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LA CRISI DEL CONCETTO DI “PERSONA” ED IL DIBATTITO FILOSOFICO CONTEMPORANEO I dipinti che abbiamo preso in considerazione nel precedente paragrafo, in qualche modo,

APPPUNTI PER UNO STUDIO CRITICO SUL CONCETTO GIURIDICO DI “PERSONA”

2. LA CRISI DEL CONCETTO DI “PERSONA” ED IL DIBATTITO FILOSOFICO CONTEMPORANEO I dipinti che abbiamo preso in considerazione nel precedente paragrafo, in qualche modo,

sono esemplificativi di quella traiettoria concettuale che ha assunto il concetto di “persona” nel

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Per un’interpretazione originale di questa opera del pittore irlandese, in particolare per un approccio di tipo strutturalistico alla sua produzione artistica, finalizzato ad individuare nei suoi quadri la crisi irreversibile del soggetto cartesiano, si rinvia alle suggestive riflessioni di DELEUZE, Gilles, Francis Bacon. Logica della sensazione, trad. it. a cura di S. Verdicchio, Macerata: Quodlibet, 1995, in particolare, sullo “Studio dal ritratto di Papa Innocenzo X di Velazquez”, si vedano le pp. 114-116.

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corso della modernità occidentale. Se all’inizio del XVI secolo, infatti, il Ghirlandaio e Velázquez potevano rappresentare senza incertezze, in maniera letteralmente realistica, gli uomini e le donne di potere del loro tempo, Francis Bacon invece, artista che si deve annoverare a pieno titolo nella post-modernità, destruttura concettualmente e visivamente i personaggi che rappresenta.

L’analisi di questi dipinti, dunque, è stata un utile espediente per introdurci all’interno di un dibattito filosofico – di cui cercheremo di tratteggiare gli importanti risvolti per la scienza giuridica del XX secolo –, un dibattito che ha interessato la cultura europea, e che ha in particolare caratterizzato quel filone di pensiero affermatosi in Francia, il c. d. “strutturalismo”4, che già intorno alla metà del secolo scorso, nel mettere radicalmente in questione l’ “ego cogito” cartesiano, poneva nuovamente al centro della riflessione teorica il tema del soggetto, della sua rappresentazione filosofica e del suo rapporto con il mondo.

Si pensi, soltanto per citare le punte più elevate di questa corrente di pensiero, all’importante opera di Michel Foucault, Le parole e le cose, in cui il filosofo, al termine della sua analisi sul mutamento degli “epistemi” culturali nel corso del XVI secolo, in termini anche un po’ provocatori, decideva di scrivere una sorta di “de profundis” dell’idea di soggetto.

Ad avviso di Foucault, infatti, l’uomo deve essere pensato come una “invenzione recente” all’interno della filosofia occidentale, in quanto

Non è intorno ad esso e ai suoi segreti che, a lungo, oscuramente, il sapere ha vagato. Di fatto, fra tutte le mutazioni che alterarono il sapere delle cose e del loro ordine, il sapere delle identità, delle differenze, dei caratteri, delle equivalenze, delle parole […], uno solo, quello che prese inizio un secolo e mezzo fa e che forse sta chiudendosi, lasciò apparire la figura dell’uomo. […] L’uomo è un’invenzione d cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima5.

Riflettere sul mondo moderno, insomma, significa cercarne la Weltbild, ossia l’immagine che il mondo moderno ha di sé stessa e questa immagine, riprendendo le parole di Heidegger, si concretizza proprio nel fatto che l’uomo, al contrario di quanto avvenuto nell’antichità o nel Medio Evo, si è emancipato dai propri vincoli culturali e religiosi che lo costringevano a vivere

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Per un’introduzione a questo importante filone di pensiero che ha caratterizzato, in particolar modo, la cultura filosofica francese del secolo scorso, si vedano, per tutti, DELEUZE, Gilles, Lo strutturalismo, trad. it. a cura di S. Paolini, Milano: SE, 2004, ma anche BARTHES, Roland, La mort de l’auteur (1968), in Id., Le bruissement de la langue, Paris: Seuil, 1984, pp. 61-67.

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Così la celebre conclusione dell’opera di FOUCAULT, Michel, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, trad. it. a cura di E. Panaitescu, VI ed., Milano: Rizzoli, 2004, pp. 413-414. Sulla crisi del soggetto cartesiano e sulla sua messa in discussione, sempre nel dibattito filosofico transalpino, recentemente ha avuto modo di tornare, da una prospettiva più specificamente marxista, anche BALIBAR, Étienne, Citoyen, Sujet et autres essais d’anthropologie philosophique, Paris: Presses Universitaires de France, 2011. Per un approccio simile, si rinvia anche al saggio di AMENDOLA, Adalgiso, Persona e soggetto giuridico nello stato di prevenzione, in Filosofia politica, Bologna, n. 3, pp. 411 ss., dicembre 2007.

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all’interno di un cosmos pre-ordinato dal fato – o dall’oscura autorità del dio cristiano –, per lui immodificabile. La modernità, invece, consiste proprio in questa metamorfosi ontologica dell’essenza dell’uomo, che si costituisce e si rappresenta in quanto “soggetto”, ovvero, per restare fedeli alla terminologia del filosofo tedesco, da upokeimenon si è trasformato in subjectum6.

Tale trasformazione epistemologica è oggi oggetto di un ampio dibattito anche all’interno del panorama filosofico italiano il quale, nelle sue molteplici declinazioni – proprio a partire dalla riflessione di Foucault e di Heidegger, passando per gli scritti di Walter Benjamin e di Carl Schmitt, autori la cui produzione filosofica è stata ripensata alla luce di quella che, con una formula assai suggestiva, è stata chiamata “Italian Theory”7 – sta originalmente rileggendo la mutazione e la crisi del concetto di “persona”, soprattutto in ambito politico ma anche, per quel che qui più ci interessa, in ambito giuridico.

Si è così parlato del concetto di “persona” come di un “dispositivo” filosofico, per sottolinearne il ruolo performativo che si fonderebbe

...sulla separazione presupposta, e continuamente ricorrente, tra persona come entità artificiale e l’uomo come essere naturale cui può convenire o meno uno statuto personale. Tale scarto sistematico non costituisce che la prima e originaria distinzione tra categorie astratte, ma concretissime nelle procedure di esclusione cui danno luogo, poste in essere dal diritto romano8. In particolare, sarebbe stato proprio il consolidamento di questo “dispositivo” filosofico da parte della tradizione tomistica cristiana, a consentire l’emergere, intorno al XVII secolo, del concetto di subiectum iuris. Se fino a quel momento, infatti, tale formula designava l’oggetto di una normativa giuridica, a partire da quello specifico snodo temporale, invece, con il termine subiectum non si indica più il destinatario passivo della legge – rectius, il suddito che subisce passivamente l’ordine del sovrano –, bensì il soggetto autonomo e razionale che, dotandosi della propria “maschera giuridica” – la “persona per l’appunto –, si trasforma in quella individualità portatrice di un proprio valore particolare (in quanto biologicamente unica ed irripetibile) e, al

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Così HEIDEGGER, Martin, L’epoca dell’immagine del mondo, in Id., Sentieri interrotti (Holzwege), trad. it. a cura di P. Chiodi, Firenze: La Nuova Italia, 1968, pp. 71-101, ma in particolare, sul costituirsi dell’uomo come subjectum della modernità, si vedano le pp. 85 ss. Si rinvia, inoltre, sulla crisi della modernità e del soggetto, alla raccolta di saggi a firma di VATTIMO, Gianni, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, II ed., Milano: Bompiani, 1996.

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Per approfondimenti, si vedano, per tutti, ESPOSITO Roberto, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Torino: Giulio Einaudi Editore, 2010; GENTILI, Dario, “Italian Theory”. Dall’operaismo alla biopolitica, Bologna: Il Mulino, 2012.

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96 contempo, universale”9.

Se fino a quel momento, dunque, subiectus significava, nel linguaggio giuridico e politico, “sottoposto al dominio altrui”, alludendo così a qualcosa di presupposto o di sottostante all’ordine politico – lo upokeimenon della cultura greca antica – successivamente la “persona” si trasforma nel centro dell’universo giuridico e politico, in quanto soggetto in grado di darsi e di dare una nuova rappresentazione del mondo, come aveva profondamente intuito Heidegger10.

Del resto, anche la modernità giusfilosofica aveva incominciato a forgiare, quanto meno a partire dal Saggio sull’intelletto umano del 1690 di John Locke, quell’idea di “persona” che, in seguito, verrà posta al centro del sistema normativo positivo, grazie alla stesura dei Codici civili continentali da parte della borghesia che – all’inizio del XIX secolo, giunta ormai all’apice della propria egemonia culturale, sociale e politica –, in questo modo celebrava sé stessa11.

In particolare, si consideri il paragrafo 26 del capitolo XXVII dell’opera del filosofo inglese, dove è possibile trovare due significati molto diversi – ma assolutamente complementari tra di loro – del concetto di “persona”, ossia la persona intesa come “sé”, insieme all’idea, più specificamente giuridica, di persona intesa come “individuo-proprietario”12. Ebbene, questi due concetti sono strettamente legati tra di loro, in quanto è proprio dal loro combinato disposto che viene a formarsi il concetto di persona giuridica di cui oggi registriamo, nel dibattito che stiamo qui ripercorrendo a grandi linee, la crisi.

Ma soffermiamoci proprio su questo passaggio tratto dal paragrafo 26, capitolo XXVII, del Saggio sull’intelletto umano, in cui Locke afferma quanto segue:

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Sull’evoluzione del concetto di “persona” nella teologia medioevale e sulla sua trasposizione nel linguaggio politico e giuridico della modernità, la letteratura è ormai vasta. Per brevità, in questa sede, ci limitiamo a rinviare alle opere più importanti sul punto, ossia AGAMBEN, Giorgio, Il Regno e la Gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo, Vicenza: Neri Pozza, 2007 e, sempre dello stesso autore, da ultimo Id., L’uso dei corpi, Vicenza: Neri Pozza, 2014. Per un’incursione nel dibattito specificamente teologico, cfr. SPAEMANN, Robert, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, trad. it. a cura di L. Allodi, Roma-Bari: Laterza, 2005; DE ANNA, Gabriele, «Persona»: analisi storico-critica di una babele filosofica, in BONIOLO, Giovanni-DE ANNA, Gabriele-VINCENTI Umberto (a cura di), Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo, Milano: Bompiani, 2007, in particolare pp. 83 ss.

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Cfr. ESPOSITO, Roberto, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero, Torino: Giulio Einaudi Editore, 2013, pp. 111-113.

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Sul punto si veda, per una ricostruzione generale del tema in una prospettiva critica, KENNEDY, Duncan, Forma e sostanza nella giurisdizione di diritto privato, trad. it. a cura di A. Carrino, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1992, ma anche GIULIANI, Alessandro, Le Preleggi. Gli articoli 1-15 del Codice civile, UTET, estratto dal Trattato di Diritto privato, vol. 1, diretto da P. Rescigno, Torino: UTET, 1999.

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Per un’analisi dell’evoluzione del significato giuridico del termine “persona”, a partire dalla riflessione empirista inglese della prima modernità, si rinvia ad un’opera ormai divenuta classica, ossia MACPHERSON, Crawford Brough, Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese: la teoria dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke, trad. it. a cura di S. Borutti, Milano: Oscar Mondadori, 1973.

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Persona, come lo impiego, è il nome per questo sé. Laddove un uomo scopre quello che chiama se stesso, mi sembra che un altro uomo potrà dire che si tratta della stessa persona. È un termine del linguaggio giuridico che assegna la proprietà degli atti e dei loro valori, e in quanto tale appartiene solo ad agenti capaci di legge [...]. Questa personalità estende questo sé dalla sua esistenza presente al passato, solo attraverso la coscienza, e in questo modo diviene preoccupata e responsabile dei suoi atti passati, li confessa e li imputa a se stessa, sulla stessa base e per le stesse ragioni per gli atti presenti13.

Il passaggio appena citato mi sembra estremamente importante, in quanto rappresenta una svolta epocale nella riflessione giuridica e filosofica sul concetto di “persona”. Infatti, è proprio grazie a Locke, che individua nella continuità della propria coscienza e nella sua capacità di memorizzare i ricordi e di rappresentarsi il futuro, che nasce l’idea di individuo moderno la quale si poggia, dal punto di vista gnoseologico, sulla continuità oggettivo-temporale del self, in cui ogni singolo essere umano viene identificato completamente.

Ma ciò che emerge da questo passaggio – ed è forse ancora più importante da evidenziare, ad avviso di chi scrive – è lo slittamento teoretico che il filosofo inglese pone in essere quando, proprio a partire da questa continuità oggettivo-temporale su cui fonda l’identità individuale, afferma che è soltanto a questo particolare tipo di soggetto, sempre uguale a sé stesso, che possono essere effettivamente imputati i propri comportamenti all’interno del mondo reale.

In pratica, registriamo in questo brano di Locke, il passaggio dell’uso della parola “persona” dal contesto specificamente giuridico a quello gnoseologico, un passaggio questo, da un campo all’altro del sapere, che formalizzerà definitivamente per i successivi tre secoli – ma non soltanto, quindi, per la scienza giuridica moderna e contemporanea – l’idea di soggetto di diritto, il passaggio cioè da upokeimenon a subiectus.

Ma la persona di cui Locke ci parla, altri non è, come abbiamo visto, che il nuovo individuo borghese, in ascesa alla fine del XVII secolo nelle società europee, a cui vanno imputati giuridicamente tutti i frutti (ed i profitti) derivanti dal proprio lavoro e dai propri sforzi fisici e intellettivi. In questa ottica, allora, il soggetto giuridico della modernità nasce insieme, in maniera addirittura inscindibile, all’individuo-proprietario borghese, all’uomo che si è fatto da solo, al self- made man a cui devono essere imputate – al proprio self, per l’appunto – tutte quelle azioni in cui si concretizza la sua attività fisica, che sono poi la fonte principale dell’accumulazione delle proprie ricchezze.

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In questo modo, pensando cioè questo nuovo concetto di “persona” giuridica, Locke – e con lui l’intera cultura giusfilosofica moderna –, di fatto, opera una vera e propria frattura rispetto alla millenaria tradizione giuridica romana, da cui pure questo termine era stato tratto14.

Al riguardo, infatti, Yan Thomas sottolinea15 come, a partire dal XVI secolo, i giuristi europei avessero iniziato a considerare gli esseri umani in rapporto alla posizione che occupavano all’interno della società e rispetto ai singoli rapporti giuridici, di carattere economico-commerciale, che essi contraevano con altri individui, al contrario di quanto avveniva invece nel diritto romano ed in tutto il periodo intermedio, in cui la persona non era un “supporto giuridico permanente” alle attività dei singoli, proprio perché ciascun individuo poteva modificare più volte nel corso della vita il proprio status sociale16.

Lo storico del diritto francese cita, al riguardo, una celebre massima di Donello, giurista transalpino vissuto nel corso del XVI secolo, uno dei massimi esponenti dell’umanesimo giuridico continentale, il quale fu forse il primo studioso che incominciò – al riguardo anticipando di oltre un secolo anche John Locke – a distinguere tra “uomo” e “persona”, affermando a chiare lettere che “La parola uomo si riferisce alla natura, la parola persona al diritto civile”17.

A partire da questo sdoppiamento dell’individuo – i cui estremi (biologico e giuridico) tuttavia venivano tenuti insieme ed interamente compresi, come osservato anche da Roberto Esposito18, in un unico concetto –, nasce quel “dispositivo” filosofico-giuridico della persona la cui traiettoria discendente, come dicevamo, proprio negli ultimi decenni, è stata oggetto anche di riflessione da parte della dottrina italiana e su cui, pertanto, ci soffermeremo nel prosieguo della nostra analisi.

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Al riguardo, si veda STOLFI, Emanuele, La nozione di «persona» nell’esperienza giuridica romana, in Filosofia politica, Bologna, n. 3, pp. 379 ss., dicembre 2007.

15

THOMAS, Yan - CAYLA, Olivier, Il diritto di non nascere. A proposito del «caso Perruche», trad. it. a cura di L. Colombo, Milano: Giuffré editore, 2004, soprattutto le pp. 114-115.

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Per una ricostruzione storica delle diverse accezioni giuridiche con cui è stato impiegato il termine “persona”, fino alle soglie della modernità, si rinvia ai lavori di ALBANESE, Bernardo, voce Persona (storia). a) Diritto romano, vol. XXXIII in Enciclopedia del diritto, Milano: Giuffré editore, 1983, pp. 169-181 e di CAMPITELLI, Adriana, voce Persona (storia). b) Diritto intermedio, ivi, pp. 181-193.

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“Homo naturae, persona iuris civilis vocabulum”, così DONEAU, Hugues (HUGO DONELLUS), Commentaria iuris civilis, vol. I, Napoli, 1763, p. 65.

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