condotta omissiva del datore di lavoro che non abbia informato o istruito quel lavoratore sulle norme antinfortunistiche proprie o del lavoro allo stesso affidato o che non abbia vigilato o controllato che quel lavoratore osservasse quelle norme”208

.

Lo stesso filone interpretativo afferma che la condotta posta in essere nell’ambito delle mansioni, ancorchè imprudenti o negligente, non esclude la responsabilità del datore di lavoro salvo che egli provi da un lato, l’anomalia della condotta del prestatore e dall’altro, di aver rispettato tutte le norme di prevenzione209.

La questione diventa maggiormente problematica quando si tratta di stabilire l’efficacia della condotta abnorme nella prospettiva adottata dall’orientamento che conferisce rilievo alla condotta tenuta nell’ambito delle mansioni ma con modalità tali da creare una situazione di rischio nuova, imprevedibile per il datore di lavoro. La logica farebbe propendere perché una condotta di questo tipo abbia efficacia esimente la responsabilità del datore di lavoro anche nel caso in cui abbia violato gli specifici obblighi di tutela.

208

Cass. Pen., sez. IV, 3-6-1999, Grande, n. 12115, in www.iurisdata.it.

209

Cass. pen., sez IV, 3-61999, Grande, n.12115, cit., la Corte afferma: “le cose stanno,

invece, diversamente allorchè il lavoratore sia avventato, imprudente o negligente mentre è dedito al lavoro affidatogli: in questo caso il datore di lavoro può invocare l’imprevedibilità o la abnormità del comportamento del lavoratore e, quindi, indicare questo comportamento come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento soltanto se è in grado di provare in modo certo e irrefutabile di aver fatto tutto ciò che la legge gli impone in materia antinfortunistica perché la incolumità del lavoratore venga assicurata”.

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Poiché dovrebbe valere lo stresso ragionamento compiuto rispetto alla condotta esorbitante, essendosi determinata una situazione di rischio nuova, la precedente omissione del datore di lavoro verrebbe ad essere svuotata di qualunque efficacia impeditiva.

La giurisprudenza maggioritaria si pronuncia in senso contrario affermando che la condotta abnorme, nel senso sopra indicato, esclude la responsabilità del datore di lavoro solo se egli ha fornito tutti gli adeguati mezzi di protezione e, quindi, si possa formulare nei suoi confronti solo un riprovero per omessa vigilanza del lavoratore. Riprendendo l’esempio del lavoratore che per portare a compimento il proprio lavoro, si è avvalso di un mezzo improprio, nonostante fosse regolarmente presente il proprio, la Corte afferma che: “Quando in un

caso come quello di specie la condotta tenuta da due lavoratori è del tutto imprevedibile, il rischio che determina non è governabile, tanto da conferire forza eziologica esclusiva alla condotta imprudente dei due lavoratori tra cui la vittima”210

.

Quindi, la Corte conferisce efficacia causale escludente la responsabilità del datore di lavoro alla condotta del prestatore, argomentando sulla imprevedibilità di questa, ma, si noti bene, nel caso in esame, la responsabilità del datore di lavoro era riconducibile solo ad una presunta violazione dell’obbligo di vigilanza e non anche alla omissione di specifici dispositivi perché il datore di lavoro aveva fornito il regolare mezzo di sollevamento. Al contrario il caso di violazione di specifici obblighi di prevenzione da parte del datore di lavoro, ovvero di omissione dei mezzi di protezione necessari per il sicuro svolgimento dell’attività lavorativa, la condotta ancorchè abnorme, non esclude la responsabilità del datore di lavoro poiché viene svuotata dal carattere della imprevedibilità. In questa ipotesi, argomenta la Corte, si ritiene che il lavoratore sia stato indotto a tenere la condotta anomala (ad esempio, l’uso di un mezzo

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improprio) dalla mancanza dei dispositivi regolari e, dunque, la situazione di rischio diversa sia stata comunque innescata dalla precedente omissione del datore di lavoro e a lui riconducibile211. In conclusione: rispetto alla violazione dell’obbligo specifico di predisporre un certo accorgimento antinfortunistico, è interruttiva del nesso causale solo la condotta tenuta dal lavoratore esorbitando dalle proprie mansioni; rispetto alla violazione dell’obbligo di vigilanza generico (quando non concorra anche la violazione dell’obbligo specifico), è interruttiva del nesso causale anche la condotta tenuta nell’ambito delle mansioni purchè sia ugualmente prevedibile. La vera novità apportata dall’orientamento della abnormità riguarda proprio l’obbligo di vigilanza212

.

Il datore di lavoro non ha più un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione egli non risponderà dell’evento derivante da una condotta imprevedibile negligente del lavoratore. Pertanto, la portata della efficacia esimente riconosciuta al comportamento abnorme riguarda soltanto l’obbligo di vigilanza e non anche l’obbligo specifico di fornire i mezzi di protezione.

La questione è ancora largamente dibattuta ma alla luce degli esiti che emergono dalle pronunce sopra esaminate si può sottolineare come l’apertura dalla giurisprudenza verso un riconoscimento della rilevanza della condotta colposa del lavoratore sia meno ampia di come possa sembrare ad una prima analisi.

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Cass. Pen., sez. IV, 9-3-2007, n. 10109, in www.dirittoegiustizia.it, la Corte afferma:

“Peraltro in ogni caso, nell’ipotesi di un infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quella cautela che, se adottate, sarebbere valse a neutralizzare il proprio rischio di siffatto comportamento”. Vedi Cass.

Pen., sez. IV, 21-10-2005, n. 38840, in Guida al diritto, 2006, p. 88.

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Nel documento Responsabilita colposa del lavoratore (pagine 99-104)