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Interruzione del nesso di causalità

Nel documento Responsabilita colposa del lavoratore (pagine 53-57)

2.3 E una auspicabile soluzione

B. L’altro profilo attiene alla sostanziale estraneità alla dogmatica e

4. Nesso di causalità

4.2. Interruzione del nesso di causalità

La spiegazione causale relativa agli infortuni sul lavoro è stata ampiamente approfondita dalla giurisprudenza penale è costituita dalla rilevanza della condotta tenuta dal lavoratore e dai riflessi che essa può avere sulla responsabilità penale del garante (datore di lavoro). Nella prassi, può accadere che lo stesso soggetto passivo del reato contribuisca al verificarsi dell’evento lesivo, operando scelte che amplifichino anziché ridurre il rischio sul lavoro.

Di fatto, la condotta del lavoratore può essere considerata come fattore causale interruttivo – ex art. 41, comma 2, c.p. – del nesso eziologico fra la condotta del datore di lavoro e il verificarsi dell’infortunio, facendo così venire meno la riferibilità dell’evento al vertice dell’impresa.

D’altro lato il comportamento del lavoratore può essere valutato come elemento del quale il datore di lavoro diligente avrebbe potuto e dovuto tener conto, lasciando così intatto il legame causale fra la condotta del garante e l’evento.

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Di tal ché la giurisprudenza distingue la condotta colposa del lavoratore dalla condotta latu sensu abnorme dello stesso116.

La prima non esclude la responsabilità del garante e vale quale semplice concausa dell’infortunio, atteso che l’obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro ha valenza generale e comprende non solo il dovere di approntare le prescritte misure di prevenzione e protezione, ma anche l’obbligo di vigilare circa la corretta osservanza delle stesse da parte del prestatore d’opera.

“Le norme antinfortunistiche sono dettate al fine di ottenere la sicurezza delle condizioni di lavoro e di evitare incidenti ai lavoratori in ogni caso e cioè anche quando essi stessi per imprudenza, disattenzione, assuefazione al pericolo, possono provocare l’evento. Ne consegue, pertanto, che il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro, per mancata predisposizione di misure di prevenzione, e l’evento non è interrotto dal comportamento imprudente del lavoratore117.

Occorre notare che dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 626/94 (oggi abrogato e sostituito dall’omologo D. Lgs. n. 81/08) la Giurisprudenza segue il criterio dell’area di rischio, come parametro per definire i confini della responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore118.

E’ proprio nella condotta della vittima alla sfera di rischio sottesa allo svolgimento del lavoro sembrerebbe risiedere l’elemento utile per discriminare tra contributo colposo (con causale ex art. 41, comma 1, c.p.) e contributo abnorme (interruttivo, ex art. 41, comma 2, c.p.) del lavoratore: nella prima ipotesi infatti, la condotta del lavoratore concretizza un potenziale di lesione comunque immanente al ciclo

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Di Giovine, op. cit., p. 56 e ss.

117

Cass. pen., sez IV, 13-10-1988, Bonelli, in Maglia, Colombani (a cura di), Il codice della sicurezza del lavoro, cit., p. 225.

118

Ferro, Responsabilità per infortuni sul lavoro e rilevanza del comportamento del lavoratore, in Dir. Pen. Proc., 2011, p. 1308.

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produttivo, che il datore di lavoro – per negligenza – ha omesso di sottoporre a controllo; nella seconda eventualità, invece, il comportamento del lavoratore è espressione di un potenziale di lesione estraneo, che sfugge a qualsiasi possibilità di previsione da parte dell’imprenditore: “in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’alea di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute”119.

I confini dell’area di rischio possono essere travalicati dal lavoratore attraverso due tipologie di condotte, in ogni caso interruttive del rapporto causale rispetto al comportamento del datore di lavoro. La prima, la condotta esorbitante, in quanto non presenta alcun collegamento funzionale con il processo produttivo o le mansioni di specifica competenza del lavoratore, la seconda, la condotta abnorme in senso stretto, posta in essere anche nell’ambito di compiti specificatamente attribuiti al lavoratore (e dunque, non necessariamente esorbitante), ma contrassegnata da modalità esecutive in nessun modo riconducibili al prevedibile svolgimento delle mansioni.

“Il datore di lavoro, al quale possa rimproverarsi di non aver fatto tutto ciò che la legge gli impone di fare a tutela della incolumità di un lavoratore, non risponde, dunque, della lesione di questa incolumità, dell’evento, se il lavoratore, addetto a un certo lavoro – e, quindi, esperto di quel dato lavoro rispetto al quale il datore di lavoro non ha fatto, in termini antinfortunistici, ciò che avrebbe dovuto fare – si dedichi, per propria iniziativa, a altro, si dedichi ad altra macchina, ad

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altro settore, se esorbiti, cioè, rispetto al procedimento di lavoro che gli è proprio e qui, per avventatezza, negligenza, disattenzione, si provochi delle lesioni o addirittura determini la propria morte. In questo caso, infatti, non vi alcun dubbio che la condotta del lavoratore si ponga come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento […].

La questione si pone, diversamente allorché il lavoratore sia avventato, imprudente o negligente mentre dedito al lavoro affidatogli: in questo caso il datore di lavoro può invocare l’imprevedibilità o l’abnormità del comportamento del lavoratore e, quindi, indicare questo comportamento come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento soltanto se è in grado di provare in modo certo e irrefutabile di aver fatto tutto ciò che la legge gli impone in materia antinfortunistica perché l’incolumità del lavoratore venga assicurata”120

.

In ogni caso, la giurisprudenza penale pare orientarsi complessivamente in senso restrittivo, riconoscendo in concreto la sussistenza di una condotta esorbitante o abnorme del lavoratore in rare occorrenze121 e tal’ora dando luogo ad orientamenti contrastanti o comunque in evoluzione122.

Si è peraltro osservato che anche “l’area di rischio sufficiente a fondare l’imputazione [… viene] parametrata alla prevedibilità dell’evento, che dunque costituisce criterio preponderante; […]

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Cass. Pen., Sez. IV, 3-06-1999, Grande, in CED, 1999/214998.

121

Vedi Ferro, op. cit., p. 1308.

122

Vedi Cass. Pen., sez IV, 3-06-1999, Grande, cit., ha ritenuto “avventato ma non esorbitante l’uso di un muletto, anziché di apposita scala da parte di un lavoratore per farsi alzare ad una altezza di 5 metri per svolgere il lavoro affidato”, mentre in fattispecie del tutto analoga Cass. Pen., sez. IV, 10-11-2009, Iglina e altri, in CED,2009/246695, ha considerato “abnorme e del tutto imprevedibile il comportamento imprudente del lavoratore, addetto all’esecuzione di lavori ad una altezza di 6 metri, di utilizzare, per accelerare i tempi di lavorazione un improprio carrello sollevatore, in luogo del regolare mezzo di sollevamento già impegnato per altri lavori”.

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categoria [quella della prevedibilità dell’evento] altamente manipolabile, che si presta a mascherare esercizi di pura equità rispetto al caso concreto”123

.

5. Fonti dell’obbligo di garanzia

Il Problema delle fonti risulta assai complesso124 e ha dato origine, come è noto, a vivaci dispute dottrinali mai interamente sopite.

Il tema rappresenta, infatti, il momento centrale della problematica del reato omissivo improprio, intersecandosi con quello della spiegazione del fenomeno della responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento.

Ciò in quanto se da un lato, l’individuazione della fonte del singolo obbligo di garanzia si sostanzia nell’identificazione dell’omissione impeditiva tipica125, dall’altro, l’attribuzione del rango di fonte, rispettivamente, alle sole norme giuridiche (secondo tesi formale), oppure a situazioni di fatto (secondo la tesi sostanzialistico- funzionale), si riconnette ad un modo radicalmente diverso di concepire il fondamento della equiparazione legislativa tra azione causale e omissione non impeditiva dell’evento.

123 Vallini, “Cause sopravvenute da sole sufficienti” e nessi tra condotte. Per una

collocazione dell’art. 41, comma 2, c.p. nel quadro teorico della causalità “scientifica”, in

www.penalecontemporaneo.it , p. 14 e ss.

124

Isabella leoncini, Obbligo di attivarsi, Obbligo di garanzia e obbligo di Sorveglianza G. Giappichelli editore, Torino, 2000.

125

Isabella Leoncini, Obbligo di attivarsi, Obbligo di garanzia e obbligo di Sorveglianza, cit., p. 180. “ In questo senso, anche il problema delle fonti dell’obbligo di garanzia presenta qualche analogia con quello delle c.d. norme penali in bianco, rinviando la fattispecie omissiva impropria la determinazione dell’elemento normativo <condotta – violazione dell’obbligo giuridico di impedimento>ad altra fonte diversa dalla norma incriminatrice” .

Nel documento Responsabilita colposa del lavoratore (pagine 53-57)