LA COLPA DEL LAVORATORE
1. Un corretto accertamento
Un esempio di corretto accertamento dell’evento, ci viene, dall’interessante Sentenza della Corte d’Appello penale di Roma220
,
“la condotta del lavoratore può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità quando presenti i caratteri dell’abnormità o della imprevedibilità rispetto al procedimento lavorativo e dalle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento”.
Nella fattispecie l’organo giudicante di secondo grado ha ritenuto che l’infortunio fosse stato determinato da una irrazionale ed imprevedibile condotta della stessa vittima del sinistro e quindi da una abnorme azione del lavoratore, postasi come causa esclusiva dell’evento. Nel caso di specie l’operaio, addetto alla pulizia e lavoratore esperto, era intento, in un giorno di pioggia in una attività di lavaggio di vetri dall’esterno del settimo piano dell’edificio e in particolare operava senza cintura di sicurezza, su vetrate così dette “a vasisitas” quando scivolò precipitando a terra così procurandosi lesioni tali da causarne la morte.
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All’imputato è stato contestato di aver omesso di curare che venissero adeguatamente valutati i rischi per la effettuazione della pulizia dei vetri nell’ambito del cantiere e che venissero fornite adeguate formazione ed informazione nei confronti del capo cantiere e di tutti gli altri dipendenti presenti sul posto di lavoro, in violazione dell’art. 77, comma 5, lett. a), D. Lgs. n. 81/2008.
Nello specifico è stato contestato al Procuratore della sicurezza di non aver adeguatamente addestrato il lavoratore in merito all’uso della cintura di sicurezza il cui utilizzo non sarebbe stato idoneamente previsto nel D.V.R.221 né nel piano di sicurezza.
Va qui subito rilevato che la cintura di sicurezza per altro non poteva essere utilizzata per mancanza in loco di un organo ove poter agganciare la fune di trattenuta della cintura stessa.
Gli elementi emersi nel corso della istruttoria dibattimentale, valorizzati dal secondo giudice, indicavano che il lavoratore, mentre stava per accingersi ad effettuare il lavoro di pulitura dei vetri della stanza sita al settimo piano dell’edificio, precipitava dal balconcino della stanza medesima posto a circa venti metri dal suolo; tale evento è stato così ricostruito anche sulla base del rinvenimento di un secchio sulla parete esterna alla altezza delle due finestre da pulire. Il lavoratore sarebbe quindi salito in piedi sulla ringhiera, larga pochissimi centimetri, dal balconcino fissata a pochi centimetri dalla parete dell’edificio, quando scivolò probabilmente per la pioggia che cadeva in quel momento.
Il lavoratore che doveva pulire le due finestre “a vasistas” che ben potevano essere pulite dall’interno della stanza, in quanto sarebbe stato sufficiente sganciare il limitatore di apertura per ottenere una completa apertura a novanta gradi per procedere alla pulizia con una semplice scala, un secchio e una asta per detergere i vetri.
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Così ricostruiti i fatti, l’addebito è stato ritenuto insussistente, sotto tutti i profili222. Con riferimento alla contestata omessa formazione ed informazione dei lavoratori sull’uso delle cinture di sicurezza, il cui utilizzo nemmeno sarebbe stato previsto nel D.V.R., si è pervenuti alla assoluzione dell’imputato sul presupposto della insussistenza di tale addebito nel caso concreto.
In vero, le cinture di sicurezza non potevano comunque essere utilizzate nella pulizia delle due finestre in questione in mancanza di un organo di vincolo, né il lavoratore, e coerentemente, ebbe, quel giorno e in quella operazione, ad utilizzare cintura alcuna. Per contestato omesso addestramento nonché alla contestata omessa valutazione del rischio nella pulizia delle vetrate “a vasistas”, la Corte ha apprezzato la produzione documentale dell’imputato, in apertura del dibattimento di primo grado, attestante la consegna da parte del datore di lavoro di un manuale sulla sicurezza, sottoscritto per ricevuta dal lavoratore vittima del mortale infortunio.
Inoltre il secondo giudice ha valorizzato le testimonianze di altri lavoratori e preposti i quali avevano riferito che proprio il lavoratore medesimo era addestrato e particolarmente esperto in quanto, nel periodo precedente il sinistro, aveva affiancato il capo cantiere nella attività. Inoltre gli stessi testi avevano chiarito che le modalità di pulizia delle finestre dall’interno dell’edificio, erano ben conosciute dal personale.
Trattandosi quindi di un lavoratore esperto e scrupoloso sul lavoro con ottime qualità personali tanto che proprio per tali sue qualità era stato scelto per sostituire il capo cantiere prossimo al pensionamento. Il Collegio, ha preso in considerazione un aspetto, solo accennato dal giudice di prime cure, attinente al rapporto di causalità tra la condotta omissiva contestata e l’evento (su questo aspetto si concentrerà il proseguo dell’opera).
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La Corte parte dalla necessità del corretto inquadramento del caso concreto in relazione alla attività lavorativa in corso: afferma la Corte:
“la concreta attività svolta dal lavoratore al momento dell’incidente non vi era alcun rischio di caduta dello stesso”223
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E’ stato dunque il lavoratore con la sua imprevedibile decisione di pulire i vetri dall’esterno a porre in essere una condotta abnorme, tanto più abnorme se si considera che quel giorno, pacificamente, imperversava un temporale e ciò, oltre a rendere ancora più incredibile e pericolosa la condotta del lavoratore, rendeva la pulizia dei vetri esterni addirittura inutile.
Pertanto anche qualora si fosse potuto ravvisare un deficit di formazione da parte dell’azienda, la abnorme e imprevedibile condotta del lavoratore si sarebbe posta in ogni caso come una causa esclusiva dell’evento verificatesi.
La soluzione assolutoria è stata raggiunta proprio alla luce della ricostruzione dei fatti compiuta in sede dibattimentale e tali fatti sono stati considerati nell’ambito del necessario ragionamento contro fattuale.
La decisione in commento si segnala, dunque, anche per la corretta valorizzazione delle risultanze dell’istruttoria: l’evento è stato conseguenza dell’irrazionale iniziativa assunta dal lavoratore che ha scelto, arbitrariamente, di tenere un comportamento che non garantiva alcuna sicurezza per la propria incolumità, perché illogico, imprudente e imprevedibile.
Il giudizio di prevedibilità dell’evento lesivo investe tutte le parti che al sistema partecipano, sulle quali tutte in effetti grava l’onere di realizzare una condotta connotata da diligenza, prudenza, perizia e dal rispetto delle norme in materia di sicurezza e prevenzione sugli infortuni sul lavoro. La Corte richiama, del resto, i più recenti arresti giurisprudenziali. In effetti recentemente si segnala una maggior
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attenzione, anche nella giurisprudenza di merito, in ordine alla tematica del nesso di causa nella colpa omissiva e nella condotta abnorme del lavoratore è stato affermato che “può essere considerato
imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo in comportamento posto in essere del tutto autonomamente e in ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quelle che rientrino nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente lontano dalle ipotizzabili, e quindi, imprevedibili e imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro”224
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Si segnala una conforme sentenza di merito di cui di seguito riportiamo la massima: “Per interrompere il nesso causale occorre un comportamento del lavoratore che sia anomalo e imprevedibile e, come tale, inevitabile; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro.
Si deve trattare in altri termini, di un comportamento del lavoratore definibile come abnorme, che, quindi per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte alla applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
L’ipotesi tipica è quella del lavoratore che violi con consapevolezza le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare. Altra ipotesi è quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, una attività del tutto estranea al processo produttivo e alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento esorbitante rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile “ed inevitabile” per il datore di
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Cass. Pen., sez. IV, 13 ottobre 2004, n.40164; Cass. Pen., sez. IV ,5 febbraio 1997, n. 952 ; Cass. Pen., sez. IV, n. 17498 /2008 ; Cass. Pen., sez. IV, 19381/2007. e più recentemente, Cass. Pen., IV, 23 febbraio 2010, n. 7267.
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lavoro come “ad esempio nel caso che il lavoratore si dedichi ad una altra macchina d un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad un altro lavoratore”; ovvero nel caso in cui il lavoratore, pur nello svolgimento delle mansioni proprie, abbia assunto un atteggiamento radicalmente lontano dalle ipotizzabili, e quindi, prevedibili imprudenze comportamentali (nel caso di specie il lavoratore aveva posto in essere l’azione di accedere posteriormente all’interno del corpo della macchina per poi avvicinare le mani ai cilindri trascinanti, condotta mai attuata prima ne vista effettuare dagli altri dipendenti, in violazione delle prescrizioni del datore di lavoro in punto di pulizia dei rulli)225.
Anche questa decisione riveste interesse in quanto valorizza le modalità concrete di accertamento del sinistro e altre rilevanti circostanze emerse nel corso della istruttoria dibattimentale (il fatto che l’azione posta in essere in occasione del sinistro non fosse mai stata effettuata prima nemmeno dallo stesso lavoratore infortunato, che nessuno dei dipendenti l’avesse mai posta in essere, che l’infortunato medesimo non avesse mai visto fare nulla di simile).
Rimane il principio generale in forza del quale l’imprenditore è esonerato da responsabilità solo e soltanto quando il comportamento del dipendente sia tale da porsi inequivocabilmente nelle modalità concrete di attuazione, come causa esclusiva dell’evento (a nulla rilevando, per esclusione la responsabilità penale del garante, l’eventuale concorso di colpa).
Il comportamento del lavoratore deve essere tale, per la sua stranezza e imprevedibilità, da porsi “al di fuori di ogni possibilità di controllo da
parte delle persone preposte alla applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro”226
.
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Tribunale di Piacenza,sentenza del 5 aprile 2011, n. 309.
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Ma come anticipato in precedenza, intendiamo soffermarci in particolare sull’analisi dell’esito assolutorio della decisione in commento in rapporto alla tematica della causalità nella colpa omissiva. Si premette quindi alcune osservazioni, sulla base dei principi giurisprudenziali affermati recentemente sul tema.
La causalità omissiva, “proprio per essere giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce una causalità costruita su ipotesi e non su certezze.
Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva su un giudizio contro fattuale (“contro i fatti”: se l’intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe adottato il prodursi dell’evento) al quale si fa ricorso per ricostruire una sequenza che però, a differenza della causalità commissiva, non potrà mai avere una verifica fenomenica che, invece, nella causalità commissiva è in talune ipotesi (non sempre però: si pensi alla responsabilità medica) verificabile.
In questo caso si è detto, il rapporto si istituisce tra una entità reale (l’evento verificatesi) e una entità immaginata (la condotta omessa) mentre nella causalità commissiva il rapporto è tra due entità reali. La giurisprudenza ha ancora precisato che proprio perché nei reati omissivi si è in presenza di un “nulla” la condotta doverosa che avrebbe potuto in ipotesi impedire l’evento deve essere rigorosamente descritta, definita con un atto immaginativo fondato precipuamente su ciò che accade solitamente in situazioni consimili ma considerando anche le specificità del caso concreto ( v. Cass. Pen., sez. IV, 2 aprile 2007 n. 21597, Pecchioli )227
Il soggetto che avrebbe dovuto tenere la condotta doverosa, invece omessa, è dunque il titolare di una posizione di garanzia rispetto al bene leso dall’evento causato dalla omissione.
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Solo nella causalità omissiva è rilevante accertare l’esistenza della posizione di garanzia, ciò che significa individuare chi aveva l’obbligo di agire per impedire il verificarsi dell’evento e non lo ha fatto.
Esso è stato definito come l’obbligo giuridico, che grava su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di adeguatamente proteggerli. Il fondamento di questa disposizione è da ricercare nei principi solidaristici che impongono (anche in base alle norme contenute nell’art. 2, 32 e art. 41, comma 2, Cost.) una tutela rafforzata e privilegiata di determinati beni non essendo i titolari di essi in grado di proteggerli adeguatamente con l’attribuzione, a determinati soggetti, della qualità di garanti della salvaguardia dell’integrità di questi beni ritenuti di primaria importanza per la persona.
Vi è da osservare che la posizione di garanzia è riferibile, sotto il profilo funzionale, a due categorie i n cui tradizionalmente si inquadrano gli obblighi in questione: gli obblighi di protezione e quelli di controllo.
La seconda categoria impone di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possono minacciare il bene protetto e quindi riguarda il dovere di prevenzione incombente sul datore di lavoro per evitare il verificarsi di infortuni sul lavoro o malattie professionali.
Questi obblighi di controllo sono ricollegati, dunque, alla esistenza di un potere di organizzazione e di disposizione relativo a cose o situazioni potenzialmente pericolose.
Alla luce dei principi, anche giurisprudenziali, sopra riportati la sentenza in commento si segnala sotto due profili: da una parte per aver valorizzato le circostanze concrete dell’evento e coerentemente considerato che in ogni caso, l’omissione contestata a nulla rilevava rispetto al fatto così come verificatosi; dall’altra parte, per aver affermato la interruzione di ogni nesso causale per effetto della
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riscontrata abnormità della condotta del lavoratore rispetto alle concrete istruzioni di lavoro ed ai protocolli aziendali di sicurezza228